Oltre alle pandemie, tra gli onerosi problemi che la nostra generazione e probabilmente le prossime di tutto il mondo devono e dovranno affrontare, e cercare di risolvere o quantomeno di contenere, dobbiamo ricordare il cambiamento climatico, la penuria del cibo e l’emergenza acqua.
All’inizio della primavera, per iniziativa dell’ONU dal 1992, si celebra la Giornata mondiale dell’acqua.
Il vitale, prezioso liquido costituisce, più che un problema, un’emergenza sotto più aspetti. Il più rilevante è la sua mancanza, la grave insufficienza e la carenza di igiene e potabilità per miliardi di esseri umani. Quattro miliardi vivono in paesi con scarso approvvigionamento idrico per almeno un mese all’anno. Due miliardi non hanno accesso a servizi igienici di base, mentre almeno 300 milioni non dispongono di acqua potabile. Ogni anno si contano più di 400.000 morti per le conseguenti malattie. Nei prossimi decenni la situazione è destinata a peggiorare, tanto che nel 2050 si conteranno 5,7 miliardi di residenti in zone con gravi carenze idriche.

L’aggravio è dovuto al contemporaneo aumento della popolazione mondiale (oggi siamo a 7,8 miliardi e tra 30 anni arriveremo alla cifra di 9,7) con la crescente crisi delle risorse idriche. Una crisi dovuta a più cause. Una è la riduzione della capacità di stoccaggio, un decremento pari all’1% annuo, mentre del pari 1% continuano ad aumentare gli utilizzi. L’agricoltura, soprattutto, impiega quasi il 70% della disponibilità di acqua dolce, l’industria il 20% e il resto lo consumano le comunità urbane del mondo.
Il cambiamento climatico comporta un altro consistente contributo alle carenze. Negli ultimi 10 anni le siccità hanno pesato sulla vita di 100 milioni di persone, portando la morte di decine di migliaia di esseri umani e danni per 100 miliardi di dollari. All’opposto e nel contempo, i disastri alluvionali, in Asia, in Africa, in Europa. L’Organizzazione Mondiale della Sanità stima che tra il 2030 e il 2050 si conteranno probabilmente 250.000 vittime a causa dei due estremi dovuti al peggioramento del clima.
Una terza fonte di crisi è rappresentata dagli sprechi e dalle inefficienze delle strutture di trasporto dell’acqua. Non solo vanno valutate le perdite nelle condutture, ma anche gli innumerevoli ostacoli costituiti dalle grandi e piccole dighe del mondo (solo in Italia le più rilevanti sono 550), dalle barriere devianti, dagli argini e dai sistemi di canalizzazione. Acqua che rallenta, cambia percorso, depaupera le falde acquifere, minaccia la biodiversità e toglie la vita dei pesci dei fiumi.
Una quarta componente del problema è la crescente domanda di energia. Nella prospettiva dei futuri 20 anni si registrerà una maggiore, stimata esigenza del 25% con una conseguente, maggiore richiesta d’acqua del 50%.

Tutto questo concorre a far aumentare il valore economico dell’elemento acqua, ed è proprio il suo valore il tema della Giornata mondiale dell’ONU di quest’anno. Dare accesso alle fonti vitali per 140 stati a medio e basso reddito entro i prossimi 10 anni costerebbe oltre 110 miliardi di dollari annui.
L’insieme di queste ragioni, oltre ai problemi ricordati, porta a tensioni e addirittura a conflitti tra non pochi stati e regioni del mondo. Il previsto aumento dei flussi nell’altopiano del Tibet (causato dallo scioglimento dei ghiacciai himalayani) aumenterà i consumi dei residenti a monte, ma toglierà vita e risorse a quelli a valle. Così avverrà per le zone corrispondenti ai corsi dei grandi fiumi Yangtze e Giallo, con benefici per aree della Cina e invece stress per le aree a valle dell’Indo e del Gange.
Guerre per l’acqua sono realtà che affliggono Israele e la Palestina lungo il Giordano, la Turchia e le popolazioni curde, la Siria, l’Egitto, il Sudan e l’Etiopia. La Banca Mondiale ha di recente contato ben 510 conflitti.
In Italia non si presta ancora la dovuta attenzione al valore della preziosa risorsa di vita. Solo 1 italiano su 4 ci riflette su, e altrettanto fanno la politica e l’economia, tanto che siamo in Europa tra gli ultimi a investire nel settore idrico. Quasi il 50% del potabile si perde per strada in una rete che per il 60% ha più di 30 anni e per il 25% è più vecchia di mezzo secolo.