Mentre negli Stati Uniti si superano 400 mila morti causati dal covid-19, in tutto il mondo la speranza di arrestare questa pandemia è posta tutta sul vaccino. La ricerca scientifica ha elaborato, in meno di un anno, circa 200 approcci vaccinali, e di questi solo due sono stati approvati in Europa contro l’infezione da SARS-COV-2. Il ridottissimo tempo impiegato per la loro produzione non è l’unica cosa sorprendente; i due vaccini, prodotti dalle case farmaceutiche Pfizer/Biontech e Moderna, sono anche i primi nel loro genere, essendo entrambi vaccini a mRNA.
I vaccini sono prodotti farmaceutici in grado di mimare una componente essenziale di un patogeno, preparando il nostro sistema immunitario a difenderci da una eventuale infezione. In pratica, se l’ospite vaccinato viene a contatto col virus, il sistema immunitario ha già prodotto anticorpi specifici che ne impediscono l’attecchimento e, allo stesso tempo, è pronto a generare una grossa quantità di linfociti T-citotossici (killer) addestrati a riconoscere e ad uccidere le cellule infette da quello specifico patogeno, prevenendo la sua replicazione e la sua diffusione nell’organismo. Alcuni vaccini, infatti, esercitano una doppia azione: preventiva e terapeutica.
Esistono diverse tipologie di vaccino. Le più comuni includono la somministrazione di virus o di altri patogeni attenuati o uccisi, estratti proteici o proteine virali sintetizzate in laboratorio.
Oggi, grazie allo sviluppo della biotecnologia, è possibile iniettare direttamente nell’individuo le informazioni genetiche atte a permettergli la produzione di una delle principali componenti virali. L’informazione genetica può essere somministrata in forma di: a) virus ricombinante (adenovirus, poxvirus, etc.), cioè, geneticamente modificato in laboratorio, per sintetizzare il prodotto vaccinico e senza la capacità di replicarsi; b) plasmide DNA; c) RNA messaggero (mRNA).

Quest’ultimo è il caso dei due vaccini anti-COVID19 approvati in Europa, la cui strategia consiste nel fornire alle cellule immunitarie le informazioni necessarie – sotto forma di mRNA – a costruire e produrre una proteina identica alla “spike” del virus Sars-CoV-2, cioè la proteina che gli permette di agganciarsi al recettore ACE-2 sulle mucose e di infettarle. In questo caso, l’mRNA non è libero, ma inglobato in piccole sfere lipidiche atte a proteggerlo e a farlo entrare nelle cellule che opereranno la sintesi della proteina sulla sua matrice genetica. Questi vaccini contengono anche sali, zuccheri e lipidi, necessari per mantenere stabile ed integro l’mRNA, e richiedono congelamento. Una volta iniettato, questo mRNA svolge la sua funzione di matrice per la sintesi della proteina spike e viene rapidamente degradato senza lasciare traccia nell’organismo.
Sono necessarie, a questo punto, alcune considerazioni: 1) questi vaccini non possono essere causa di infezione essendo privi del virus; 2) per quanto riguarda eventuali allergie, i composti comprendono molecole molto semplici che possono, quindi, scatenare reazioni allergiche nei soggetti suscettibili che abbiano avuto già pregresse reazioni ad un farmaco iniettabile o ad un vaccino. Il rischio di reazioni allergiche ad uno dei nuovi vaccini ad RNA contro il Covid-19, però, è molto basso e, comunque, di gran lunga inferiore al rischio collegato alla contrazione della malattia; 3) per sapere, con precisione, la durata e l’intensità della risposta immunitaria indotta dai vaccini, dovremo aspettare qualche altro dato; 4) questo mRNA non entra nel nucleo cellulare e non interagisce col DNA del vaccinato e, quindi, non può assolutamente indurre alterazioni del suo patrimonio genetico; 5) questa metodica è un piccolo gioiello della biotecnologia, basandosi su una trentennale esperienza in campo vaccinale per la prevenzione di malattie da agenti patogeni e anche nel settore immuno-terapico dei tumori umani.
In attesa degli altri dati, possiamo valutare quelli che sono già a nostra disposizione, quelli pubblicati e quelli che hanno superato i rigidi controlli delle due agenzie (EMA e FDA, Agenzia Europea ed Americana rispettivamente).
Il vaccino di Pfizer-BioNTech (il primo ad essere approvato) è risultato efficace nel 95% dei casi, quello di Moderna nel 94% dei casi. Per raggiungere tali numeri è necessaria la somministrazione di due dosi per ciascun vaccino. Nel caso in cui si volesse cambiare protocollo di somministrazione, sarebbero necessari ulteriori studi e trials clinici. Ad oggi, sappiamo che l’immunità naturale, ossia quella sviluppatasi dopo aver contratto l’infezione, ha una durata di circa 8 mesi. Per valutare quella indotta dal vaccino sarà importante monitorare la durata della protezione dei vaccinati. Allo stato, la scarsità di dati non ci permette di fare previsioni. Tuttavia, le premesse affinchè tali vaccini producano una risposta immunitaria duratura ci sono tutte. Uno studio pubblicato la scorsa settimana sul New England Journal of Medicine, mostra che il vaccino Moderna è in grado di stimolare la produzione di anticorpi neutralizzanti stabile a 3 mesi dalla seconda iniezione di vaccino. Rimane ancora da capire per quanto tempo si manterrà la capacità di risposta anticorpale e linfocitaria T-citotossica in caso di contatto con il virus.
E’ importante ricordare alla popolazione che la vaccinazione, al momento, non ci ha resi ancora totalmente liberi: dobbiamo innanzitutto vaccinarci in massa, sottoporci a doppia dose vaccinale e, poi, monitorare lo sviluppo di anticorpi. Nel frattempo dovremo osservare comportamenti ancora molto rigorosi.
Infine, una ultima considerazione a favore dell’utilizzo dei vaccini a mRNA è che essi, oltre ad essere altamente efficaci, sono anche altamente e facilmente versatili e, soprattutto, sono molto efficaci nella generazione di linfociti T-citotossici. Queste sono caratteristiche fondamentali vista la capacità del nuovo coronavirus di mutare. Infatti, difficilmente le varianti potrebbero sfuggire agli anticorpi, ma sarebbe ancora più difficile sfuggire ai linfociti T-citotossici che sono la nostra linea di difesa più avanzata. Al momento, infatti, entrambi i vaccini sono in grado di proteggerci anche dalle nuove varianti del ceppo inglese e sudafricano. In ogni caso, se e quando gli attuali vaccini non dovessero essere sufficientemente efficaci verso nuove varianti maggiori, la tecnologia per modificare l’RNA è estremamente semplice e, quindi, inseguire eventuali mutazioni risulterebbe estremamente semplice. In attesa di dati definitivi, possiamo considerare queste peculiarità con un moderato ottimismo.
Tenendo ben presenti la positività di questa nuova tecnologia e, allo stesso tempo, tutto quello che ancora non sappiamo sulla durata e sulla efficienza della risposta immunitaria indotta da questi vaccini, sarebbe preferibile che ci vaccinassimo tutti, continuando a mantenere comportamenti rigorosi di prevenzione.
Intanto, la ricerca scientifica continuerà a studiare le proprietà di questa nuova tipologia di vaccino che sarà utile anche verso altri patogeni nonché in campo oncologico, senza trascurare l’importanza di trovare una cura farmacologica definitiva alla malattia.