27 dicembre. Oggi, giornata del V-Day, diventeremo tutti più bravi con i numeri, forse più coraggiosi. Inizia la distribuzione del vaccino Pfizer-BioNTech in Europa, il risultato d’oro della biotecnologia. Altrettanto d’oro sembrerebbe questa occasione saldata da fede e scienza, dove il dubbio è lecito ma l’esperienza deve guidarci.
Le prime dosi del vaccino Pfizer-BioNTech in Italia sono 9.750. Alle 7.20 di questa mattina, all’Istituto nazionale malattie infettive Spallanzani di Roma i primi vaccinati italiani. Nella prossima settimana è previsto l’arrivo di altre 460mila dosi. Altre migliaia sono in via di distribuzione tra Germania, Slovacchia, Bulgaria, Francia, Spagna, Portogallo, Belgio, Lussemburgo, Svezia, Norvegia, Danimarca, Svizzera. Per motivi di sicurezza, i Paesi Bassi attenderanno fino all’8 gennaio. Il vaccino è gratuito e non obbligatorio, la polemica ruota intorno alla disinformazione e alla responsabilizzazione, con grandi aspettative per la fascia dei medici. Teniamo però ben presente che lo scetticismo nei confronti del vaccino non è politico, è popolare. La politica continuare a danzare a braccetto con l’intero assetto economico nel tentativo di portare ordine nel caos, ricchezza e prosperità nel migliore dei casi. L’Europa vince una battaglia a tempo record, ma è importante analizzare cosa sta realmente succedendo. Se ci fossimo trovati di fronte ad un virus come l’HIV avremmo dovuto rimboccarci le maniche, e come?

Considerare questo vaccino come una prova di coraggio è una prospettiva oltremodo utile, a dimostrazione delle capacità umane di adattamento e ingegno. «Non è la specie più forte a sopravvivere, né la più intelligente, ma quella più pronta al cambiamento» ha detto Charles Darwin. Dopo il primo lockdown siamo tornati a lavoro, nei parchi, dai parenti, a cena con amici. In estate abbiamo prenotato le vacanze, e a Natale i più fortunati hanno affettato il panettone brindando alla vita. Altri, con responsabilità legate al loro mestiere e alla loro vocazione, hanno reso possibile il flusso della normalità, tra ospedali, pattuglie, volontari, commercianti. Ognuno ha poi contribuito in maniera preziosa anche solo indossando la mascherina in un supermercato. Siamo riusciti ad arrivare fino qui, dimostrando a noi stessi resilienza. Teorie del complotto a parte, l’umanità è fragile, ma la sopravvivenza è ciò che ci contraddistingue nei secoli.
La vaccinazione di massa implica sforzi enormi e attrezzature nuove per i vaccini. Il Pfizer richiede ad esempio più vincoli di trasporto e conservazione rispetto al Moderna o al vaccino Astrazeneca. Bisognerà dare precedenza a operatori sanitari e sociosanitari, pazienti Rsa e over 80; successivamente risultano prioritari gli insegnanti, il personale scolastico, le forze dell’ordine, il personale delle carceri e dei luoghi di comunità. Questa però non è una gara, ma una scelta da rispettare a beneficio comunque di tutti. Nonostante la grande difficoltà comunicativa che ruota intorno al virus in generale, dove ogni tone of voice provoca suggestioni e opinioni differenti, è fondamentale comprendere che la situazione è work in progress. Il problema che stiamo vivendo muta e si evolve giorno per giorno: esattamente come se fossimo in guerra, dobbiamo capirne i ruoli, le responsabilità, le operazioni e gli obiettivi con un’attenzione quotidiana verso noi stessi e il prossimo. La paura dell’altro non può e non deve vincere di fronte ad una possibilità di vittoria.

Una delle nostre armi più potenti ora è l’esperienza. L’educatore statunitense David Kolb raccolse le teorie esposte dagli studiosi John Dewey, Kurt Lewin e Jean Piaget, per sviluppare il suo studio sull’ Experiential Learning (1984). Ogni conoscenza si crea a partire da una precedente esperienza di cui ne è il risultato. Il quarto e ultimo punto della sua teoria riguarda la sperimentazione attiva, in cui l’apprendimento è il risultato di un’azione ai fini dell’evoluzione o di possibili cambiamenti. E’ per questo che molti studiosi attribuiscono l’atteggiamento dei no vax a una mancanza di esperienza diretta con i sintomi o le complicazioni del virus (tra cui perdita dei cari, del lavoro, disagio economico), oltre che ad una incapacità di accettazione del problema sociale. Il nostro vissuto è prezioso, benché amaro.
Dall’ultimo accordo sulla Brexit è passato appena un giorno, gli Usa hanno appena approvato un piano di aiuti da 900 miliardi di dollari tra investimenti e bonus per i cittadini (ma manca ancora la firma di Trump), in Italia siamo alle prese con il Recovery fund. Ci vuole un pizzico di sentimentalismo e una gran dose di verità per comunicare che l’occupazione deve tornare a crescere, l’industria deve portare avanti le sue sfide, i sussidi non durano per sempre e le imprese non possono continuare a fallire. Il Fondo Monetario Internazionale prevede un incerto rimbalzo dell’economia mondiale pari al 5,8% nel 2021, dopo essersi contratta del 4,4% nel 2020. Per questo serve lo sforzo di ognuno, senza ostruzionismo. Esiste una regola banalmente chiamata dei 21 giorni: se per tre settimane portiamo avanti quotidianamente un’abitudine, si riesce a farla propria e trarne benefici. E una buona abitudine per l’anno prossimo sarebbe farsi le domande giuste senza attaccare l’altro, o in breve, dare una possibilità al mondo che verrà.