Le malattie contagiose sono parte integrante della storia dell’umanità, da quando gli uomini hanno iniziato ad organizzarsi in società, creando nuclei di persone che si relazionano e convivono nello stesso spazio. I disagi psicologici correlati alle pandemie come l’aumento dei livelli di ansia, di panico e di stress nella popolazione o la modificazione della percezione del rischio e delle modalità di trasmissione si aggiungono alle tante manifestazioni psicologiche che ognuno si trovava a vivere nella propria esistenza pre-pandemica.
E così, mentre si è concentrati a proteggere il sistema immunitario fisico, non si dovrebbe dimenticare di proteggere anche il sistema immunitario psicologico. In tempo di pandemia partire da quello che è il nostro presente, ancorati ad un senso di sicurezza interno, è importante per mantenere la possibilità di scegliere e di agire in direzione del futuro.
La diffusione del Covid-19 ha inevitabilmente indotto un cambiamento nella professione degli psicoterapeuti che si sono trovati per la prima volta nella storia umana a vivere l’esperienza del proprio lavoro in un contesto di pandemia. A fronte di un impoverimento dato dal’’impossibilità di una relazione in presenza, le circostanze hanno richiesto una flessibilità e capacità di adattamento tali da permettere alla relazione terapeutica di andare oltre il distanziamento sociale.
Tradizionalmente la psicoterapia si svolge all’interno di una cornice molto rigida che viene definita setting e che è l’insieme di una serie di norme che regolano il rapporto tra terapeuta e paziente. Il diffondersi del Covid-19 ha portato a un cambiamento del setting terapeutico, l’introduzione di software per videochiamate, attraverso cui svolgere colloqui clinici, ha infatti trasformato la seduta in presenza in un’esperienza di e-therapy. Tale rapido cambiamento operativo è stato motivato dalla situazione di potenziale pericolo, dalla necessità di tutela e protezione reciproca ed è stato volto, in prevalenza, alla prosecuzione dei lavori terapeutici già impostati precedentemente.

Questa importante rivoluzione ha portato molti psicoterapeuti, che ci hanno condiviso alcune riflessioni cliniche e che preferiscono rimanere in anonimato perché strettamente tenuti al segreto professionale, a mettersi in discussione e a rivalutare le proprie tradizionali convinzioni rispetto i nuovi strumenti che hanno fatto emergere vantaggi inaspettati e sorprendenti.
I confini tra paziente e psicoterapeuta sono diventati più liquidi e l’incontro avviene attraverso un intermediario, il mezzo tecnologico, che di certo non sostituisce la corporeità, ma la psicoterapia è soprattutto l’incontro di due menti e in questo modo la funzione terapeutica anche perdendo un aspetto, rimane intatta, perché come ci spiega uno dei tanti psicoterapeuti che abbiamo ascoltato, la chiave di ogni terapia è la comunicazione. È all’interno dell’atto comunicativo che si realizzano i processi e le forze del sistema che interagisce e che si può adattare e riadattare alle nuove condizioni di vita. Se tecnicamente è necessario avere un’ottima connessione e un’alta qualità della strumentazione audio e video, umanamente ciò che rende efficace un percorso terapeutico è la relazione con il paziente e l’alleanza di totale fiducia da conquistare e saper mantenere.
Prevale l’idea che il setting online non annulli totalmente la corporeità e la sua lettura, diverse sono le potenzialità cliniche che si possono sfruttare, uno dei punti di forza è a favore dello stesso psicoterapeuta, ci spiegano in base alle esperienze personali che vedere se stessi oltre che il paziente nel riquadro sullo schermo, osservare le proprie espressioni, i movimenti di reazione è un autosupervisione molto utile. Del resto, anche gli stessi psicoterapeuti a loro volta diventano pazienti, perché necessitano di un loro spazio personale dove poter lavorare su se stessi. La supervisione fa parte della formazione del terapeuta e ancor di più in questo periodo in cui sono esposti a una dose giornaliera di vissuti inevitabilmente più tossici. Negli ultimi vent’anni sono stati condotti diversi studi clinici negli Stati Uniti, in Svezia e in Israele i cui risultati hanno mostrato che nella maggior parte dei casi la terapia online è una valida alternativa a quella di persona e che le due sono paragonabili sia sul piano della soddisfazione del paziente che negli effetti a lungo termine, tanto che l’American Psychological Association e la Società Internazionale di Psicoanalisi hanno stabilito linee guida e buone prassi da seguire.

Fatte salce alcune condizioni cliniche peculiari o per gravità o per tipologia di sintomi (come persone a rischio di suicidio), l’efficacia della terapia a distanza è stata dimostrata per la maggior parte delle terapie, indipendentemente dall’approccio psicoterapeutico. Si ritiene infatti che non è difficile scendere ad un livello di contatto emotivo più profondo, poiché alcuni pazienti giovano dell’effetto della disinibizione online, cioè la tendenza ad esprimersi e agire con maggior impulsività e intensità emotiva sul web piuttosto che di persona. Lo schermo crea una barriera che può essere vissuta come protezione e il paziente è più disponibile ad accedere e condividere sofferenze più profonde. Impuntarsi quindi su aspetti formali della terapia come il fatto di essere presenti di persona, può diventare addirittura controproducente, per le persone ad esempio che dopo aver iniziato una terapia decidono di trasferirsi in un’altra città o in un altro paese, il passaggio alla terapia online è una buona soluzione per non interrompere una relazione terapeutica che funziona e dover ricominciare tutto da capo con un nuovo professionista. Per alcuni pazienti, la terapia con videochiamata è a maggior ragione efficace perché è anche l’unica opzione possibile: per esempio per chi vive in zone particolarmente isolate, per chi ha problemi di mobilità a causa di disabilità fisiche, malattie croniche o disagi psicologici (come la paura degli spazi aperti o forme di fobia sociale) o semplicemente per chi ha impegni che gli impediscono di andare regolarmente nello studio del terapeuta. L’American Psychological Association fa notare anche come per i pazienti più giovani, abituati fin da piccoli a una comunicazione mediata da chat e chiamate, la terapia online possa risultare più rassicurante di un incontro di persona.
Ma soprattutto è una modalità che incoraggia a intraprendere un percorso, rompendo la vergogna attraverso un mezzo che fa sentire il paziente a proprio agio. C’è ancora infatti una convinzione sbagliata e fin troppo radicata che va a colpire le fasce più sensibili, come gli adolescenti, che chi va dallo psicologo sia una persona pazza e fragile. In Italia c’è la tendenza a nascondere il malessere psichico, la società ha educato alla vergogna e spesso si minimizzano i problemi pur di non accettarli.
Un dato diffuso dal ministero della salute riporta che il 70% degli italiani è inutile parlare con lo psicologo e sono 777.000 gli italiani che soffrono di disturbi psichiatrici. I motivi di questa sfiducia risiedono nella matrice culturale che tende ad escludere l’insuccesso per essere sempre vincenti al fine di ritenere la propria vita soddisfacente. Ci dice una psicoterapeuta “esiste ancora la convinzione che i panni sporchi vanno lavati in casa, ma fondamentalmente si ha paura di scoprire che il malessere psichico del singolo è il sintomo di un malessere più generale che non si vuol vedere”.

Fortunatamente negli ultimi tempi la tendenza è quella di una predisposizione a farsi aiutare tanto che ci si nasconde non per la vergogna, ma alla ricerca di privacy. I pazienti che si rifugiano a casa devono trovare un posto per le loro sedute di terapia dove nessun altro può sentirli, a volte trovano privacy in una camera da letto, in un armadio o in una macchina, in un bagno, nella stanza della lavanderia, con lavatrice e asciugatrice accese per confondere le parole con il rumore. Siamo passati dal paziente freudiano disteso sul lettino al paziente seduto sulla tazza del bagno pur di non rinunciare alla sua seduta di psicoterapia, c’è una spinta quindi all’evoluzione che rompe le resistenze radicate nel passato dovuta ad un adattamento che richiede il nostro tempo.
E addirittura oltre alla terapia a distanza con strumenti come Skype ci sono servizi di altro tipo ancora più lontani dalla terapia tradizionale. Soprattutto negli Stati Uniti, negli ultimi anni sono nati numerosi progetti nell’ambito dell’innovazione del supporto psicologico.
Un’ulteriore variante di queste nuove forme è quella degli assistenti virtuali o chatbot, dove la tecnologia non si limita a mettere in contatto paziente e terapeuta a distanza, ma sostituisce completamente il terapeuta. Intelligenze artificiali che comunicano con gli utenti tramite il programma di messaggistica di Facebook. Entrambe funzionano con algoritmi che conversano con l’utente usando domande e suggerimenti in risposta alle parole che manifestano un possibile disagio dell’utente. Per esempio, se l’utente scrive “nessuno mi vuole bene”, l’intelligenza artificiale cercherà di sostituire questo pensiero con altri più funzionali per il benessere della persona.
Lo psicoterapeuta virtuale quindi in futuro potrà sostituire quello umano oppure essere da sostegno integrativo alla terapia, ma questo porterebbe a una disumanizzazione, a cui non si è ancora pronti nonostante i regali che può fare un incontro online.

Tra le esperienze più emozionanti che abbiamo ascoltato infatti c’è quella in cui lo psicoterapeuta si collega per la prima volta con un suo paziente e si commuovono.
Ci dice che da quell’incontro ha potuto cogliere una grande opportunità clinica e professionale, perché l’autenticità del lavoro di quella seduta è stata proprio in quella grande umanizzazione che non ha incontrato barriere computerizzate.
Ma c’è anche del lato comico e grottesco, come quando uno psicoterapeuta era talmente assorto nei suoi pensieri da dimenticare di aver iniziato la seduta a torso nudo.
Oggi le ricadute sulla salute mentale del Covid-19, sono per lo più di storie devastanti di ansia e perdita di ogni tipo immaginabile – perdita di persone care, perdita di salute, perdita di posti di lavoro, perdita di stabilità, perdita di presenza fisica, perdita di contatto, perdita di routine quotidiane, perdita di matrimoni, lauree e riunioni di vacanza e perdita anche della capacità di sorridere vicini mentre si cammina intorno all’isolato, a causa delle mascherine che coprono la bocca. In un certo senso, le perdite possono essere ridotte a perdita di tutto ciò che ci fa sentire umani.
Questa umanità però è possibile ritrovarla nella protezione di in un incontro di psicoterapia online che fa sentire al sicuro almeno per un’ora e che a volte inaspettatamente sa regalare perle di comicità.