Questo sciagurato e a detta di molti horribilis anno bisestile verrà forse ricordato per il Coronavirus, per gli incendi e per gli uragani. Magari i negazionisti diranno che nulla di tutto questo è mai esistito. Ma noi, per alleggerire un po’, distraiamoci con qualche curiosità sugli uragani.
Dopo la tempesta Wilfred, individuata il 18 settembre scorso 1.500 km a ovest delle coste del Senegal e delle Isole di Capo Verde, i nomi dei cicloni tropicali, che generalmente vengono assegnati a tutti i forti vortici con venti a intensità maggiore di 65 km/h, hanno già a fine estate completato l’intero elenco alfabetico, e si è cominciato a ricorrere alle lettere greche: α, β, γ e via dicendo.

La storia dei nomi è abbastanza curiosa. Fra la fine del 1800 e l’inizio del ‘900 molti uragani delle Indie occidentali (paesi e isole comprese fra la Florida e il Venezuela) venivano battezzati con il nome del santo del giorno in cui nascevano. Per alcuni si sceglievano nomi speciali, come il “Great September Gale” del 1815 o il “Great Miami Hurricane” del 1926. Intanto un meteorologo australiano, Clement Lindley Wragge, dal temperamento ardente come il colore dei suoi capelli, cominciò nel 1887 a chiamare le tempeste con i nomi di donne delle isole del Pacifico che avevano attirato la sua attenzione. Avvertiva che non si sarebbero dimostrate così morbide e gentili come le fanciulle tahitiane.
Nel 1941, un romanzo bestseller intitolato “Storms”, aveva come protagonista un meteorologo che, ispirandosi a Wragge, di sua iniziativa chiamava le tempeste come le ragazze che conosceva (Ruth, Lucy e Katherine) e poi quelle che non conosceva (Antonia, Sylvia e Maria). L’idea piacque agli esperti dell’esercito e della marina inglese, che cominciarono ad assegnare nomi femminili alle tempeste. Le donne, secondo la tradizione marinara, portano sfortuna a bordo delle navi e dunque, secondo loro, anche sulle acque degli oceani. Questo metodo fu adottato a partire dal 1953 anche dall’americano National Hurricane Center.
Il Wome’s Liberation Movement, nato alla fine degli anni ‘60 del secolo scorso, protestò vivacemente per il criterio sessista e finalmente, a partire dal 1978, le liste tempestose cominciarono a includere anche i nomi maschili.
L’Organizzazione Meteorologica Mondiale (WMO) sforna attualmente ogni anno una nuova lista con un ordine alfabetico di 21 nomi, replicando poi la stessa serie dopo 6 anni (il prossimo reply nel 2024). Non vengono utilizzate le lettere q, u, x, y, z, perché si ritiene che sia difficile trovare nomi propri con quelle iniziali. Tra i nomi delle altre iniziali, anche alcuni come Dorian (uragano del settembre dello scorso anno), sono rari: dei 14 milioni di abitanti della Florida, soltanto poco più di 800 si chiamano così. Lo scorso luglio, chissà perché, Ike (il nomignolo di Dwight D.Eisenhower, 34° Presidente degli Stati Uniti), fu sostituito da Isaias, uno dei cinque maggiori profeti biblici.

In caso di sovrannumero nell’anno di cicloni tropicali, si ricorre all’alfabeto greco, un caso che finora si è verificato solo nel 2005, ma che a detta di alcuni esperti potrebbe ripetersi con frequenza nei decenni a venire, a causa del rinvigorirsi dell’energia atmosferica per il cambiamento climatico. E nella sciagurata ipotesi di completamento della lista delle lettere greche, si apporrebbe alla tempesta un timbro speciale ricordando l’anno.
Intanto ora, già verificatisi 20 cicloni, ne potrebbe arrivare entro la fine di dicembre un’altra quindicina.
Tra le cause scatenanti gli estremi climatici che hanno pesantemente colpito gli Stati Uniti, quelli occidentali con i devastanti incendi e gli orientali con gli uragani dai pochi precedenti, agisce probabilmente il recente intervento della Niña, il fenomeno che raffredda oltre misura la superficie dellle acque del Pacifico, un’azione esattamente opposta a quella di suo fratello El Niño.
Ma non va certamente dimenticata la causa antropica e il peso della politica energetica basata sul carbonio. Per i nomi degli uragani non mancano in proposito le recenti proposte alternative, alcune ironiche e taglienti, come quella di Jamie Henn, cofondatore del gruppo di difesa ambientale “350.org”, che ha proposto di battezzare le tempeste “uragano Chevron” o “ciclone ExxonMobil”.