Il disastro alluvionale di Palermo del 15 luglio è una ferita profonda per la città e per l’Italia. Ha sorpreso perché non era atteso, perché siamo in estate, perché è stato così violento, perché è mancata l’allerta e probabilmente ogni sistema di prevenzione e di contenimento.
Non vogliamo qui indagare sulle questioni concernenti la sicurezza dei cittadini dagli eventi catastrofici, né sulle responsabilità sui mancati avvisi. E’ compito delle amministrazioni locali e, eventualmente della magistratura.
Piuttosto vanno chiariti alcuni punti che possono essere utili per spiegare come e perché succedono calamità di questa portata e con le conseguenze di danni gravissimi e, probabilmente, della perdita di alcune vite.
Partiamo dalle cause meteorologiche. Si è trattato dell’incontro/scontro di aria fredda in quota, proveniente da una corrente nord-atlantica, con aria molto calda e umida mediterranea, presente nei bassi strati. Quando l’aria fredda sovrasta l’aria caldo-umida, la forza di gravità e la notevole differenza di densità delle due masse d’aria fanno sì che la prima precipiti violentemente al suolo e scalzi di colpo la seconda, che, ricca di energia (il vapore), si invortica verso l’alto costruendo altissime nubi temporalesche. Il fenomeno è abbastanza probabile nei pomeriggi estivi alpini e padani e talvolta sulle zone interne peninsulari, quando il suolo si scalda molto e viene sovrastato da impulsi freddi. Queste nubi, i cumulonembi, possono dare fenomeni grandinigeni e venti violenti.

Ma questo non accade in estate in Sicilia, che nella stagione solare dimostra normalmente un comportamento siccitoso. A luglio, di norma, cadono a Palermo solo 4 millimetri di pioggia. La stagione delle piogge è invece compresa tra ottobre e gennaio, con un prologo in settembre. Nell’intero anno si registrano in media precipitazioni di 605 mm.
Nelle 2 ore di quel pomeriggio, invece, sono caduti ben 125 millimetri d’acqua, quanti “normalmente” ne cadono, sommati, in settembre e in ottobre, e si è trattato di più di un quinto del totale annuo. La temperatura al suolo è crollata di colpo di 7 gradi. Secondo alcuni documenti storici si è trattato di un evento che non ha precedenti dal 1790. Eccezionale, non vi è alcun dubbio.
Ma l’eccezionalità non deve essere sinonimo di ineluttabilità. Il cambiamento climatico in atto e previsto per il proseguo del secolo in corso ci mette in guardia: quelli che fino alla metà del secolo scorso erano considerati eventi rari, ricchi di energia e dai lunghi tempi di ritorno, ora ricorrono sempre più spesso.
Va poi fatta una seconda importante considerazione. Le previsioni meteorologiche hanno beneficiato di sensibili e innegabili progressi, specialmente a partire dalla seconda metà del secolo scorso, grazie soprattutto alla via via cescente potenza di calcolo dei super-computer e a alle sempre più raffinate rilevazioni dei satelliti e dei radar meteorologici.
Alla prognosi a varie scadenze si arriva con la risoluzione delle equazioni dell’atmosfera attraverso l’acquisizione di misurati dati iniziali alle diverse quote tramite una nutrita popolazione di punti di osservazione, e attraverso serie successive di calcoli matematici. Stabilita una scadenza temporale, si parte dai dati di partenza e si calcolano in una prima tappa quelli finali. Si prendono poi questi come nuovi dati di partenza e si calcolano quelli a un termine successivo. E così via. L’iterazione del procedimento introduce man mano errori che possono allontanare dal buon esito della prognosi alla finale scadenza prefissata. L’esperienza dimostra che si possono avere buone previsioni entro il termine di 2-3 giorni, 5 nei casi più favorevoli con tempo stabile.
Ma vi sono insidie anche nelle previ a brevissima scadenza, cioè entro le 24 ore! Le cosiddette “now-casting”, le previsioni per l’immediato futuro, si basano infatti sull’osservazione delle perturbazioni attraverso immagini radar che mostrano con vari colori le zone via via più piovose e i temporali via via più forti. Le nowcasting non sono altro che le estrapolazioni per le ore successive all’immagine rilevata al tempo zero. Si tratta dunque di una elaborazione grafica di un computer, non di una serie di situazioni reali. Ciascuno di noi, consultando con un telefonino un’app di indagine meteo-radar, può constatare che ci si può fidare dell’immagine del tempo in atto, ma molto meno delle successive, alle quali, al contrario, si sarebbe portati a dare credito perché riferite a ore molto vicine.
Un’ultima considerazione importante. L’incredibile complessità delle correnti e delle trasformazioni chimico-fisiche all’interno alle nubi e nell’aria non consente prognosi del tempo di tipo deterministico, cioè da A consegue solo B. E’ invece probabile che da A possa scaturire un limitato insieme di possibilità vicine a B, escludendo invece quelle lontane.
La scienza dell’atmosfera, non esatta ma scienza perché si basa su osservazioni misurate da strumenti, su leggi fisiche, su equazioni e calcoli matematici, ha lasciato da tempo la strada newtoniana del determinismo per seguire con maggiore e crescente profitto la via probabilistica, la stessa che, tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900, ha rivoluzionato la fisica atomica e lo studio dell’universo con gli studi e le teorie di Maxwell, Dirac, Heisenberg, Einstein e altri scienziati. Il tempo segue le stesse logiche, e così, se ci riflette, va anche la nostra vita, snodabile attraverso scelte, probabilità e accadimenti anche imprevisti o poco prevedibili.