Dopo il lockdown ci saranno più divorzi (come sembra essere accaduto in Cina) o più bambini? E come stanno vivendo i bambini questa quarantena forzata?
Ne parliamo con la Dr.ssa Annalisa Fronzoni, psicologa e psicoterapeuta specializzata in psicoterapia dell’età evolutiva, dell’adolescenza e della coppia.

Fronzoni, oltre a seguire i pazienti privatamente, da anni svolge il ruolo di consulente tecnico d’ufficio presso il Tribunale Ordinario e Penale di Roma nelle cause di separazione e divorzio, dopo un Master in Psicologia Giuridica, psicopatologia e psicodiagnostica forense.
La dottoressa ha inoltre pubblicato Imputabilità per il minore e gli attuali risvolti giuridici e psicologici, Brevi note sulla metodologia di intervento gruppoanalitico nel contesto scolastico, Delirio e gravidanza, L’ipnosi per la preparazione al parto.
La quarantena forzata che si protrarrà ancora per qualche settimana ha sicuramente messo alla prova molte coppie. Come ne usciranno? Sono più a rischio le unioni di lungo corso o quelli più recenti?
“Più è lunga la durata della coppia più è facile che questa abbia avuto il modo di conoscersi e sperimentarsi autenticamente con le proprie caratteristiche e aver consolidato e messo in atto strategie per superare la crisi.
Le coppie, infatti, possono trovarsi in una prima fase di innamoramento o in quella successiva dell’amore e dell’appartenenza di coppia. La prima fase è basata sull’attrazione fisica e sull’idealizzazione che non permette di vedere realmente l’altro. La seconda fase è quella della conoscenza dell’altro, delle sue reali caratteristiche non quelle immaginate o proiettate. Quando la coppia entra nella seconda fase e crea un’identità comune trae soddisfazione dalla reciprocità e diviene più forte anche nel fronteggiare situazioni critiche. Queste allora possono divenire anche, nonostante la sofferenza, un’opportunità di cambiamento e crescita.
La maturità della coppia tuttavia non dipende solo dalla durata temporale ma anche dalla capacità di condividere stati d’animo, pensieri, malumori e paure. Condividere e ad accettare in sé e nell’altro pregi, difetti, risorse e limiti permette di superare i bisogni egoistici e infantili e ad affrontare in maniera matura e funzionale situazioni emotivamente stressanti come il Covid-19″.
Le coppie che supereranno la quarantena forzata potranno quindi dirsi “immuni” da ogni conflittualità futura? Possiamo dire che sono ben collaudate?
“La coppia si conosce e ridefinisce nel corso dell’intera vita e va incontro ad un susseguirsi di momenti critici da risolvere ed elaborare. Certamente la quarantena mette alla prova la capacità della coppia di affrontare in maniera comune e costruttiva pericoli e limitazioni. Superare la quarantena evidenzia la capacità della coppia di fare fronte comune, di contrastare i propri bisogni individuali per fare spazio a quelli condivisi, in maniera matura e stabile. Tuttavia nel corso del tempo la coppia va sempre incontro a crisi e conflittualità che possono essere affrontate attraverso la riflessione, la mentalizzazione, l’ autonomia psichica e la condivisione emotiva”.
Come si possono aiutare le coppie dove uno dei due soffre di patologie come depressione o ansia, cosa consiglierebbe al partner per aiutare il compagno/a che sta soffrendo?
“In caso di psicopatologie che tendono ad acutizzarsi in situazioni stressanti è bene che il compagno possa aiutare l’altro a mettersi in contatto con uno specialista e intraprenda, in caso di bisogno, una terapia. E’ pericoloso e dannoso infatti, che sia il partner a farsi carico della patologia in quanto non ne può avere gli strumenti e perché in tal modo la coppia entrerebbe in crisi. Una coppia deve fondarsi su dinamiche vitali, paritarie e costruttive”.
Le coppie con bambini si sono viste improvvisamente senza il supporto della scuola e dei nonni. Secondo lei sono sempre le donne quelle a sentire di più il peso della gestione familiare: pulizie, cucina e figli?
“Purtroppo siamo ancora vincolati a modelli educativi piuttosto rigidi, con una forte divisione di ruoli in cui all’uomo è affidato il ruolo di chi provvede economicamente alla famiglia e alla donna la cura e gestione della casa e dei figli. Conseguentemente, anche in situazioni di emergenza come questa che stiamo attraversando, è difficile cambiare modelli operativi interni che abbiamo acquisito nel corso di una vita e che in alcuni casi permettono una gestione più facile delle incombenze familiari. Tali schemi tuttavia possono entrare in crisi in un momento di forte stress emotivo e destabilizzare l’equilibrio familiare. E’ importante quindi confrontarsi, riuscire a supportarsi e riorganizzarsi insieme”.
Sempre parlando di donne, molte di loro sono vittime di violenze e adesso si trovano a dover convivere 24 ore al giorno con i loro carnefici, in una condizione di isolamento sociale e di paura costante. Quali possono essere i consigli per evitare scontri diretti e magari prendere coscienza degli step da affrontare una volta che l’emergenza passi?
“Il vincolo di stare a casa contribuisce al maggior numero di casi di violenza domestica e alla maggiore continuità delle azioni abusanti. Tuttavia è da tenere presente come molto spesso la relazione patologica era già stata instaurata. E’ importante che la vittima impari ad esser obiettiva e giudicante nei confronti di chi la sta abusando, a rendersi conto di ciò che sta accadendo e volere affrontare la separazione. E’ importante quindi che si prepari ad allontanarsi completamente dal carnefice, riprendendo contatto con sé stessa e affrontando il dolore legato alla propria storia personale. Durante l’emergenza è consigliabile non rivelare l’intenzione di lasciare il partner perché questo instaura in quest’ultimo comportamenti ancora più violenti. Si deve però acquisire una sempre maggiore consapevolezza e determinazione di farlo una volta passata l’emergenza, magari alleandosi con uno specialista che permetta di lavorare sull’accettazione di sé stessi e sugli schemi di relazione distorti che ci sono alla base di queste situazioni”.
Le famiglie con figli unici sono in qualche modo “privilegiate” oppure i figli unici sono più isolati e soffrono maggiormente per l’interruzione delle attività scolastiche?
“Non ritengo che si possa generalizzare e differenziare le reazioni per categoria, ma è determinante il modello educativo, il tipo di rapporto che il minore ha con i genitori, l’esempio che riceve, la sicurezza e maturità del genitore. Le differenze non sono attribuibili al numero di fratelli ma all’ambiente rispettoso, amorevole e attento alle loro esigenze.
Genitori che non hanno realmente desiderato il figlio possono metterlo in una condizione psicologica di solitudine maggiore che sfocerà in una profonda difficoltà ad instaurare rapporti affettivi e amicali nonostante il bambino abbia fratelli. In genere, i figli unici sono portati a trascorrere più tempo con gli adulti comportandosi di conseguenza in maniera più matura, presentano meno propensione alla cooperazione ma d’altro canto hanno maggiore capacità di trovare soluzioni creative, una maggiore autostima e fiducia in sé. Il loro investimento emotivo è su pochi amici privilegiati”.
Quali sono le attività consigliate per stimolare i bambini che si trovano a trascorrere più tempo a casa?
“Oltre a predisporre attività intellettualmente più impegnative per la mente dei ragazzi come collegamenti on line con la scuola e stimolare lo svolgimento dei compiti, è utile anche sollecitare la creatività con attività quali il disegno, la pittura, il lavoro della creta oppure il gioco in cucina. Risulta anche utile stimolare limitate attività fisiche in casa anche sotto forma di gioco. E’ utile inoltre alimentare l’aspetto relazionale ed affettivo mettendo in collegamento, magari telefonicamente o mediante videochiamate, i bambini con le persone significative familiari e amicali”.
Come fare per mantenere la calma mentale e raggiungere un buon equilibrio psico fisico anche in spazi ristretti?
“E’ possibile provare in questo periodo panico, ansia e bisogno di agire comportamenti irrazionali. Per mantenere la calma e l’equilibrio è necessario sviluppare, anche in spazi ristretti, un atteggiamento costruttivo suddividendo ad esempio la nostra giornata in momenti da vivere anche in spazi differenti: la colazione, l’attività fisica, la lettura, il pranzo, il caffè, l’hobby, l’aperitivo serale, la cena, il telegiornale e il film. Possono essere utili, nel momento in cui si è sopraffatti da ansia e dalla percezione negativa degli eventi, le tecniche di rilassamento, per raggiungere uno stato di calma. Importante risulta dedicare una mezz’ora ogni giorno a qualche esercizio fisico che permetta di scaricare la tensione e liberare e endorfine”.
Lei ha una figlia di 12 anni, come sta vivendo questo momento? I bambini più piccoli hanno la percezione del pericolo o vivono queste restrizioni come una punizione di cui non comprendono i motivi?
“Più sono piccoli i bambini meno hanno capacità di razionalizzare e di attribuire le cause agli eventi. I bambini tendono a soffrire maggiormente le restrizioni fisiche e relazionali necessitando di un sostegno affettivo dell’adulto, che deve saper interpretare di volta in volta i segnali di malessere ed idealmente instaurare una comunicazione profonda, interessata ed autentica, volta a trovare insieme soluzioni costruttive e creative. È importante spiegare ai bambini e agli adolescenti, con vocabolari a volte molto distanti dal nostro, quello che sta accadendo senza mentire, magari usando mezzi adatti all’età del bambino e quindi parole semplici, immagini, giochi, filmati appropriati. Possiamo invece aiutare gli adolescenti ad informarsi attraverso fonti d’informazione ufficiali e social network, ovviamente controllandone le fonti ed incoraggiando un’ informazione critica”.

Lei ha collaborato anche con la Regione Lazio e con i Garanti delle Comunicazioni e dell’Infanzia e dell’Adolescenza, recandosi spesso nelle scuole per parlare di bullismo e altri argomenti legati all’adolescenza, vista anche la sua specializzazione in sessuologia. Ecco, il fatto di non poter andare a scuola quanto sta influendo nella crescita emotiva, e non solo educativa, dei bambini?
“Penso che i ragazzi stiano vivendo giorno dopo giorno un disagio psicologico basato sulla mancanza dell’interazione diretta che permette di ricevere oltre alle informazioni, anche quei rinforzi nelle proprie possibilità che rafforzano la fiducia in sé stessi rendendo la didattica interessante e meno complicata. Lo sguardo di un insegnante, la sua specifica attenzione, il commento ad un lavoro permette di superare le difficoltà incontrate e dare avvio ad una riflessione che esula dal programma ma che diviene formativa e trasformativa. Sono i rapporti con l’insegnante o con i compagni che permettono di tenere a bada le preoccupazioni e la confusione. La mancanza di questi potrebbe portare ad un crescente disorientamento dei ragazzi, specialmente di quelli più fragili e privi di risorse familiari. I ragazzi, tuttavia, possiedono un’ottima resilienza e una grande capacità di recupero, tanto che nel ritornare alla normalità potranno apprezzare nuovamente le esperienze gratificanti. La chiusura delle scuole sembra poter durare parecchio, dal momento che si inizia ad ipotizzare didattica on line anche a settembre, mentre però non sono ancora previsti interventi che aiutino le famiglie a sostenere tutto questo”.
E’ possibile “beneficiare” da questo lockdown? Conosciamo bene tutto quello che comporta negativamente: nessuna interazione sociale, perdita per molti del lavoro, crisi economica. Ma c’è un lato “positivo”, qualcosa di cui fare tesoro?
“Il lockdown costringe a confrontarci con le nostre fragilità, con i nostri limiti, con le paure, con le risorse e i limiti senza la possibilità di evaderne e di trovare soddisfazione immediata, infantile o narcisistica. Adesso che non è possibile ricevere una gratificazione immediata al nostro bisogno o desiderio, che i rapporti non ci restituiscono l’immagine del nostro valore, che non occupiamo il tempo con il lavoro, siamo costretti a riflettere e a conoscerci davvero. Si è quindi forzati a riconoscere e ad accettare tutte le nostre sfaccettature, quelle che ci piacciono e quelle da cui fuggiamo, e a sperimentare il nostro vero “sé”. Questo processo, che necessita di tempo, per quanto doloroso, potrebbe condurre all’acquisizione di autonomia e pienezza, liberandoci dalle dipendenze e dal senso di vuoto”.