Mai come oggi in Italia viviamo di presente, non ci interessa il passato né familiare né tantomeno storico. Riteniamo il nostro passato a portata di mano in quanto facilmente conoscibile, ma non è conosciuto perché lo ignoriamo in massima parte, nonostante sia stato materia di studio del nostro intero percorso scolastico.
Viviamo entro i confini, ma non dello Stato, piuttosto della nostra città, come se fossimo circoscritti entro mura medievali atte a preservarci dai barbari, quelli che stanno fuori, estranei ai nostri usi e costumi che, tuttavia, sono solo una patina dei valori ormai dimenticati della nostra cultura. Eppure adoriamo la globalità commerciale che ci omologa ai presunti barbari. Non ci rendiamo conto che tale globalità ha distrutto le nostre identità culturali in favore di un livellamento del gusto e dell’intelletto.
Chi vive di presente si sente immortale, è simile a un animale che ignora la morte. Non si interroga se tale condizione sia una condanna o meno, come hanno fatto i filosofi per secoli. E’ un diritto, punto. Fino a prova contraria però, perché la morte è sempre l’unica certezza.
Platone cita nel Gorgia un verso di Euripide: “Chi sa se vivere non è morire e morire vivere?” Un finto dubbio che sottende all’unica possibilità d’immortalità riconosciuta dagli antichi Greci: lasciare un ricordo immortale di sé. Ciò che contava era solo la gloria futura, che si otteneva attraverso lo sforzo di essere il migliore, anche se ciò avesse dovuto comportare la morte, ma proprio perché si trattava di una morte eroica, essa ti avrebbe permesso di vivere per sempre attraverso il ricordo dei posteri. Erano pratici i Greci: prima del concetto biblico della resurrezione della carne e di quello cristiano dell’immortalità dell’anima, entrambi di difficile realizzazione o di impossibile verifica, avevano coniato l’immortalità del nome, che ti imponeva di vivere una vita retta, attraverso atti eroici. Valore, dignità, onore erano la via per diventare eroi. Gli eroi cercavano di avvicinarsi agli dei attraverso prove e conquiste, ma non dovevano dimenticare mai che erano uomini e non dei e non gli era concesso di comportarsi da dei. Un atto di superbia che li avrebbe fatti precipitare nella dimenticanza.
Oggi molti personaggini della politica o dello spettacolo si sentono dei ostentando un’immagine divina sui giornali di gossip e nei programmi trash; e la cosa più squallida è che c’è una massa di pecore che li guarda con ammirazione e cerca di imitarne il look, il che gli dà una popolarità che spesso fa rima con indegnità. Quindi mettiamo dei limiti fisici, come i confini, e non ci mettiamo dei limiti esistenziali e tantomeno comportamentali, quasi potessimo attraversare i confini dell’anima mundi con la piccolezza della nostra animuccia. Salvini docet.
La scienza sta cercando di accontentarci, trovando la possibilità di fermare l’invecchiamento e darci il ringiovanimento, e ritiene che fra mezzo secolo sconfiggerà la morte e saremo immortali. Lo sarà il nostro corpo, non l’anima, perché le moltitudini di ignoranti, funzionali alla società del progresso, stanno sconfiggendo la cultura. Ma senza conoscenza del passato non c’è futuro: vanno coltivati i classici, per tenere viva l’anima. Il segreto dell’immortalità non è vivere come immortali, bensì considerare immortale la vita stessa, non propria ma del genere umano.
Mosso da una profezia, il giornalista e regista Alberto Giuliani, per conoscere il futuro dell’umanità, si è recato al Polo Nord a parlare con i guardiani del clima, ha intervistato gli scienziati che stanno costruendo un sole artificiale più potente di quello naturale, ha incontrato ricercatori che clonano, tagliano e cuciono il dna ai limiti dell’eugenetica. E ne ha fatto un libro: Gli immortali. Storie del mondo che verrà, pubblicato da Il Saggiatore come Riccioli d’oro e gli orsetti d’acqua. Alla ricerca della vita nell’universo, scritto dalla astrobiologa e geologa planetaria Louisa Preston. Al pari della protagonista della fiaba “Riccioli d’oro e i tre orsi”, anche l’astrobiologia persegue il criterio del “proprio giusto”, tanto che una zona stellare con caratteristiche necessarie allo sviluppo della vita si chiama ”Fascia riccioli d’oro”. Mentre gli orsetti d’acqua sono dei microorganismi, somiglianti a microscopici panda a otto zampe, che riescono a vivere nelle zone più inospitali del pianeta, simili a quelle di altri mondi, che potrebbero ospitare altre forme di vita. Là dove, forse, vivono gli dei.