Dal 14 al 16 settembre appuntamento a Levico in Trentino con Alzheimer Fest, una grande festa e un incontro con i medici, gli ammalati, i “care givers” e le associazioni a sostegno della malattia che colpisce un milione e mezzo di italiani. 150 gli eventi che animeranno la seconda edizione tra spettacolo, musica, mostre di fotografia e di scultura, laboratori e incontri scientifici, tra gli ospiti tanti artisti come Paolo Jannacci, Paolo Hendel, Ferdinando Scianna, Dario Vergassola. L’idea nasce da Michele Farina, giornalista del Corriere della Sera e dal professor Marco Trabucchi, tra i massimi esperti internazionali di Alzheimer.
Come è nata questa idea di fare una festa per l’Alzheimer?
“E’ nata per festeggiare le persone che soffrono e che convivono con questa realtà quindi i familiari, gli amici. C’è un numero sterminato di persone ed è incredibile che si sentano spesso sole. L’idea di rompere la solitudine, di spezzarla, di farla a brandelli: l’idea nasce da questo: ritroviamoci. Andando in giro per l’Italia ci si accorge che le persone con l’Alzheimer con difficoltà ma sempre di più si ritrovano, non sono chiuse, ci sono tantissime realtà, associazioni che fanno questo: cercano di vivere nonostante la malattia e magari anche perché no trovando anche delle cose positive nella malattia, sembra un’eresia, ma ci sono persone che ti raccontano come il carattere con la malattia sia il lato più dolce. Certo ci sono le difficoltà, i disturbi del comportamento, la progressione della malattia ma questo non ci deve far dimenticare che insieme anche il tempo della demenza può essere un tempo di vita nel senso di un pezzo della nostra storia. L’idea che si debba festeggiare è perché si vive. E quali sono le cose che ci piacciono nella vita? Stare bene e una festa è un simbolo dello stare bene, è una festa per far incontrare persone e anche realtà che normalmente non si incontrano: i medici con gli artisti, chi si occupa di cura con chi si occupa di cibo, i politici con le badanti perché tutti sono sulla stessa barca”.
Questo suo interesse immagino che nasca anche da un’esperienza personale. Il suo libro “Quando andiamo a casa? Mia mamma e il mio viaggio per comprendere l’Alzheimer”. Cosa significa accompagnare un genitore in questo pezzo di vita?
“Mentre adesso le sto parlando mi viene la pelle d’oca, non so per quale motivo, sono delle esperienze che ti formano non voglio dire “ti segnano” come una cicatrice, ti formano con le cose brutte e le cose belle. Le realtà dure della vita come le demenze ti danno delle cose, per noi, per me, con una mamma che ha avuto l’Alzheimer che non c’è più da 20 anni, è stato un viaggio lungo che rispetto ai viaggi con malattie più brevi, ha i suoi vantaggi. Io ho vissuto nella mia esperienza privata, molto familiare negli anni ’90 non c’erano tante occasioni per condividere i problemi ma anche le possibilità di stare insieme, anche se abbiamo fatto di tutto perché mamma potesse stesse bene, i familiari “i cura cari” come li chiama Flavio Pagano…che invidia per questa invenzione dei “care givers”…. Oggi ho tantissimi miei amici o amiche hanno vissuto o vivono questa realtà. L’Alzheimer paradossalmente ci ha permesso di incontrarci, di riconoscerci al primo istante, senza parole o convenevoli, ecco credo che questo sia un altro dei frutti di queste esperienze”.
Un milione e mezzo di ammalati solo in Italia, secondo Lei cosa funziona e cosa non funziona nella comunicazione di una malattia grave, complessa e di grande impatto sociale?
“Io credo che sia difficile equilibrare il realismo e quindi riconoscere quante difficoltà ci sono, le persone affette da una forma di demenza e i loro familiari hanno bisogno di aiuto, non è che l’idea che si può vivere con una forma di demenza esclude il dovere da parte della società di aiutare con servizi, percorsi e un’attenzione che non è ancora così diffusa capillarmente. Ci sono tante realtà che sostengono questa malattia ma molto c’è da fare. La comunicazione deve rendere conto di queste difficoltà e di questa tragedia, perché lo è e dall’altra parte, non deve dimenticare che questa tragedia non nasconde, non acceca la vita. Dobbiamo dire la realtà e la verità che è molto difficile da affrontare ma che si può affrontare nel migliore dei modi. Non bisogna dire “non c’è niente da fare”, certo è giustificato perché è una malattia che ancora non ha cura, una soluzione farmacologica ma non è giustificato assolutamente per quanto riguarda la possibilità di convivere al meglio, non in solitudine”.
Cosa accadrà all’Alzheimer Fest?
“Il programma ha 150 piccoli eventi, ci sono gli ingredienti di una festa vera: c’è musica, teatro, si mangia si beve, ci sono i laboratori di arte, ci sono gli appuntamenti che riguardano la medicina, ci saranno i medici senza camici, tanti medici che fanno capo alle Associazione di psicogeriatria AIP, partner dell’Alzheimer Fest, vengono in maniera gratuita e si mettono a disposizione delle persone per fare il punto sulla ricerca, è un mix di cose dove ci si diverte ma non si dimenticano i problemi cercando di affrontarli insieme. Ci troveremo a riflettere, a cosa può fare in più la società, come si può cambiare il design delle case e le architetture delle città, gli spazi pubblici. Ci sarà un filosofo come Roberto Casar che verrà a raccontarci il design di prevenzione, ci sarà un giurista come il professore Flick che verrà a parlare delle attività come fondamento della convivenza. E’ una festa pensante. Tanti artisti di varia levatura, dalla Wanda Osiris a Paolo Jannacci, Matteo Boato, Max Papetti, autori come Paolo Hendel, Dario Vergassola, Gianna Coletti con uno spettacolo meraviglioso “Mamma a carico, mia figlia a 90 anni”. Poi ci sono delle realtà come dire dal basso, che non sono così famose ma che fanno cose meravigliose. C’è una mostra di sculture lignee che abbiamo intitolato “Più storto più bello”, ci sono le fotografie di Ferdinando Scianna che ha fotografato le persone che hanno una forma di demenza”.
Alla Voce il professor Marco Trabucchi tra i fondatori dell’Azheimer Fest
Professore Trabucchi, qual è la finalità di questa manifestazione che appare rivoluzionaria? Qual è lo scopo di unire familiari, specialisti, pazienti e curiosi mischiando tutto?
“La finalità dell’AF è quella di affermare in modo forte, senza tentennamenti o ritrosie, che “L’Alzheimer non cancella la vita”. Per dare corpo a questa frase abbiamo organizzato una manifestazione alla quale tutti sono invitati, nella quale si celebra la vita in tutte le espressioni, dall’arte, alla poesia, alla medicina, all’artigianato, alla cucina, alla medicina. Ci rivolgiamo in particolare ai malati e le loro famiglie, troppo spesso chiusi nelle case o nei luoghi di cura, perché si rendano conto che le comunità intelligenti non li isolano, ma vogliono renderli partecipi delle tante cose che danno senso alla vita, anche quando è dominata da una grave malattia come la demenza”.
Lei presiede la AIP Associazione Italiana ci spiega qual’è la finalità di questa associazione medica?
“L’AIP è un’ associazione scientifica che raccoglie medici neurologi, psichiatri, geriatri e psicologi. Lo scopo è creare una cultura non di settore che affronti i problemi che riguardano la qualità della vita nell’età avanzata e quindi sia quelli riguardanti gli stili di vita (ad esempio la solitudine), sia quelli riguardanti le malattie più frequenti (demenza, depressione, effetti delle patologie cardiocircolatorie, ecc). Persegue la costruzione di una cultura ed una prassi che veda sempre la stretta collaborazione tra le varie competenze”.
Lei è una della massime autorità internazionale nel campo dell’Alzheimer, ci può dire come è la situazione in Italia sia sul piano ricerca scientifica che sul piano di assistenza alle famiglie?
“In Italia c’è molto lavoro attorno alle demenze, sia sul piano biologico-sperimentale sia su quello dei servizi. Riguardo a questi ultimi, è attiva una rete di ca. 400 unità di cura specifiche che coprono tutto il territorio nazionale e impostano la diagnosi e le terapie che poi vengono seguite a livello territoriale. Una debolezza è rappresentata dal medico di famiglia, non sempre in grado di svolgere un ruolo adeguato nel follow up dei pazienti nel lungo periodo di malattia (che arriva in media a 10 anni). Un aspetto da migliorare riguarda il ricovero in ospedale delle persone affette da demenza quando hanno bisogno di interventi per patologie somatiche (mediche, chirurgiche, ortopediche)”.
Sembra che ci sia un grande divario tra Nord e Sud nell’assistenza ai malati e nell’efficienza della Sanità in generale, è vero?
“Purtroppo la differenza nord-sud è drammatica e, a mio giudizio, con tendenza all’aggravamento. Al sud la politica è in crisi, i tecnici più bravi fuggono, domina la corruzione. Non vorrei sembrarle troppo pessimista, ma non vedo da Roma in giù nessun piano coraggioso per cambiare la condizione attuale, nonostante tanta retorica. E’ ora di dichiarare apertamente che il regionalismo del sud ha prodotto mostri”.
Una domanda inevitabile, si fa tanta divulgazione sulle presunte cure per le demenze in generale e per l’Alzheimer in particolare, malattia che colpisce un milione e mezzo di persone, è vero che ci sono delle cure molto vicine all’orizzonte?
“Non vorrei sembrare superficiale nel dire che c’è qualche speranza… ma sono prudente, perchè ancora dispiaciuto dall’aver affermato 10 anni fa che entro un decennio avremo avuto il farmaco giusto. Dalle informazioni che ci giungono da più parti, oggi ho l’impressione che entro un anno avremo l’apertura di uno spiraglio. Si tratterà però di un farmaco con uno spettro di cura limitato (cioè sarà utile solo in un sottogruppo di pazienti, ben selezionati). Sarà una sfida per tutto il sistema sanitario collocare le eventuali nuove cure in un sistema adeguato, per evitare ingiustizie da una parte e sprechi dall’altra”.