Confesso di avere trovato invidiabile la chiarezza espositiva e la capacità di sintesi con cui Marco Mozzoni, autore di “Ipnosi in pillole” (Armando Editore, Roma 2018), è riuscito ad affrontare un tema tanto complesso in un volume di così agevole fruizione. L’esercizio di queste qualità è tanto più apprezzabile quanto più il tema è oggetto delle più strane “credenze” e vittima di ciclici pregiudizi. Il libro lo si apprezza dunque anche – e soprattutto – per il rigore scientifico con cui viene sviluppato, elemento prezioso per chi chiede da tempo agli “esperti” un quadro preciso e aggiornato su un fenomeno su cui è stato scritto davvero di tutto. Certo, l’attività di giornalista e comunicatore scientifico che l’Autore affianca da sempre a quella di neuropsicologo e psicoterapeuta specializzato in ipnosi clinica, nonché di docente in entrambe le discipline, lo ha facilitato non poco nel difficile compito di offrire al lettore una informazione rigorosa unita all’uso di un linguaggio comprensibile anche ai non addetti ai lavori, ai quali il libro è destinato.
Ancora oggi sopravvivono false credenze rispetto a cosa sia l’ipnosi, a cosa serva e in che cosa consista lo stato ipnotico. Secondo la tua esperienza, quali sono le più diffuse?
“Purtroppo resta ancora forte l’idea che l’ipnosi sia una forma di manipolazione, una tecnica da mentalista con cui una persona viene indotta a perdere coscienza mentre un’altra ne assume il controllo per manovrarla a suo piacimento. In realtà, in sede clinica avviene proprio il contrario: è infatti grazie all’ipnosi praticata da medici e psicologi specializzati che una persona è in grado di riacquistare il pieno controllo di sé, facendosi agente principale della propria cura, del proprio miglioramento quotidiano, liberandosi da problemi che ne hanno limitato la libertà per anni, fino a riacquistare una autonomia progettuale sulla propria vita che dà molto fastidio a chi specula per mestiere sulla cronicizzazione dei mali. Recentemente abbiamo condotto una ricerca, la prima nel suo genere in Italia, proprio su questi temi, che rappresentano il punto nevralgico del diritto dei pazienti a un’informazione completa e aggiornata sulle diverse forme di trattamento disponibili. Ne è emerso che gli italiani non conoscono gli utilizzi dell’ipnosi in ambito medico (oltre l’80% degli intervistati), nella terapia del dolore (70%), nella prevenzione (80%), nel trattamento di patologie specifiche (84%); inoltre, più del 51% sembra essere completamente all’oscuro di che cos’è l’autoipnosi. Il libro “Ipnosi in pillole” vuole contribuire a colmare queste lacune, mettendo i lettori in condizione di farsi un’idea ragionevole su questo metodo di estrema efficacia e dalle ampie potenzialità”.
Da dove nascono queste credenze? Come possono essere contrastate?
“Non è difficile dirlo. Basta guardare a quanto viene smerciato per ipnosi da trent’anni a questa parte nelle trasmissioni televisive. E gli ottimi volumi a firma di esperti autorevoli, anche nostrani, si perdono negli scaffali delle librerie, dominate da una pletora di pubblicazioni di sedicenti “ipnologi” spesso privi dei requisiti minimi per esercitare qualsiasi professione. Per contrastare questa disinformazione, credo che le battaglie a suon di carte bollate servano a poco. È molto più utile invece che gli operatori seri contribuiscano a promuovere una informazione scientifica rigorosa ma a portata di tutti, usando metodi di comunicazione capaci di coinvolgere le persone in iniziative di condivisione della cultura e della pratica ipnotica. Libri, articoli, interviste radio e servizi TV vanno bene, ma non fermiamoci qui. Noi del Centro di Ipnosi Clinica di Roma ad esempio siamo da anni impegnati a organizzare incontri gratuiti e seminari aperti a tutti, in cui illustriamo le basi neuroscientifiche dell’ipnosi, le evidenze di efficacia sulle diverse problematiche e nella prevenzione a partire dagli stili di vita, proponendo inoltre momenti esperienziali concreti, per far toccare con mano agli interessati che cos’è di fatto lo stato ipnotico e a cosa può servire. Il libro è un po’ frutto di queste iniziative, che hanno riscosso un successo superiore alle aspettative”.
Che cos’è, dunque, l’ipnosi clinica?
“Nel contesto della cosiddetta “mind-body medicine” l’ipnosi clinica è la modalità naturale più efficace di espansione delle capacità umane per facilitare il ripristino e l’auto-regolazione delle funzioni neuro-psico-fisiologiche dell’organismo. Rispetto ad altre metodiche, lavora in via preferenziale con l’inconscio, come un enzima di accelerazione dei processi interni di autoguarigione e di miglioramento. Funziona così bene perché sfrutta e potenzia, in prima battuta, i processi naturali di autoriparazione del corpo: generalmente le nostre ferite rimarginano da sole, tanto per capirci. Poi il nostro cervello è plastico, cioè modifica in continuo le reti nervose in base alle esperienze che facciamo, anche quelle interiori, che hanno per esso la stessa valenza, rinforzando le vie più utilizzate, che diventano sempre più efficienti. Insieme alla plasticità cerebrale, la neurogenesi è un altro elemento importante, universalmente riconosciuto: nuove cellule nervose possono nascere anche in età adulta, costituendo una riserva strategica che l’ipnosi sa bene come reclutare. Infine l’essere umano è una entità profondamente psicosomatica e non c’è bisogno di spiegarlo, perché lo sentiamo tutti i giorni semplicemente vivendo. E l’ipnosi è la via maestra per lavorare con successo sullo psicosomatico”.
Quali sono le sue principali applicazioni?
“Nella sua funzione riparativa serve a risolvere o aiutare nel trattamento di problemi medici e psicologici come ansia, attacchi di panico (sempre più frequenti tra i giovani), depressione, fobie, disturbi del sistema immunitario, dolore cronico e altri disordini del vivere contemporaneo, come dipendenze da sostanze e nuove dipendenze, sovrappeso e obesità. Nella sua funzione generativa può servire a potenziare le performance umane a tutte le età, nello sport, agonistico e non, nel lavoro, nello studio, nelle relazioni personali: creatività, processi decisionali, attenzione, sono tutte facoltà che possono avere beneficio. A livello regolativo, infine, può aiutare le persone a mantenersi in salute, perché le rende capaci, a un certo punto, di autoregolare le funzioni fisiologiche come le emozioni, gli ormoni, l’attività del sistema nervoso, i cicli sonno veglia, specialmente se l’autoipnosi viene imparata da subito e usata come pratica quotidiana che rinforza l’effetto della terapia. Bastano davvero cinque minuti al giorno per togliere lo psicoterapeuta di torno…”.
Che cosa succede nel cervello di una persona in ipnosi? In che modo entra in uno stato differente rispetto a quello ordinario?
“In ipnosi assistiamo a uno spostamento dell’attività encefalica prevalente dalle regioni frontali dell’emisfero sinistro alle regioni posteriori dell’emisfero destro, rilevabile con risonanza magnetica funzionale e altri dispositivi. In sostanza l’inibizione delle diverse aree del cervello da parte delle cortecce frontali caratteristica dello stato ordinario si riduce temporaneamente. Ed è come se passassimo dal suonare in un’orchestra classica, con un direttore che segue la solita partitura, a un complesso jazz, in cui la melodia si viene creando man mano, con il contributo individuale di ogni singolo elemento, in un processo espressivo dal basso verso l’altro, rendendoci così capaci di esplorare alternative creative impensabili nello stato ordinario filtrato dagli schemi rigidi della coscienza. Rileviamo con elettroencefalografia inoltre il passaggio da una prevalenza di onde beta a onde alfa, tipiche del rilassamento, e theta, tipiche del sonno REM e dell’attività onirica. Infine l’orologio interno rallenta e il tempo sembra scorrere più velocemente, come succede nell’amore e nelle esperienze piacevoli, che passano in un attimo. La distorsione temporale è infatti uno degli indicatori più affidabili dell’avvenuta “trance”, come dicono gli americani. In generale, i ritmi fisiologici, dal respiro, alle pulsazioni, al rilascio di ormoni, si regolarizzano, con un recupero di energie che è come dire ricaricare le batterie quando ce n’è bisogno. È importante inoltre sapere che in stato di ipnosi il corpo rilascia oppioidi endogeni, endorfine, encefaline, anandamide e altre molecole con poteri antidolorifici, ansiolitici e antidepressivi, che sono i nostri “farmaci” naturali”.
Leggendo il tuo libro, ho notato una certa vis polemica nei confronti delle “altre parrocchie”, ovvero degli altri approcci oggi esistenti alla cura della mente, rispetto a come vada considerata l’ipnosi e come si debba intendere l’uomo, la relazione tra mente e corpo…
“Il discorso che faccio sulle “altre parrocchie” viene fuori da anni di esperienza clinica che mi portano a dire che l’ipnosi è vista ancora come l’ultima spiaggia. Le persone arrivano stanche di percorsi inconcludenti, durati magari anni. Hanno perso un pezzo della loro vita, sperando di stare meglio. “Le ho provate tutte, non mi resta che l’ipnosi”. Quante volte ho sentito pronunciare questa frase. Persone che, dopo innumerevoli tentativi di risolvere i loro problemi con l’aiuto di una serie troppo lunga di “specialisti” o terapie alla moda, prima di gettare definitivamente la spugna e mettersi il cuore in pace sentono di doversi concedere un’ultima possibilità. E, “miracolosamente”, con l’ipnosi trovano finalmente il bandolo della matassa, senza troppo ragionarci sopra, senza la necessità di rivangare nel passato alla ricerca delle solite colpe da attribuire a qualcun altro: semplicemente prendendo dimestichezza con una modalità di funzionamento rigenerativo considerata ancora oggi, purtroppo, fuori dell’ordinario. Peccato, penso, perché avrebbero potuto iniziare dall’ipnosi, risparmiando tempo e denaro. Non c’è nessuna vis polemica, è solo una constatazione di fatto. L’ipnosi funziona dove altre terapie non hanno funzionato o hanno peggiorato la situazione. E forse funziona così bene proprio perché non ha paura di ammettere che non ha a che fare solo col mentale, ma con il corpo nel suo insieme, mente compresa, intendendo con questo proprio quello che siamo senza frammentazioni disciplinari, utili nel momento dello studio ma non nel frangente della vita. Personalmente ritengo che il problema di trovare la connessione tra mente e corpo, in cui ci siamo arrovellati per secoli senza arrivare mai a niente, è un falso problema, un gioco illusorio con se stessi, uno sdoppiamento apparente (forse solo dovuto alla creazione di due termini diversi per rappresentare la stessa cosa da due punti di osservazione differenti) di qualcosa di assolutamente “uno”, come è vero che viviamo da entità tutti i santi giorni, entità di certo complesse, entità immerse nel mondo e in relazione con altri esseri, entità composte da innumerevoli sistemi, miliardi di neuroni, miliardi di cellule, infiniti pensieri e disposizioni d’animo, ma pur sempre “concentrate in un punto”, come diceva Hegel di Napoleone a Jena”.
Come viene considerata oggi l’ipnosi nel contesto clinico?
“Negli altri Paesi, come Francia, Germania, Belgio e Stati Uniti, è ormai una pratica diffusa, negli ospedali ma non solo, perché ha il vantaggio di non avere effetti collaterali, di ridurre l’uso dei farmaci e dei tempi di degenza, migliorando la qualità di vita dei pazienti e consentendo notevoli risparmi alle casse dei servizi sanitari nazionali, come ha ricordato quest’anno anche lo psichiatra David Spiegel, docente all’Università di Stanford, al World Economic Forum di Davos, a proposito della possibile riduzione con l’ipnosi dell’abuso dei farmaci oppiacei contro il dolore, che oltre Oceano sta diventando una piaga sociale. In un suo recente studio il professore americano ha dimostrato che pazienti oncologici trattati con ipnosi e autoipnosi hanno percepito la metà del dolore e sono vissuti più a lungo rispetto a quelli trattati in modo convenzionale. Sempre in USA, Guy Montgomery, in forza alla Icahn School of Medicine at Mount Sinai di New York, grazie a un grant ottenuto dal National Institutes of Health (NIH), sta formando il personale sanitario di numerosi centri medici del Paese, convinto che l’ipnosi rappresenti un metodo polivalente, una sorta di coltellino svizzero utile in ogni contesto. In Francia, grazie all’ipnosedazione, che evita l’anestesia generale ai pazienti, la mastectomia è diventata una pratica ambulatoriale nei principali istituti: entri alle nove di mattina ed esci all’una di pomeriggio sulle tue gambe, lucida e pronta alla ripresa. Esiste un crescente corpo di ricerca che supporta gli interventi ipnotici in sanità, sia nel contesto medico che nella psicoterapia. Oggi abbiamo un’evidenza scientifica considerevole sull’efficacia degli interventi cosiddetti “mente-corpo”, in cui l’ipnosi ha un posto non certo marginale, che può essere di grande beneficio nel trattamento di diversi disturbi, dal dolore cronico all’ansia, dallo stress per le procedure mediche ai sintomi della menopausa, dai disturbi del sonno ai disturbi intestinali, solo per fare qualche esempio. L’Italia purtroppo resta fanalino di coda anche in questo frangente, come sempre, ma esempi d’eccellenza non mancano, come testimonia la ricerca medica pionieristica del professor Enrico Facco dell’Università di Padova, che ha portato recentemente all’utilizzo della sola ipnosi in un intervento chirurgico per l’asportazione di una formazione tumorale a una giovane donna allergica a qualsiasi tipo di farmaci”.
Uno dei messaggi centrali che emergono nel tuo libro è che l’inconscio ci definisce come individualità molto più della nostra parte consciente. L’idea è quella di smettere di pensare all’inconscio come a un estraneo altro da noi. “Di chi è l’inconscio se non il mio?” dici ad un certo punto, fuori dai denti…
“I padri delle neuroscienze contemporanee come Eric Kandel e i colleghi della Columbia University di New York sostengono che “il controllo delle nostre azioni è prevalentemente inconscio”. Alcuni stimano in un 90% circa l’attività cerebrale che avviene quasi all’insaputa della nostra coscienza. Restare fermi alla beata illusione che la cifra distintiva dell’umano sia proprio la parte che ha minore importanza nel tutto ciò che siamo è volersi ostinare a vivere in una sorta di astrazione dalla realtà della vita. Lo sappiamo da noi: basta vedere cosa ci succede quando vogliamo mettere in atto una decisione presa soltanto a tavolino, quando abbiamo difficoltà a mantenere un buon proposito, oppure quando ci innamoriamo o sentiamo un certo feeling “a pelle” per una determinata persona o situazione. Nel libro descrivo in più occasioni come l’inconscio, più che essere una pattumiera come si pensava una volta, rappresenti un magazzino di risorse utili alla nostra sopravvivenza. Una delle funzioni più interessanti del nostro inconscio è quella protettiva: ci protegge, ad esempio, quando ci fa sentire l’emozione di paura prima ancora che la coscienza riesca a individuare il pericolo, mettendoci in prontezza operativa per reagire, dandocela a gambe levate o affrontando la situazione. È davvero un peccato che ci ostiniamo a voler restare sulla punta dell’iceberg. Certo è una posizione di comodo se pretendiamo di non essere completamente responsabili delle nostre azioni…”.
Questo ti spinge ad avanzare la provocazione che si dovrebbe essere ritenuti “integralmente e pienamente” responsabili del proprio inconscio, entrando così in polemica con quanti cercano di togliere sempre maggiori porzioni di responsabilità all’individuo, dentro e fuori dai tribunali.
“È così. A mio modo di vedere le cose, la responsabilità del nostro inconscio è nostra, dato che si tratta del nostro inconscio appunto e non dell’inconscio di altri. Allo stesso modo, il mio cervello è mio, non è il cervello di qualcun altro: non posso non esserne responsabile, integralmente e pienamente, come sottolinei. Certo se si pensasse di essere soltanto la nostra parte cosciente… Qui sta il punto. Chi siamo? Chi vogliamo essere? Non sono domande banali, anche se possono sembrarlo. Ci basta essere soltanto un pezzo di noi? E il resto, lo buttiamo a mare? Ce ne liberiamo? In che modo? E a che pro, visto che ci aiuta e arriva dove la nostra coscienza oggi non arriva ancora? Anzi, dovremmo trovare il modo di estendere la consapevolezza anche alle regioni inconsce, in una forma diversa da quella cosciente, da sperimentare, da cercare, da trovare. Senza dover reinventare la ruota, come si fa di solito, perché una strada c’è già ed è quella dell’ipnosi”.
Che cosa più di tutto hai tratto dall’aver scritto questo libro e cosa pensi che, invece, possa trarne il lettore?
“Beh, scrivere un libro è sempre un processo di crescita, perché aiuta non solo a sistematizzare le informazioni, che oggi abbiamo in quantità industriale ma estremamente frammentate, soprattutto a sviscerare i concetti, che fanno emergere la chiave dell’insieme, rendendo il prodotto un’opera organica e non il solito collage, come succede ad esempio nei libri scritti a più mani. Rispetto ad altri colleghi credo di avere un altro vantaggio, oltre a quanto sottolineavi in apertura di intervista: quello di essermi mosso da un certo momento della mia vita professionale in poi come un cane sciolto, per non avere da rispondere a nessuno tranne che ai miei pazienti e ai lettori in questo caso. Ciò ti rende libero da mediazioni di comodo e aperto alla continua esplorazione con metodo scientifico dell’ignoto, che in questo campo è ancora la parte maggiore del lavoro di ricerca che resta da fare. In questo modo puoi preservare l’onestà intellettuale e puoi affermare senza mezzi termini, da clinico, studioso e ricercatore indipendente, quello che ritieni valido e utile per le persone che chiedono aiuto in un momento di generale manipolazione delle coscienze. L’ipnosi è il metodo d’elezione per ritrovare in se stessi la forza di liberarsi da ogni manipolazione, ritrovando la propria autonomia vitale, uscendo per sempre da quella patologizzazione dell’esistenza che ci vuole tutti cronici e bisognosi, relegati in un angolo da cui è sempre più difficile uscire. L’ipnosi per come la intendo e la uso è dunque una pratica di libertà e una scelta etica. E come si fa con la poesia, lascio infine a ciascuno il piacere di trarre dal libro il messaggio più adatto e utile a sé”.
Il libro:
Marco Mozzoni, “Ipnosi in pillole”, Armando Editore, Roma 2018
Illustrazione di copertina di Raffaella Cocchi