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February 11, 2018
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Forza dai, usate anche voi quella sputacchiera per scoprire da dove venite

Ho spedito la mia saliva e dopo un paio di mesi mi è arrivata la fotografia genetica del mio DNA per svelarmi da dove venivano i miei antenati

Stefano AlbertinibyStefano Albertini
Forza dai, usate anche voi quella sputacchiera per scoprire da dove venite
Time: 4 mins read

Per le feste natalizie appena trascorse uno dei regali più gettonati dagli americani è stato una sputacchiera. Sì, avete capito bene: la sputacchiera è una specie di provetta di plastica a chiusura ermetica, che fa parte di un kit che si può comprare in farmacia o ordinare online.  Un paio di mesi dopo aver spedito la propria saliva in un grazioso pacchetto pre-affrancato vi arriva per email la vostra sequenza genetica: una specie di fotografia del vostro DNA che vi svelerà da dove venivano i vostri antenati e persino se siete a potenziale rischio di alcune malattie genetiche, incluso Alzheimer e Parkinson. Il costo di queste analisi, un tempo proibitivo, si è abbassato notevolmente negli ultimi anni fino a scendere sotto i $100, e persino meno, se ordinate più di un kit o approfittate dell’offerta famiglia. 

Le maggiori compagnie che offrono questo servizio (tra le più quotate ci sono 23andme.com, ancestry.com e myheritage.com) offrono servizi simili a prezzi sempre più competitivi e stanno facendo affari d’oro, soprattutto dopo che la Food and Drugs Administration ha permesso di dare direttamente ai pazienti i risultati dei loro esami clinico-genetici senza la mediazione di personale medico.  Ma pare che agli americani interessi comunque di più sapere le loro origini che una eventuale predisposizione a malattie degenerative. Qualche scienziato solleva ancora il sopracciglio quando sente parlare di questa mappatura genetica da supermercato e le stesse ditte specializzate che le offrono scrivono tra le tante altre cose  in carattere microscopico che i risultati del test hanno una funzione più ricreativa che scientifica. Ma una trasmissione televisiva specializzata che ha mandato alle tre ditte maggiori la saliva di due gemelle identiche (cambiando nomi e indirizzi, ovviamente) ha riscontrato che i risultati del test forniti dalle tre ditte erano uguali a riprova comunque della loro indubbia affidabilità.

Gli scienziati che lavorano per queste compagnie evitano sempre di usare termini come razza ed etnia che, si sa, non hanno alcun valore scientifico; dicono invece di essere in grado di rilevare con buona approssimazione l’origine geografica degli avi e il momento storico in cui un certo ceppo genetico si è innestato nella famiglia. Ma perché questi test hanno tanto successo qui? Prima di tutto perché gli statunitensi autoctoni sono solo gli sparuti discendenti degli indiani d’America, ed essendo in pochi gli “aristocratici” che possono far risalire con certezza le proprie origini ai padri pellegrini arrivati sul Mayflower, tutti sanno di essere, in qualche misura, misti, ma nessuno sa esattamente gli ingredienti della miscela. E quando diciamo misti lo diciamo all’americana, non come si intende in Italia. La mia amica Ruth Ben-Ghiat, insigne storica del fascismo ed opinionista di CNN, ride quando pensa alla reazione degli italiani a cui dice di essere di madre scozzese e di padre ebreo yemenita. Invariabilmente rispondono “Anch’io sono misto: il mio babbo l’è di Firenze e la mia mamma di Prato”.

Per molti americani suprematisti bianchi però i risultati del test rappresentano un trauma. In tantissimi, soprattutto nel Sud, scoprono di avere una percentuale importante di geni che vengono dall’Africa, un segreto sempre tenuta nascosto come una vergogna nelle conversazioni familiari. Probabilmente sono i discendenti di una delle migliaia di schiave violentate dai padroni che divennero involontariamente madri di schiere non censite di figli “misti”. Molti altri riescono a far luce su alcuni segreti di famiglia e a scoprire realtà a volte inquietanti (il tuo vero padre non è quello che hai sempre chiamato così, ma il suo migliore amico che, evidentemente, ha avuto una storia con tua madre); a volte sono rassicuranti come la scoperta dell’identità del genitore biologico per i figli adottati.

E io cos’ho scoperto quando ho ricevuto l’atteso email da 23andme? Diciamo nessuna sorpresa: Origine europea 99.8%. Trattengo lo sbadiglio e proseguo nella lettura delle mie tabelle graziose e di facile lettura, persino per me che sono completamente negato per matematica e statistica (mi mancherà quel gene, ma l’esame non me lo dice) e trovo delle conferme alla storia di famiglia: fra fine dell’800 e inizi del ‘900 si colloca l’innesto della componente ebraica askenazita (12.8% del mio DNA). Deve essere il bisnonno Attilio, il papà della mia amata nonna Gemma. Sappiamo che era un allievo ufficiale e che morì di tifo alle grandi manovre a Palermo, prima di andare in battaglia contro gli odiati austriaci come avrebbe desiderato. Morì senza vedere la sua bambina. Fra ‘700 e ‘800 arriva la componente franco-inglese, anche lì senza sorprese: la bisnonna Bianca di cognome faceva Chapuis. Nello stesso periodo è presente anche una componente iberica: che uno dei nonni del nonno Attilio fosse sefardita? E quella parte ‘balcanica’ potrebbe forse essere quella degli antenati ungheresi dell’altra mia amata nonna Luigina? Sappiamo che l’Ungheria non è sui Balcani, ma quelli di 23andme avvertono che anche fra Polonia e Russia non è così chiaro dividere i geni.

Ma le 3 cose alle quali continuo a pensare da quando ho ricevuto i risultati sono:

a) più del 97% del nostro patrimonio genetico è uguale tra tutti gli esseri umani. Le differenze di provenienza riguardano solo quello striminzito 3% residuo;

b) in origine tutti i ceppi genetici, ma proprio tutti, vengono dall’Africa, anche quelli dei razzisti e dei suprematisti bianchi;

c) se gratti un po’ sotto la superficie, scopri che anche se la tua mamma è di Bozzolo e il tuo papà di Canneto sull’Oglio (13 km di distanza) sei molto più “misto” di quanto immaginavi.

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Stefano Albertini

Stefano Albertini

Stefano Albertini è Direttore della Casa Italiana Zerilli-Marimò e Professore nel Dipartimento di Italianistica della NYU. Si occupa di letteratura, politica, cultura e cinema italiani. Stefano Albertini is Director of the Casa Italiana Zerilli-Marimò and Professor in the Department of Italian Studies at NYU. His work focuses on Italian literature, politics, culture, and cinema.

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