Dal tamburo mangiai, dal cembalo bevvi… Lo stato mistico e altre questioni di antropologia spirituale è il titolo del dodicesimo volume dell’opera omnia di Elémire Zolla (Marsilio), ma è anche la frase che i mysti (chi ha silenziato se stesso) pronunciavano alla loro iniziazione. Purtroppo non sappiamo in cosa consistesse l’iniziazione ai Misteri, perché i mysti si impegnavano a tacere su quello che “pativano”. Secondo Zolla il tamburo rappresentava la carne e il cembalo l’anima. L’uomo si nutre attraverso bocca e psiche; ama fisicamente attraverso il ritmo, spiritualmente con il cuore. Lo stato mistico era una conoscenza sperimentale di una divinità, che produceva un cambiamento dello stato mentale attraverso l’esperienza del sacro. Sacro era il luogo divino dell’indifferenziato, pericoloso e violento in cui tutti i significati si mescolano, che nella quotidianità andava tenuto separato, ma che la religione con le sue regole poteva contenere. I misteri erano dei riti costituiti da atti simbolici e da prove morali e fisiche che davano la sensazione di morire per rinascere a una nuova vita immortale. Producevano un cambiamento interiore dell’uomo, il quale da uno stato di oscurità passava a una condizione di illuminazione e conoscenza che lo avrebbe condotto alla salvezza personale.
E’ tuttavia certo che i primi rituali avessero connotazioni sessuali, perché attraverso l’atto sessuale ci si assicurava la fecondità umana e si celebrava la fertilità della natura, che era la Grande Dea. Nel matrimonio sacro sia sumero che babilonese il re si univa alla gran sacerdotessa che rappresentava la dea. Ecco perché l’intimità con gli dei era indicibile. Per i mysti greci l’estasi era un’esperienza fondamentale che si raggiungeva attraverso musiche, danze, preghiere e digiuni. Nei riti romani della Bona Dea la cerimonia religiosa si chiamava “orgia”, senza alcun riferimento ad oscenità, ma dato che tutti i misteri antichi consistevano i rituali sessuali, in epoca cristiana venne dato un significato negativo.
Julien Ries in Mito e rito. Le costanti del sacro (Jaca Book), secondo tomo del volume IV dell’Opera Omnia, di cui sono stati pubblicati finora undici volumi, intorno alle 500 pagine ciascuno, considera il mito un sistema di simboli, archetipi, schemi che tende a comporsi in un racconto al fine di spiegare i misteri del cosmo e della vita. Il mito è un linguaggio portatore di un messaggio denso di significati perché fornisce dei modelli per il comportamento umano che conferiscono senso all’esistenza. Sono quelli che Jung definisce gli archetipi dell’inconscio collettivo, che è uno strato profondo dell’anima, innato e comune a tutti gli uomini. Il termine indoeuropeo ritu indica i compiti da eseguire in ciascuna stagione, in connessione con le leggi cosmiche. Attraverso i riti l’uomo sacralizza gli eventi che segnano la sua esistenza. “Sacralizza le feste” è un dettato della religione cristiana mutuato dalle feste pagane dei solstizi.
Il senso del sacro oggi è andato perduto: è stato profanato perché non rispettiamo più i riti, che aprono alla vita dello spirito. Ma del sacro non ci liberiamo perché non ci liberiamo della morte. Abbiamo bisogno di dei perché abbiamo bisogno di credere. E anche se ci definiamo atei, religione e mitologia albergano nel nostro inconscio, il che – come scrisse Eliade in “Il sacro e il profano” – equivale a una nuova caduta dell’uomo perché ha perso la capacità di vivere coscientemente la religione e quindi di comprenderla ed assumerla.
Una bella gatta da pelare per psicologi e psicanalisti ai quali demandiamo la ricerca della nostra anima sprofondata nell’inconscio. La vita è una scoperta continua, come possiamo affrontarla senza aver scoperto noi stessi, senza sapere chi siamo?
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