Sta per iniziare la Settimana Santa e come ogni anno, dovunque mi trovi, vado con il pensiero alla mia chiesa di s. Pietro a Bozzolo, dove per decenni e fino a qualche anno prima che io nascessi aveva risuonato la voce sofferta, appassionata e profetica di don Primo Mazzolari. Una voce che, grazie all’intuizione dei fratelli Zangrossi e del fidatissimo Doge, venne registrata in decine di prediche che ci è possibile ascoltare ancora oggi godendo non solo della profondità del suo pensiero e della limpidezza della sua lettura evangelica ma anche della sua pronuncia e intonazione inconfondibili, di quella voce che sembra venga direttamente dal cuore, senza passare per le corde vocali.

Sessanta anni fa esatti, il Giovedì Santo del 1958, l’anno prima di morire, don Primo pronunciò quella che sarebbe diventata la sua predica più famosa: alcuni la chiameranno “Nostro fratello Giuda”, altri “Ma io voglio bene anche a Giuda”. Forse l’omelia più bella e dirompente del XX secolo che continua a commuovere, a distanza di tanto tempo, credenti e non credenti. Un testo al quale non c’è assolutamente niente da aggiungere; e proprio per questo scrivere questo pezzo mi costa tanta fatica. Vorrei consigliarvi semplicemente di leggerlo, o meglio ancora di ascoltarlo (si trova facilmente su internet ) per vostro conto e di lasciarlo risuonare nella vostra mente. Io mi limiterò a contestualizzare nel suo tempo la predica di don Mazzolari e a cercare di capire insieme a voi perché rimane più attuale che mai.
La Chiesa, nella sua bimillenaria saggezza, ha proclamato migliaia di santi e beati, ma non ha mai detto ufficialmente e con certezza di nessun essere umano (nemmeno di Giuda) che è dannato. Ci pensò bene il nostro Dante invece a popolare l’Inferno e, come sappiamo bene, riservò a Giuda (insieme a Bruto e Cassio) il supplizio peggiore: essere maciullato per l’eternità in una delle tre bocche di satana. E molti predicatori nel corso dei secoli si sono accaniti contro Giuda, alcuni addirittura spingendosi a dire che l’avrebbero strozzato volentieri con le loro mani.

Don Primo, come sempre nelle sue omelie, parte dal testo evangelico e, in particolare, dalla parola “amico” con la quale Gesù si rivolge a Giuda nel momento stesso in cui lo tradisce e alla luce di questa parola rilegge il destino terreno ed ultraterreno dell’apostolo. “Povero Giuda. Che cosa gli sia passato nell’anima io non lo so. (…) Non cercherò neanche di spiegarvelo, mi accontento di domandarvi un po’ di pietà per il nostro povero fratello Giuda.” E davanti alla misteriosa e inquietante “spiegazione” del Vangelo “Satana lo ha occupato” don Primo chiosa con un riferimento ben più concreto e comprensibile al potere di corruzione del denaro. “Trenta denari! Il piccolo guadagno. Vale poco una coscienza, o miei cari fratelli, trenta denari. E qualche volta anche ci vendiamo per meno di trenta denari”. E il giorno dopo, Venerdì Santo, l’arciprete volle nella sua chiesa, accanto alla croce esposta alla venerazione dei fedeli, l’albero dell’impiccato, il patibolo del discepolo il cui peccato più grave non fu il tradimento ma la disperazione.
Ma la conclusione di don Primo è proprio lo schiudersi alla speranza nella misericordia infinita del Padre: “io voglio bene anche a Giuda, è mio fratello Giuda. Pregherò per lui anche questa sera, perché io non giudico, io non condanno; dovrei giudicare me, dovrei condannare me. Io non posso non pensare che anche per Giuda la misericordia di Dio, questo abbraccio di carità, quella parola amico, che gli ha detto il Signore mentre lui lo baciava per tradirlo, io non posso pensare che questa parola non abbia fatto strada nel suo povero cuore. E forse l’ultimo momento, ricordando quella parola e l’accettazione del bacio, anche Giuda avrà sentito che il Signore gli voleva ancora bene e lo riceveva tra i suoi di là”.

Rileggendo queste parole capiamo bene come papa Francesco sia stato colpito da questo prete di campagna, che per decenni fu umiliato e maltrattato dalla sua stessa Chiesa. Si potrebbe dire, senza esagerare, che nella predica dell’Arciprete di Bozzolo di 60 anni fa c’è in nuce il manifesto del pontificato di Bergoglio. Un pontificato indigesto a tanti cattolici di oggi, cardinali, vescovi, preti e laici che alla misericordia di Dio vorrebbero mettere i loro paletti, che all’abbraccio di perdono del Padre antepongono gli articoli del codice di diritto canonico, cattolici che mettono insieme comitati e versano fondi per cambiare la traduzione del Messale Romano affinché, durante la consacrazione, il celebrante dica che il Sangue di Cristo è stato versato “per molti” e non “per tutti”. Sì, perché a loro di stare in Paradiso in compagnia di Giuda proprio non va e concepiscono la gioia eterna solo se c’è qualcuno condannato all’eterna sofferenza.
Per questi benpensanti e per il benpensante che si nasconde in ciascuno di noi, il messaggio di perdono, misericordia e fratellanza che don Mazzolari lanciava da Bozzolo 60 anni fa è più che mai attuale.