
Il 20 giugno papa Francesco ha reso omaggio alla tomba di don Primo Mazzolari e don Lorenzo Milani due dei preti italiani che in vita subirono vessazione e umiliazioni da parte della loro stessa chiesa per le loro posizioni ritenute troppo avanzate e progressiste in tema di pacifismo, ecumenismo, e uguaglianza sociale. Don Primo Mazzolari fu per 27 anni arciprete di Bozzolo, il paese del nostro columnist Stefano Albertini. Stefano che è nato qualche anno dopo la morte di don Mazzolari ne ha assorbito l’insegnamento attraverso i suoi genitori e lo studio dei suoi scritti. Il suo libro Don Primo Mazzolari e il fascismo, 1921-1942 è stato pubblicato nel 1988.
Anche se la visita del Papa è strettamente privata (lui stesso non ha voluto ministri a riceverlo) ed ha un’impostazione fortemente spirituale ed ecclesiale, non possiamo dimenticare che don Primo oltre ad essere prete era cittadino e uomo politico (nel senso nobile ed aristotelico del termine), anzi proprio perché cristiano sentiva il dovere di essere cittadino e di partecipare attivamente alla vita della polis, della città, del suo paese che era al tempo stesso Bozzolo e l’Italia intera.
Giorgio Campanini, forse il più fine studioso del Mazzolari politico ha sottolineato giustamente come il suo rapporto con la politica sia sempre stato di opposizione. Un’opposizione diversa, ovviamente, a seconda dei movimenti politici e dei momenti storici che si trovò ad affrontare: opposizione frontale e senza riserve nei confronti del fascismo, opposizione ideologica, ma apertura sociale alle istanze marxiste e un’opposizione che potremmo definire interna anche alle tentazioni neoconservatrici e clericali di parte della Democrazia Cristiana.

Del fascismo don Mazzolari fu oppositore deciso e convinto fin dall’inizio, quando ne vide e condannò gli albori movimentisti e violenti nelle campagne tra Mantova e Cremona. Da giovane prete era stato interventista democratico (come Mussolini e Salvemini per citare gli estremi opposti dello stesso movimento) credendo che la Grande Guerra potesse essere un’occasione di riscatto sociale ed economico per il proletariato. E per questa sua posizione e per il suo servizio, prima come soldato poi come ufficiale e cappellano militare nell’esercito italiano si era guadagnato sul campo stima, riconoscimenti e qualche speranza di sostegno seppur esterno da parte dei fascisti locali. Ma avevano fatto molto male i conti con quel prete che a Bozzolo e Cicognara non perdeva occasione per prendere le distanze da loro e dal loro uso strumentale dei reduci e che, in ogni commemorazione del 4 novembre, invitava a costruire una pace duratura anziché celebrare una vittoria.
Nemmeno la Conciliazione fra Regno d’Italia e Vaticano del 1929, che metteva fine alla Questione Romana e che venne salutata nelle cancellerie di tutto il mondo come il capolavoro diplomatico di Mussolini fece cambiare idea a don Primo. “Dai poteri assoluti e reazionari-scriveva in proposito all’amico don Guido Astori- la Chiesa non ha mai guadagnato che umiliazioni e restrizioni di libertà e… corresponsabilità tremende davanti ai popoli stanchi e avviliti”. Per tutto il ventennio, Mazzolari fu una spina nel fianco del regime che lo sorvegliava a vista: fu vittima di un attentato intimidatorio da parte della Milizia, fu sorvegliato dalla polizia politica e vittima della censura fascista che ordinò il sequestro del suo libro Tempo di credere nel 1941. Solo la protezione del suo vescovo, Mons. Cazzani e l’immenso affetto di cui godeva tra il popolo impedirono peggiori ritorsioni nei suoi confronti.
Durante la Resistenza fu una guida morale e una risorsa logistica per i partigiani della zona e finì puntualmente nel mirino dei nazifascisti che, dopo averlo arrestato e liberato spiccarono un nuovo mandato di cattura nei suoi confronti che lo costrinse a entrare in clandestinità fino alla liberazione. Negli ultimi e più drammatici anni della guerra, don Primo favorì la fuga e assicurò la salvezza ad ebrei e sbandati, ma soprattutto si impegnò nel mettere le fondamenta per il futuro. La sua predicazione si estese, nonostante le difficoltà e la sorveglianza a cui era sottoposto (sia dal regime che dalla Chiesa) ai circoli degli universitari cattolici, dove, negli angusti ritagli di libertà che sfuggivano al controllo fascista, si andava forgiando la futura classe dirigente cattolica repubblicana con cui Mazzolari continuò ad intrattenere un fitto dialogo e una corrispondenza che ebbero un’influenza notevole, in particolare nella fase costituente della neonata Repubblica.

E fu proprio nel periodo della ricostruzione, nell’entusiasmo di una libertà ritrovata che don Primo si lanciò in maniera più decisa nel dibattito politico. Anche la Chiesa sembrò allentare un po’ l’oppressiva e umiliante sorveglianza imposta dal Sant’Uffizio perché l’arciprete di Bozzolo, antifascista e amico dei partigiani, era uno dei pochi preti a cui nessuno poteva rimproverare connivenze di alcun tipo col passato regime. Lui riempiva le piazze con discorsi e contraddittori memorabili in cui appoggiava i candidati cattolico-democratici e metteva in guardia dalla inevitabile deriva totalitaria del comunismo, ma al tempo stesso rifiutava le motivazioni dell’anticomunismo più conservatore e retrivo e ricordava ai cristiani che il comunismo “oggi è soprattutto uno ‘stato d’animo’ di rivolta contro il male sociale di qualsiasi nome, un interiore tempo di avvento” (1945).
Ma il grande miracolo politico di don Mazzolari che non varrà per la sua beatificazione, perché è un miracolo laico e civile, è che nonostante la sua appassionata partecipazione alla vita politica del suo tempo travagliato non perse mai di vista l’essenza dell’uomo. Come dirà nella predica dell’Epifania del 1958: “Dio non bada né al colore della pelle, né alla lingua, né alla religione, né se abitiamo all’equatore o al polo, (…) guarda all’uomo”. Potrebbe essere una frase presa da uno degli ultimi discorsi di papa Francesco al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede o ai grandi della terra, mentre fu pronunciata da un povero prete di campagna quasi settanta anni fa davanti ai suoi parrocchiani contadini.