“Siamo sugli stessi autobus, prendiamo le stesse linee della metropolitana, viviamo gli stessi quartieri, andiamo agli stessi concerti: anche noi siamo un obiettivo”. A parlare è Hamza Roberto Piccardo, ligure di Imperia, voce storica dell’Islam sunnita in Italia, tra i fondatori dell’Unione delle Comunità e Organizzazioni islamiche in Italia (UCOII), scrittore ed editore che spiega: “Dobbiamo rovesciare il teorema. Non si tratta della radicalizzazione dell’Islam, ma dell’islamizzazione del radicalismo. Questo utilizzo dei simboli islamici è un radicalismo satanico che va combattuto. La nostra comunità è due volte sofferente: siamo colpiti come cittadini e sentiamo la ferita al Belgio e all’intero continente. E poi siamo colpiti da una certa politica e dai media che tendono a criminalizzare una comunità che non c’entra nulla con il terrorismo”.
Anche la comunità dell’Islam sciita in Italia è sulla stessa lunghezza d’onda: “Ci sentiamo anche noi minacciati dal terrorismo, sia come possibili vittime, sia per l’immagine che stanno offrendo dell’Islam”, spiega Hanieh Tarkian dell’Associazione Islamica Imam Mahdi di Roma, nata in Iran da madre italiana e padre iraniano, cresciuta in Italia, dopo la maturità ha deciso di intraprendere gli studi islamici a Qom in Iran. “Purtroppo molte persone pensano che questi terroristi siano veri seguaci dell’Islam – continua Hanieh Tarkian – pensano che sia questo il messaggio dell’Islam e quindi che tutti i musulmani siano pericolosi, e ciò ovviamente influenza la nostra vita sociale. Grazie a Dio, ci sono però anche molte persone consapevoli della verità, che sentiamo vicine e invitiamo a unirsi a noi nel diffondere informazioni vere”.
Negli ultimi giorni, dal Belgio al Pakistan, passando per l’Iraq, il mondo è stato colpito da brutali e vigliacchi attentati che hanno ucciso indiscriminatamente uomini, donne, bambini, cristiani e musulmani. Come sempre, purtroppo, la disinformazione, il pregiudizio, le semplificazioni hanno avuto la meglio su una buona parte della stampa e una certa politica ha visto bene di soffiare subito sul fuoco fomentando paura e odio. Proprio per questo, abbiamo voluto ascoltare alcune voci dell’Islam italiano per La Voce di New York: c’è bisogno di analisi e comprensione, per farlo è necessario far parlare proprio quegli italiani ed europei che sono demonizzati ogni volta che c’è un atto di terrorismo. Un po’ come se dopo la strage di Breivik in Norvegia o nei tanti attentati di terrorismo interno negli Stati Uniti si criminalizzasse la popolazione cristiana facendoli passare tutti per terroristi o potenziali minacce.
“Il Corano ci insegna che chiunque uccida un individuo innocente è come se avesse ucciso l’umanità intera (5:32), ed è questo il sentimento che ognuno di noi dovrebbe provare quando viene uccisa una persona innocente, in qualsiasi parte del mondo. Dovremmo soffrire come se fossimo stati uccisi anche noi, come se stessimo perdendo un po’ della nostra umanità. In particolare se non reagiamo, se rimaniamo indifferenti, peggio ancora se diffondiamo informazioni false, in quel caso saremo stati partecipi di questo “genocidio” dell’umanità e del rimanere umani”, continua Hanieh Tarkian, che ha deciso tornare in Italia per far conoscere agli italiani il vero messaggio dell’Islam, “oggi più che mai necessario”.

“Da 25 anni prendiamo le distanze dal terrorismo. Nel 2005 abbiamo emesso una fatwa (una dichiarazione ufficiale alla quale i credenti si devono attenere nda) in cui dicevamo che ogni musulmano è religiosamente obbligato a prendere le distanze dal terrorismo, non supportarlo in alcun modo e anzi, denunciarlo alle autorità competenti”, spiega Hamza Piccardo. Nel testo del 2005 si leggeva una condanna senza mezzi termini che vale la pena riproporre in alcuni suoi passaggi: “[…] analizzando le azioni del terrorismo realizzate dalla cosiddetta Al Qaidah (oggi DAESH ndr), siamo certi di affermare che nessuna base giuridica o giurisprudenziale sta alla base di siffatti comportamenti. Infatti, la giurisprudenza islamica fa assoluto divieto di colpire i non belligeranti, le donne, i bambini, gli anziani. Basterebbe questa reiterata trasgressione ad escludere ogni legittimità alle azioni terroristiche che colpiscono in paesi islamici e occidentali, centinaia di persone innocenti tra le quali cittadini e residenti musulmani”. Il documento si chiudeva con una citazione di un detto del Profeta Muhammad: “Aiuta tuo fratello, sia che faccia il bene sia che faccia il male”, “Come mai potremmo aiutarlo a fare il male?”, chiesero i Compagni. “Impedendogli di farlo” concluse l’Inviato di Allah”. Parole che dovrebbero ben chiarire il pensiero islamico riguardo al terrorismo. Come d’altra parte sono chiare le parole delle massime guide spirituali sunnite e sciite dal Cairo a Teheran di condanna ferma senza se e senza ma degli attacchi terroristici che hanno colpito l’Europa da Parigi a Bruxelles.
Secondo Hanieh Tarkian, “ormai sono molte le persone consapevoli del fatto che dietro agli attacchi terroristici si celi il pensiero wahabita. Molti di questi terroristi sono animati e incoraggiati da questa setta fuorviante, i cui fautori hanno interpretato l’Islam e il Corano a proprio piacimento, seguendo i propri interessi e di questa loro falsa ideologia ne hanno approfittato certe potenze, che tuttora considerano propri alleati i paesi culla del wahabismo”. Per Hamza Piccardo, “considerare al-Baghdadi una guida spirituale è nient’altro che una barzelletta. Ai militanti di Daesh non interessa nulla del Corano. E’ una storia vecchia legata a questioni politiche e non religiose: si torna ai tempi del Profeta con l’eresia kharijita (la prima setta eretica dell’Islam nda) che già all’epoca erano chiamati i “cani dell’inferno”. Anche Daesh è stata creata per ragioni politiche, non a caso gli ufficiali sono gli ex quadri baathisti di Saddam Hussein e poi ci sono foreign fighters e giovani del luogo che si trovano lì quasi per sbaglio. Il waabismo e il salafismo sono il brodo di cultura per questa devianza criminale. Non a caso sono espressione di un Islam senza spiritualità. In realtà fanno lo stesso lavoro degli islamofobi: usano solamente sessanta versetti del Corano sulla guerra, avulsi dal contesto, dimenticandosi delle migliaia di versetti che parlano della pace. Stiamo parlando di gente ignorante a cui non importa nulla del Profeta”.

Ma qual è una soluzione per combattere ISIS ed evitare che nuovi giovani si avvicinino alle sue fila? “È necessario denunciare il wahabismo: tutti devono capire che esso è un’interpretazione falsa e deviata dell’Islam – dice in maniera chiara l’esponente del centro islamico sciita romano – Inoltre dev’essere impedita la costruzione di moschee finanziate dai paesi che sostengono la propaganda del wahabismo. In questo modo anche i giovani capiranno che un vero musulmano non segue il wahabismo. Se invece continua a esserci confusione e il wahabismo viene presentato come una forma di Islam, i giovani verranno attratti da esso, perché promette loro la conquista del Paradiso in modo facile, ma terribile”. Secondo Hamza Piccardo, “servono strumenti di studio e comprensione con persone che hanno un background islamico ma che poi si perdono. Dobbiamo attirare i giovani, magari anche con lo sport, lavorare sulle situazioni degradate, dare un punto di vista spirituale, culturale e sociale, usare i valori etici dell’Islam, che poi sono generali e non solo islamici come la pace, l’incontro, la tolleranza. Anche salvarne due, significherebbe magari salvarne 200 da un attacco”. Come abbiamo visto in Francia, in Belgio, ma anche in Italia con quelli che andavano in Siria a combattere, l’identikit tipico parla di giovani messi ai margini, molte volte piccoli criminali, in generale persone preda di un nichilismo distruttivo da metter in pratica con il primo detonatore utile, in questo caso l’Islam. “Per paradosso il nome Abdeslam significa “adoratore della pace”. Eppure dentro di sé c’era esattamente il contrario. Il giovane Salah era un piccolo delinquente da sempre”, continua Piccardo.
Sia Piccardo che Tarkian considerano infondata la presentazione semplificata del conflitto in atto come un guerra sciiti contro sunniti. “È certamente una componente ideologica del conflitto in atto, ma non per le differenze dottrinali ma per le consistenza statuali che si richiamano impropriamente a tali dottrine. Non credo che gli sciiti in quanto tali odino i sunniti e viceversa”, spiega Piccardo. “Non esiste alcuna guerra sunniti contro sciiti. Essi hanno vissuto insieme per secoli in armonia in Siria, Iraq, Iran e altri paesi, i conflitti che esistono oggi in alcuni di questi paesi, non hanno una matrice religiosa. È interessante notare che i sedicenti sciiti che denigrano i sunniti e i sedicenti sunniti che accusano gli sciiti di miscredenza, non esprimono nessun tipo di opposizione al regime di Israele, anzi spesso sono anche suoi alleati”, continua Tarkian.
Ma cosa potrebbe fare la comunità islamica per fermare ISIS? Secondo Hanieh Tarkian, “l’ISIS è nutrito sia ideologicamente sia economicamente dai paesi wahabiti e dai loro alleati, prima di tutto è necessario prendere le distanze dall’ideologia wahabita, in secondo luogo chiedere ai propri politici di non allearsi con questi paesi e forse il boicottarli potrebbe costituire una soluzione definitiva, ma molto difficile da mettere in pratica”. Per quanto riguarda l’Italia, Hamza Piccardo rilancia una richiesta storica: “Lasciate emergere ufficialmente la comunità islamica con moschee ufficiali che rispettino alcuni standard. Noi vogliamo essere pacificamente musulmani in Italia senza nessun assessore di turno che vuole chiudere i luoghi di culto o impedire la costruzione delle moschee, creando così risentimento. Dagli anni ’90 ho chiesto l’Intesa con lo stato italiano, ma esiste una forte resistenza politica. La richiesta è semplice: fateci essere cittadini liberi con diritti e doveri”. Una richiesta di buon senso e forse l’unico modo per evitare di far entrare i giovani musulmani in quella zona grigia, tra internet e i luoghi di culto non ufficiali, dove è più semplice propagandare un’ideologia criminale con la quale l’Islam non ha nulla a cui spartire. Un presupposto fondamentale dal quale i nostri governanti e una larga parte della stampa dovrebbero partire per comprendere, dialogare, non regalare nuovo risentimento e leve al terrorismo. Come abbiamo scritto tante volte, finché non ci sarà comprensione, dialogo, pari opportunità, sviluppo, ugual sdegno davanti dagli attentati sia che siano a Parigi o a Damasco o a Lahore, ci saranno solo altri lutti e altre stragi e soprattutto ci sarà altro odio, ovvero terreno fertile per le fila del sedicente califfo Abu Bakr al-Baghdadi.