Nessuno come lui. Un grande creativo e un uomo solare, gentile, generoso, amante della vita e della bellezza, dell’arte antica e della natura. Capace di trasformare un abito in un quadro eccelso, tra fantasie barocche e teste di Medusa.
Il simbolo d’oro della sua maison, quella fondata a fine anni Settanta da Gianni Versace, nato a Reggio Calabria il 12 dicembre 1946 e morto a Miami il 15 luglio 1997, davanti alla sua villa Casa Casuarina per la mano assassina e di spalle del ragazzo di vita Andrew Cunanan. Venticinque anni fa, un tempo lunghissimo per chi lo ha amato e ammirato come sommo creativo, per chi lo rimpange con passione e amore, per chi ha capito subito che era stato ammazzato un “re” della moda internazionale, un italiano che in un pugno di anni ha fatto grande questo nostro Paese con la sua fama di Maestro di Eleganza, per chi oggi vede la sua moda quasi sempre copiata male. Spesso oltraggiata anche dal cattivo gusto. Un reato, questo sì, un oltraggio che Gianni Versace non si merita, per la sua moda tanto meravigliosa e gigantescamente lussuosa e lussuriosa, per la sua carica umana, per il suo estro e il suo genio, che lo ha fatto amare sconsideratamente e in modo molto sincero dal mondo del fashion.

Venticinque anni fa alcuni spari di pistola al collo e anche al viso lo portavano via da noi che tanto lo amavamo come critici di moda per l’eccellenza e la sontuosità perfetta delle sue proposte di passerella, per quella verve infinita di bisogno di esaltare e magnificare i corpi di donne e uomini bellissimi sempre, una specie di plotone di eletti, che al femminile daranno vita al fenomeno unico ed irripetibile delle supertop. Eroine moderne, ispiratrici di bellezza totale, femmine allo zenit che si chiamavano Jerry Hall, Helena Christensen, Christie Turlington, Cindy Crowford, Claudia Schiffer, Linda Evangelista, Naomi Campbell, Stephanie Seymour, Kate Moss, un esercito di cosce e corpi statuari, volti perfetti, cappelli sexy che davano vita ai suoi vestiti senza uguali.
Su tutto il famoso abito “virgola”, fermato solo da uno spillone, forse il modello più copiato di sempre.
Rivali e mediocri replicanti ancora oggi, e pure con nomi che si dicono altisonanti, capaci di scucire e svelare i tagli da abiti da sera Versace comprati magari al vintage o prestati da amiche ricche e famose, mai riusciti però ad eguagliarne il segreto di stile. Unico e irripetibile Gianni Versace, un uomo buono, che non sparlava degli altri suoi amici o presunti tali, magari concorrenti, ma tirava dritto per la sua strada cominciata nella sartoria della mamma Francesca a Reggio Calabria e poi portata avanti con la fondazione del brand coinvolgendo nella bella avventura il fratello maggiore Santo e la sorella più piccola Donatella.
Un triumvirato? Neanche un po’, perché era Gianni l’imperatore dell’eleganza nuova anni Ottanta che ancora soffia il suo vento di Nuovo Rinascimento sulla moda contemporanea, come se la morte non avesse scalfito fama e bravura.

Ricordo ancora quel caldo pomeriggio del 15 luglio 1997, ero a Roma, nella redazione del mio giornale il Quotidiano Nazionale in Piazza San Silvestro e mi apprestavo a scrivere dell’alta moda romana con ancora vivissimo il ricordo di venti giorni prima a Firenze quando Gianni Versace, ospite di Pitti Uomo, aveva incantato il mondo con la sfilata maschile per la primavera estate 1997 con la sfilata/evento/grande spettacolo “Barocco Bel Canto”, con la regia e la danza di Maurice Bejarat. In passerella alla fine si presentò Naomi Campbell con una pistola in mano, sparò in aria un colpo. E forse quello fu un presagio.
Così mentre mi mettevo a scrivere suonò il telefono in redazione. Avevano sparato a Gianni Versace, a Miami dove era andato in vacanza, lui era ferito, poco dopo era già morto. Un momento di dolore forte, di smarrimento e di incredulità. Ma come? Ci siamo lasciati a Boboli solo qualche giorno fa in un trionfo immenso di bellezza e di arte sartoriale, nei giardini mediecei che Gianni aveva riempito del suo stile sommo e sontuoso e ora lui non c’era più, la sua vita era finita per un omicidio terribile e assurdo. Ricordo che fu difficile scrivere quella cronaca e quel coccodrillo e da allora mi si illuminano sempre gli occhi ogni volta che vedo un suo ritratto, sento la voce di Elton John suo grande amico, leggo la trasformazione sensuale di Lady D coi suoi magnifici abiti.

E mi viene un tuffo al cuore nei negozi di vintage del mondo per i suoi rari pezzi originali, ma anche quando riordino il mio armadio e vedo le sue camicie con le Meduse d’oro, i maculati sublimi, i colori abbaglianti. E lo penso in cielo circondato dalle sue anfore greche, dai suoi kouroi che abbellivano le scale di casa sua in via Gesù, quasi una salita all’Olimpo, per poi sprofondare nei divani dolci di stampe Versace e ammirare con occhi di bambina le sue collezioni di arte antica e contemporanea, che teneva in massima esposizione anche nella faraonica casa di New York: quanto mi piacerebbe ancora avere un suo abbraccio e un suo sorriso, quello di un amico leale e rispettoso, di un uomo buono.