Avevamo incontrato Sara Cavazza Facchini lo scorso novembre, in occasione del ritorno di Genny sul mercato americano, e il lancio della collezione primavera estate 2016-2017. Ora, forte anche dell’ingresso del brand nel luxury fashion retailer Moda Operandi, la stilista e direttore artistico del marchio ritorna a New York per presentare la donna che ha immaginato per la collezione autunno inverno 2017-2018. Lo spazio Spring Place riapre le porte a La Voce di New York, dove siamo ben felici di ritornare ed esplorare tutte le declinazioni che la moda Genny propone per la prossima stagione.
“È una donna che continua ad essere molto determinata, e un po’ più aggressiva. Mi sono ispirata agli anni ’80”, ci spiega Sara, sempre efficace nel modo in cui articola e comunica il modello femminile su cui costruisce le proprie creazioni. “È una donna che ostenta se stessa, che vuole mettersi un po’ più in mostra. Queste forme ‘esagerate’ hanno anche un tocco di sexy. Quindi pizzo che lascia intravedere le trasparenze, jumpsuit, camice che diventano trasparenti grazie a pizzi lavorati in cui il brand viene messo per la prima volta in evidenza. Io parlo di una vera e propria logomania: le lettere ‘Genny’ vengono ostentate, quasi come se la donna dicesse ‘Sì, io mi chiamo così. Io ci sono. Io sono questa”.
Impossibile non rimanere subito colpiti dai volumi di certi cappotti, di certe giacche, con le spalline protagoniste e la struttura decisa. “Volumi” è un termine che evoca il linguaggio architettonico, e non a caso. La collezione, come ci conferma la stessa Cavazza Facchini, s’ispira alle linee dell’Art déco. E fa piacere che una stilista non frughi solo nel paniere della moda del passato, ma guardi anche fuori dalla finestra, facendo della trasversalità la base del proprio approccio creativo. Sondiamo l’argomento.
“Il logo Genny viene interpretato a secondo dei canoni déco, che rimane un elemento costante nelle mie ispirazioni di partenza nel pensare le forme. Mi sono ispirata a quelli che vengono chiamati i metal works di New York, ovvero le disegnature dei grattacieli di questa città, che diventano sfondo, con i pizzi, e si mescolano alle lettere”. E in effetti, nei capospalla, negli intarsi multicolore, nei ricami di paillettes imbricati negli abiti, nelle clutch rotonde e rettangolari in plexiglass, nel mono-orecchino tutto-frange che una flapper potrebbe aver portato nel 1921, e ancora nel tacco ricoperto da un traforo che ricorda gioielli e ringhiere Liberty, ritroviamo il linguaggio che architetti come Mackintosh o Fenoglio utilizzavano all’inizio del ‘900 per i loro palazzi. “L’architettura per me è una forma d’ispirazione perché è creatività applicata su volumi giganti — ed è questo che mi attrae. Nella moda si lavora sul piccolo, sull’accessorio, sul capo, l’architettura invece si concentra sul grande. Questa sua immensità mi colpisce molto. Adoro il déco perché è un mix tra regolarità e irregolarità. C’è il disordine nell’ordine. Ci sono un insieme di linee che si muovono in maniera disordinata: un disegno geometrico, che tuttavia non è mai regolare nella sua geometria — non si parla di simmetria, nel déco. C’è piuttosto una geometria irregolare, e quella la riconosco nella mia personalità, quindi disordine nell’ordine. E amo molto anche il concetto delle proporzioni. Puoi ritrovarti questi edifici enormi, con delle porte grandissime, e magari all’interno, delle stanze con delle sedie molto basse, accanto a vasi di abbellimento molto alti. Continui giochi di sproporzioni, che poi, come si vede, popolano le mie creazioni”.
Accanto a questo sapore da Roaring Twenties evocato più dall’architettura che dalla moda di quell’epoca, ecco la ripresa, come dicevamo, degli anni ’80. “Abiti molto corti, una costante del periodo. Ma anche per via dei volumi: tanto più si amplia la parte alta del corpo dell’abito, tanto più io accorcio e ristringo sotto. Per quanto riguarda i materiali, sempre le sete mixate a dei tessuti in velluto, piuttosto che lamé con elementi gioiello sulla schiena, come per esempio nei cappotti, la cui forma ad A viene valorizzata da una colata di ricami — ovviamente tutti fatti a mano — che scendono lungo la parte posteriore. C’è poi il concetto della linea, della stripe orizzontale, con i top ricamati con filo lamé-oro sul tulle trasparente, da abbinare a jumpsuit bianche o da indossare come top per le giacche. E poi tocchi di pelle, perché gli Eighties sono ‘pelle’, quindi miniabiti e minigonne da abbinare con camice di chiffon. Ritorna la ghetta, ma da portare sopra la scarpa, un vezzo che personalmente adoro”. Decennio pericoloso, anche, gli Ottanta, con degli eccessi che hanno fatto la storia del cattivo gusto, e lo facciamo presente a Sara. “Io la vedo in chiave positiva. Se nella precedente collezione la donna era guerriera, combattiva, ora ha vinto la sua battaglia e c’è. Quindi gli anni ’80 per ostentare, ma ostentare la personalità della donna. Come se dicesse ‘Io mi faccio vedere un po’ più aggressiva nel look per dirti che ci sono’. È questa la mia lettura”. Una lettura che si fa ri-lettura coraggiosa e che ci piace, perché non copia pedissequamente ma, per dirla in termini spaziali, trova l’angolo nuovo all’interno del quartiere già visitato.
Così come nella scorsa collezione eravamo stati ingolositi da alcuni capi anguria tra lo storico white e le tinte tenui Genny, allo stesso modo, questa volta, veniamo ammaliati — no, abbagliati — da un blu che gli anni 80 avrebbero definito “elettrico”. “L’ho chiamato Blue China, e l’ho visto come un colore che dà forza. Di solito il blu è un po’ standard, classico, ma questo è un China ispirato un po’ all’Oriente, che mi ha emozionato da subito con le sue tonalità. Abbinato al bianco, ma anche al verde, crea un flash di luce nei colori che solitamente sono più pastellati”, aggiunge Sara.
“Non mi stupirei di ritrovare uno di questi long dress azzurri su qualche red carpet”, concludevo nell’articolo di novembre, circondata da certe meraviglie celesti e silver il cui potenziale risaltava evidente davanti ai miei occhi. E così è stato. Al Global Gift Madrid Gala, lo scorso 4 aprile, Eva Longoria ha sfoggiato il dress-pantalone plissettato azzurro polvere della collezione primavera-estate. Ma per Sara Cavazza Facchini il red carpet, non è tutto. “Mi piace che le persone riconoscano ciò che creo. Per esempio mi danno molta soddisfazione anche i lettori di giornali che notano la femminilità, l’eleganza, la leggerezza, e individuano le situazioni in cui la donna potrebbe indossare questo o quel capo. Vedere una Eva Longoria o una celebrity che sceglie, lei di persona, un mio capo per fare un red carpet, ovviamente mi gratifica, ma non tanto perché vesto lei, ma perché lei è un personaggio che conosce tanto della moda, è sempre in vista, e riconosce che anche il mio brand c’è, che ha un grande potenziale, e vuole portarlo. Essendo Genny un marchio che ritorna ad essere ‘nuovo’ qui in America, il fatto che Eva abbia avuto il coraggio di indossarlo in un’occasione importante mi dà tantissima soddisfazione. Ma pari soddisfazione mi dà una cliente qualsiasi che sposa la nostra filosofia e acquista un nostro capo”.
Siamo certi che la ghetta in vista, le profonde, elegantissime scollature a V negli abiti memori delle Ziegfeld Follies newyorkesi, le giacche-gilé per la sera, così come certe maniche a palloncino e un’irresistibile pelliccia in color-block blu-black&white che, per quanto ci riguarda, dovrebbe diventare un pezzo da collezioniste, popoleranno gli armadi della donna che ritrova nel marchio Genny non solo un linguaggio per esaltare la propria bellezza, ma anche una quest creativa che fa della moda un’arte interdisciplinare a tutti gli effetti.