La settimana scorsa scrissi sul controverso arrivo di John Galliano alla Parsons School of Design dove era programmato un seminario con il celebre designer al centro di uno scandalo mediatico dopo il suo sfogo antisemita a Parigi due anni fa. Oggi devo riportare l’ultimo avvenimento di questo movimentatissimo caso: la popolazione universitaria è stata informata dal Rettore, il workshop di Galliano non avverrà. E un senso di gratitudine immediatamente aveva iniziato a materializzarsi dentro di me, anche un po’ di soddisfazione; le reazioni di studenti e professori che avevano manifestato il loro disappunto nell’invito di Galliano sarebbero state ascoltate e giustizia fatta. Inizio a fantasticare sulla correttezza sociale e morale dei vertici della mia Facoltà, di quanto qui sia dato valore alla manifestazione di pensiero dall’alto verso il basso. Invece, continuo a leggere riga dopo riga questa lettera via email… a quanto pare “la scuola avrebbe messo in chiaro le condizioni alle quali lo stilista avrebbe dovuto aderire, le quali includevano un’aperta conversazione con studenti e professori anche sui fatti di cronaca che lo travolsero, ma in merito a questo punto l’accordo non sarebbe stato raggiunto.”
Cioè, Galliano si sarebbe in extremis rifiutato di insegnare alla Parsons dopo che cartelloni erano stati affissi, email di spiegazioni sui perché dell’iniziativa mandate a raffica da direttori e preside, dopo che le adesioni al seminario erano state raccolte, perché a solo pochi giorni dalla data dell’evento “precise” condizioni (queste poi alquanto rilevanti) gli sarebbero state sottoposte e da lui rifiutate… No, io non ci credo. E non solo non credo a questa motivazione della cancellazione, mi trovo totalmente delusa dall’atteggiamento della direzione universitaria. Rifletto sull’immaturità della gestione di questo avvenimento, di come un giorno all’improvviso un cartellone con i nomi Parsons e Galliano venga appeso senza alcuna spiegazione, di come questo innesti voci di corridoio prive di fondamento sull’arrivo dello stilista, di come studenti e professori indignati inizino a dilagare petizioni on line per tenere lontano un “antisemita” dall’università. Le tensioni erano vive, palpabili; il dibattito acceso, a lezione, in ascensore.. l’ateneo era scosso da una controversia imposta senza il minimo riguardo, gettata come un sasso nell’acqua che di per sé piomba rapido sul fondo ma che crea intorno onde a catena. Perché forse alcuni pensavano che era solamente una questione di stile, ma lo stile non è tale senza spirito critico.
Forse la Parsons stessa non credeva che aspiranti designer e giovani artisti avrebbero avuto da ridire di fronte all’inestimabile talento di Galliano, forse i nostri direttori hanno una concezione di artista che include la disinformazione e disinteresse da tutto ciò che non sia del suo campo, o forse credevano che quei giovani ventenni tutti Facebook e niente cervello non si sarebbero preoccupati più di tanto di dei loro valori personali e dei loro ideali, senza intralciare una bella trovata pubblicitaria per la scuola. E infine, ritenendo chiaro che le proteste e i tumulti contro Galliano devono essere stati un fattore determinante nella cancellazione, perché non riconoscerlo nella lettera mandata questa settimana? Perché non voler attribuire valore alla partecipazione di una comunità in cui il vero dibattito, quello spontaneo, sì è materializzato avvicinando studenti e professori nella discussione di una tematica che si è infine resa davvero didattica nell’insegnare il valore dell’espressione personale? Elogio la popolazione della mia università che a mio parere ha vinto una sfida intellettuale dimostrando di essere recettiva a stimoli socio-culturali e sensibile umanamente molto di più di chi, pensando che studenti di moda e design avrebbero accolto a occhi chiusi il grande nome della moda, ha invece collezionato una svilente figuraccia.