A ferragosto ho pianto. Ho pianto di commozione aprendo il libro di Nuccio Ordine: Classici per la vita. Una piccola biblioteca ideale, che inizia così: “Se non salviamo i classici e la scuola, i classici e la scuola non ci potranno salvare”.
Mi ero appena sistemata al sole con tutto l’occorrente – cappello, occhiali e matita per sottolineare (retaggio scolastico) – pregustando un’immersione letteraria in mezzo al mare, in barca lontano dai bagnanti. Ma un’ondata di ricordi mi ha travolto. Papà che legge vicino al mio letto – sono malata – I tre moschettieri di Dumas; la nonna che mi narra La saga dei Nibelunghi; io a dieci anni che divoro in un mese una trentina di libri editi da Salani trovati nella cassapanca della zia; la mia professoressa delle medie che legge l’Iliade e io piango per Achille, per Patroclo, per Ettore, per Andromaca, per Enea. Poi scrivo poesie e le regalo tutte alla prof che mi insegna i sentimenti, a sentire.
Ho avuto il privilegio di ascoltare Nuccio Ordine, professore di Letteratura italiana all’Università della Calabria, a maggio durante la Fiera del Libro di Torino. Presentava il suo libro assieme a quello dello scrittore e drammaturgo greco Petros Markaris, L’assassinio di un immortale, entrambi pubblicati dalla giovane casa editrice “La Nave di Teseo”. Ricordo che Markaris disse: “Tutto quello che è stato scritto dopo è arrivato dall’Iliade e dall’Odissea”. Mi sentii subito tra persone che parlavano il mio stesso idioma, incomprensibile ai più che considerano gli immortali morti e sepolti. Invece sono vivi e parlano ancora a chi li voglia sentire. E come si fa? Basta nutrirsi di libri, di quelli buoni però, che non ammazzano il tempo ma lo rendono infinito. Perché hanno creato un ponte d’immortalità tra il loro passato e il nostro presente. Quando li leggi capisci chi sei, da dove vieni e che ti è dato di condividere.
Per far comprendere ai suoi studenti che “i classici non si leggono per superare un esame, ma per far capire il mondo che ci circonda”, Nuccio Ordine ogni lunedì, negli ultimi quindici anni, ha letto brevi citazioni di opere, notando che in aula c’erano volti nuovi di allievi di altre facoltà. Da questa esperienza sul campo è nata la rubrica “ControVerso” che appare settimanalmente su “Sette”, magazine del Corriere della Sera diretto con gran sensibilità culturale da Pier Luigi Vercesi. Il libro raccoglie una cinquantina di brevi citazioni letterarie commentate da Ordine.
“I classici ci insegnano che le frontiere, i nazionalismi non esistono – mi ha spiegato Nuccio Ordine. – La molteplicità delle culture, delle lingue non sono un ostacolo, ma l’essenza forte di una civiltà. Sono nato in una casa dove non c’era un libro, in un paese dove non c’era un teatro, non c’era una libreria. Se non avessi avuto la scuola, io non sarei stato quello che sono. Albert Camus quando riceve il premio Nobel, scrive alla mamma e al suo professore delle medie per ringraziarli. Un buon professore, un buon classico possono ancora cambiare la vita di una persona. A quegli studenti che mi dicono che i classici sono noiosi, rispondo che sono noiosi quei professori che non sanno insegnare i classici o che non partono dai classici.
Quando un insegnante riesce a toccare le corde del cuore di uno studente, queste vibrano. I classici sanno parlare: sono nostri contemporanei. Mi sono messo a piangere leggendo Itaca, la poesia di Costantino Kavafis. Fa capire ai giovani che quello che conta è il viaggio, è quello che ti trasforma, non la meta. Solo la conoscenza rende liberi. Non ci sono solo i debiti della Grecia, ma anche i crediti. Perché l’Europa sarebbe stata inconcepibile senza la cultura greca. Oggi l’unico metro di misura che unisce l’Europa sono i debiti e i crediti. Abbiamo creato un’Europa della finanza e degli egoismi. La stessa scuola è diventata un mercato: quando un ragazzo studia, prende un credito. Ma senza solidarietà tra le nazioni non ci potrà essere una vera Europa e non saremo uomini liberi”.
Avrei voluto parlare con Nuccio Ordine ancora a lungo. Quando si è allontanato, ho aperto il libro e la sua dedica: “Per Elisabetta, per difendere i classici” mi ha dato un brivido d’orgoglio, come una chiamata alle armi. Molto epiche.