Che avrei sposato il principe. Che solo lui mi avrebbe baciata. Che solo lui mi avrebbe deflorata. Dovevo mantenermi pura per la prima notte di nozze, sentenziava mia madre. Educazione pesante: divieti su divieti. Cominciavo ad odiarlo perché non avevo la possibilità di scegliere, benché il principe fosse bello e ricco proprio come quello delle favole di Biancaneve e La Bella Addormentata nel bosco. Mia madre era una strega, come quella delle favole.
Baciai tutti quelli che mi piacevano, meno il principe: non glielo permisi. Perciò non mi “sistemai” con un matrimonio da favola, come voleva mia madre. Non me ne sono mai pentita. Perché ho scelto di esser libera di fare, andare, amare.
Sono cresciuta in una famiglia che aveva perso, a causa del comunismo jugoslavo, tutte le sue proprietà, meno i quarti di nobiltà. Che sono le divisioni di uno stemma familiare a garanzia del valore di una nobiltà. Raccontano in modo allegorico, attraverso i simboli all’interno, da dove vieni, quali sono le tue radici, cosa hanno fatto i tuoi antenati per meritarsi tanto e, soprattutto, quale re o imperatore glielo ha concesso e quando. Ci sono i simboli del monarca (tipo l’aquila bicipite) e quelli della tua famiglia. Il poter dimostrare le proprie radici, “come sei nata”, attestavano che eri stata allevata secondo regole comportamentali e morali che ti avevano forgiato il carattere comme il faut (come bisogna).
Erano gli anni ‘60/’70 – non secoli fa – ma senza i quarti di nobiltà non potevi ambire a sposare un principe. Il leit motiv di mia nonna era: “Comportati bene che già hai pochi quarti di nobiltà, sei solo una contessa palatina, e chissà se il principe L. ti vorrà in moglie”. Ero ancora una bambina ma pensavo: meglio così, non sono mica un cavallo a cui si apre la bocca e si guarda dentro se i denti sono a posto; farò del mio peggio per non esser presa in moglie.
Ero stata promessa in sposa all’età di sei anni, dico sei, a un principe tedesco. Per la mia famiglia era un riscatto sociale e nobiliare. Per me era una compravendita dove io ero la merce di scambio, anzi lo era la mia purezza che dovevo portare in dote. Mi sentivo una prostituta. A cui nessuno importava un fico secco del mio bisogno di amare. Mi imposero una signorina di tedesco ogni pomeriggio. Mio fratello poteva giocare, io dovevo ascoltare la sua voce lagnosa. “Strano” dicevano i miei “questa ragazzina è brava in tutto, ma non le entra in testa il tedesco”. Non parlavo una parola.
La storia sarebbe molto più lunga e costellata di episodi divertenti dove ne ho fatte di tutti i colori. Quello che voglio dire è che non mi sono mai sposata perché non sopporto le storie di principi azzurri che ti salvano, di zuccherosi matrimoni con lo strascico che ti fanno sentire una principessa. Io mi sentivo già una principessa ed ero convinta che non avevo bisogno di un principe. Un uomo che mi avrebbe fatto l’onore di sposarmi e che mi avrebbe offerto un nome e un futuro radioso. Non credevo una parola delle storie che mi propinavano le donne della mia famiglia. Perché sono le donne le peggiori custodi di questa becera cultura patriarcale, che tramandano ai figli educandoli alla superiorità del maschio.
“Ma è lui il maschio; è l’erede” sottolineava spesso mia madre, per dire: all’uomo tutto è permesso. Io non so come certe donne possano essere così imbecilli, senza cervello, considerato che sminuiscono il proprio genere. Perché anche se apertamente non ragionano più così, l’educazione che danno ai figli è tuttora diversa, rispetto alle figlie. Provane sia che il mondo è pieno di cretine che sognano il principe azzurro e, con i tempi consumistici che corrono, basta che sembri un principe anche se non lo è, magari è pure vecchio e le tratta malissimo, ma l’importante è che abbia tanti soldi da spendere per loro. Chiamasi: nuova prostituzione. Il massimo dell’ambizione è ancora: “essere la moglie di…”
In conclusione, mi viene da ridere che due giornaliste americane hanno scritto: il bacio del principe a Biancaneve è dato senza il suo consenso e quindi non è il bacio del vero amore. Mi pare un’osservazione superficiale perché la materia del contendere non è il consenso. Se dormo e mi sveglia un innamorato, è un gesto bellissimo. Se non lo amo, svegliandomi, lo scaccerò via. Il messaggio sublimale della favola è che solo un uomo ti possa svegliare da un sonno eterno: questa è una balla colossale. Io mi sveglio da sola. Sarebbe come ammettere: solo un uomo può aprirmi gli occhi, devo affidarmi alla sua guida. Ora mi viene in mente una frase in tedesco: pfui teufel! Che schifo il diavolo!