Sul finire degli anni ’70, in una cinquantina di pagine di avventure intrise di battaglie cruente e di provvisorie vittorie, i fumetti dell’Uomo Ragno ci aiutavano a far fronte comune contro le insicurezze di adolescenti.
Tra quei sogni di gloria, che avremmo poco dopo rivissuto sul grande schermo e in (veri) cartoni animati in tv bianco e nero, si consumava copioso un conflitto quotidiano: Uomo Ragno vs Peter Parker, il formidabile supereroe contro l’impacciato studente senza famiglia né soldi.

Preceduto alcuni decenni prima dagli altri newyorkesi Superman e Batman, Peter raffigurava il fidanzato del Queens scelto dalla figlia con sindrome da crocerossina che ogni padre avrebbe accettato pur di farla contenta. Alieno post apocalittico, Clark Kent abitava in un appartamentino di Brooklyn in modo normale, con tanto di fidanzata e lavoro ben pagato: un americano medio, forse felice.
Il secondo mantellato, il misantropo Bruce Wayne, viveva in una caverna circondato da oggetti e mezzi ispirati alla genialità di Leonardo da Vinci in salsa gotica, strizzando l’occhio alla temuta italianità del Futurismo di Marinetti e Boccioni. Più o meno accompagnato dal chiacchierato Robin, al calar delle tenebre vestiva l’indumento di Batman dichiarando la sua guerra personale contro il crimine, in quella Gotham City che non si faticava a riconoscere nelle geometrie déco.
Travestito anche lui come Spiderman, c’era però qualcosa nel pipistrello dal sapore maccartista che non andava a genio a tutti: il personaggio era sfacciatamente ricco! Tanto benestante che in un momento come questo piacerebbe vederlo donare il sangue in un ospedale pediatrico o distribuire pasti ai poveri alla stazione, offerti e portati da lui. Sempre mascherato, of course!
Dato che è un’utopia, per comprendere meglio le odierne difficoltà delle persone normali soffermiamoci su Superman e l’Uomo Ragno, nella vita entrambi dipendenti succubi del feroce mondo del giornalismo. Per sopravvivere alla notorietà, Clark Kent contava sulla complicità del pubblico, nascondendosi in modo ingenuo dietro occhialoni da nerd.

Per Parker era più difficile, doveva celare il suo volto per essere credibile nella battaglia contro il male, prendendo in prestito uno dei must delle società iniziatiche: l’irresistibile volto misterioso! Come da copione, il gioco imponeva di non essere amato dalla stampa che lo accusava – proprio per via della sua segreta identità – di essere lui il cattivo da ingabbiare. Storia vecchia, non solo nel fantasy.
Da quando i protagonisti di quei vagheggi di gioventù sono finiti sulle bancarelle dei fumetti usati o a far la muffa in cantina, ci siamo ritrovati spettatori forzati di un’alluvione continua di immagini dedicate al culto di chi appare mettendosi in mostra, nelle cui rapide di quella piena di “eroismi” regista, sceneggiatore, attore principale, spalla e presentatore del “Trofeo eroe dell’anno” incarnano la stessa persona.
Il conflitto di interessi è saltato da un pezzo, oggi il sedicente supereroe di media caratura (singolo o gruppo che sia) è animato dal bisogno disperato di esibire un protagonismo in ogni azione di soccorso, filantropica o di “difesa dei più deboli”. Hanno mai pensato questi attori quanto possa essere mortificante essere l’oggetto di quell’immagine? Il “piccolo salvato” ritratto accanto all’eroe bello e muscoloso, lo sventurato del momento che se non esistesse non darebbe senso a quel culto infantile di sé stessi – passando per la vecchietta in stato confusionale o al cucciolo bagnato – ha davvero senso? E se toccasse a uno di noi un giorno essere il debole, il tapino ben mostrato come unità di misura di un modello in scala? Da far tremare i polsi!

Qualcuno si era accorto che i superuomini iniziavano a stancare, all’inizio degli anni ’80 quelle “americanate” che abbiamo amato alla follia stavano davvero cominciando a essere troppe, di pari passo con i grattacapi della società. Fu così lasciato libero per poco tempo il palcoscenico a un nuovo tipo di paladino, stavolta ridicolo e mediocre: Ralph Supermaxieroe, nella cui saga il vero protagonista era il costume extraterrestre che indossava, senza esserne capace.
Già, il costume… unico e inconfondibile, trasformava ogni personaggio in un mondo a sé, dove forza e insicurezze si separavano conservando la propria duale identità. Sparito Ralph per lasciare spazio a Rambo, e Superman dopo lo sbarco su Marte, del fascino del Ragno che vagava in volo su una Manhattan hopperiana non sembra rimasto più niente, mentre gli onnipresenti droni hanno reso nulla la fantasia resa credibile da Dante su Nembrot durante il sorvolo dell’Inferno in soggettiva.

Nel frattempo, i soporiferi racconti dei nuovi eroi avevano trasformato gli sbadigli delle donne in colonne sonore delle storie da uomini insicuri al loro cospetto, offrendo – in tono minore – anche al gentil sesso l’occasione per saltare il fosso e gettarsi nel tripudio delle autocelebrazioni. Tutti contro tutti!
In un macrocosmo di Peter Pan di ambo i generi in cui sembra estintosi il senso della modestia, dove sei finito Peter Parker? Dove sono la timidezza e i tuoi problemi che aiutavano ad accettarci? E quel rimpiattino tra testimone e protagonista che rendeva tutto educativo ed essenziale? Il gioco sembra sfuggito di mano, grazie ai social e all’ossessione compulsiva di essere protagonisti indispensabili di un mondo che senza guerrieri non riuscirebbe a tirare avanti, dove chiunque diventa un biografo di sé stesso attraverso un comune gesto civile che viene incensato come un’audacia dannunziana, riportando in puerili didascalie banalità al limite del comico.
Dove è finito il fascino dell’eroe che si allontanava solitario dalla scena senza neppure una tasca per i biglietti da visita? E i sospiri delle ragazze che sognavano di essere portate via nelle braccia in volo tra i cornicioni? La forza è diventata esibizione di sé stessa snaturandone l’essenza, in attesa di un’alba di sobrietà che ci riporti a riscoprire il fascino del bel tenebroso o dell’imbronciata eroina, misteriosi quanto inafferrabili. Di questo sì, quanto mai adesso, ne avremmo davvero bisogno.
Quindi, signore e signori, per riemergere da questa palude di narcisismo non ci resta che chiedere in coro un cambio di Peter: Aridatece Parker, ma teneteve Pan!