L’ “Artico” è una riserva protetta e tutelata dalle Nazioni Unite che hanno più volte respinto le richieste dei vari paesi di accedere alle immense risorse di cui dispone. La tutela e la salvaguardia delle Nazioni Unite è costante: l’ultimo documento, pubblicato solo poche settimane fa, parla di minacce tra le quali anche il semplice spostamento di persone e merci e la debolezza dell’ecosistema cartina di tornasole dei cambiamenti climatici in atto.
Per questo motivo, ha sorpreso non poco la decisione del presidente degli USA, Donald Trump (sempre in cerca di voti e di appoggi da parte delle grandi imprese, specie visto che appare un po’ in affanno nella corsa per il secondo mandato), di concedere i diritti di trivellare ampie zone dell’Alaska vicine all’Artico. L‘Arctic National Wildlife Refuge è una riserva protetta nella zona nord-orientale dell’Alaska. È il più grande dei 16 National Wildlife Refuge dell’Alaska (circa 78mila chilometri quadrati). Rimasta inviolata per oltre 30 anni grazie all’approvazione, nel dicembre del 1980, dell’Alaska National Interest Lands Conservation Act (ANILCA) da parte del Congresso (poi chiamata Arctic National Wildlife Refuge).
La legge indicò buona parte della riserva (circa 30mila chilometri quadrati) “area selvaggia”. Solo una piccola parte lungo la costa, circa 6mila chilometri quadrati, nota come “sezione 1002”, fu lasciata aperta alla ricerca (seppure limitata) di gas e petrolio. I ricercatori ritengono che sotto le foreste incontaminate della riserva si nascondano enormi riserve di petrolio ancora non sfruttate: alcuni studi parlano di giacimenti di petrolio sufficienti a riempire miliardi di barili. É per questo che, nel tempo, sono state presentate numerose richieste di concessione del diritto di trivellare l’area. Istanze ogni volta respinte seccamente dal Congresso guidato dai democratici. Nel 2017, però, la nuova maggioranza repubblicana al Congresso ha deciso di cambiare atteggiamento e ha, di fatto, aperto le porte alle estrazioni nell’Arctic National Wildlife Refuge. Un percorso durato anni che, nei giorni scorsi, con un tempismo quasi sospetto, ha portato David Bernhardt, Segretario degli Interni, a dichiarare che l’amministrazione Trump ha finalmente definito i dettagli per i contratti per l’estrazione di idrocarburi nell’Arctic National Wildlife Refuge entro il 2021. Dovrebbero essere messe all’asta le autorizzazioni per esplorare due zone distinte, da 400mila acri ciascuna (circa sette volte la Lombardia) i cui permessi di trivellazione scadrebbero nel 2024.
Si tratta di una decisione molto delicata che potrebbe avere enormi ripercussioni sia interne che sul piano internazionale. Gli oppositori hanno criticato la decisione del Congresso e del Presidente definendo anacronistico questo passo indietro, proprio ora che il mondo deve ridurre l’uso di combustibili fossili per affrontare il riscaldamento globale. In realtà, da sempre l’amministrazione Trump ha ignorato gli inviti a ridurre il consumo di combustibili fossili e le emissioni di CO2 anche a costo di causare un drastico peggioramento dei cambiamenti climatici. Le conseguenze di queste scelte azzardate sono sotto gli occhi di tutti. Ma prima ancora degli americani: nei giorni scorsi, nella Death Valley, in California, è stata registrata la temperatura record di 54,4 gradi Celsius (129,9 gradi Fahrenheit). A segnalare il dato spaventoso è stata la stazione automatizzata del Servizio meteorologico nazionale degli Stati Uniti, a Furnace Creek, quasi al confine con il Nevada. Secondo il meteorologo Bob Henson dell’American Geophysical Union “possiamo dire con grande sicurezza che, se confermata, quella raggiunta ieri è la temperatura più alta osservata sulla Terra in quasi un secolo”.
Un’emergenza che ha costretto le autorità ad adottare misure estreme: per la prima volta dal 2001, lo stato della California ha imposto blackout programmati a rotazione per affrontare il boom della domanda elettrica causato dalle elevate temperature, che spingono a un uso incessante di aria condizionata e ventilatori. Una decisione che, però, non è bastata a impedire il divampare di numerosi incendi: il governatore della California, Gavin Newsom, ha dichiarato lo stato di emergenza a causa del caldo e delle decine di incendi che stanno devastando lo stato: “Stiamo mettendo in campo tutte le risorse disponibili per garantire la sicurezza delle comunità alle prese con i roghi durante queste estreme condizioni climatiche”, ha annunciato, “continuiamo a lavorare per affrontare la sfida e rimanere vigili davanti al persistere di condizioni meteo pericolose”. Temperature a tre cifre (Fahrenheit) sono state raggiunte anche a Redding nel nord a El Centro vicino al confine. Una situazione che ha costretto il National Weather Service ad emettere numerosi avvisi di allerta: “Si prevede un leggero raffreddamento nel corso della settimana ma le temperature rimarranno al di sopra della norma fino all’inizio della prossima settimana”.
Ma questa evidenza non è bastata a convincere il tycoon della Casa Bianca (per quanto tempo ancora?) che l’uso dei combustibili fossili deve essere limitato e non incoraggiato.
Taciturna l’Unione Europea e i suoi governi, zitta anche la piccola Greta, l’ultima speranza per l’ambiente potrebbero essere i giudici: un gruppo di avvocati ambientali avrebbe presentato un ricorso affermando che l’amministrazione Trump è stata negligente nei controlli e che avrebbe ignorato alcuni requisiti chiave stabiliti dal Congresso quando, nel 2017, diede il via libera all’esplorazione petrolifera. “Il Congresso ha approvato una legge che diceva di utilizzare le entrate dei ricavi della locazione della pianura costiera”, ma l’amministrazione Trump avrebbe adottato “un approccio massimalista” e, così facendo, avrebbe “violato altre leggi come il National Environmental Policy Act e l’Endangered Species Act”, ha detto Erik Grafe, vice procuratore responsabile dell’ufficio di Earthjustice in Alaska. Gli avvocati sostengono che l’analisi dell’agenzia e altre utilizzate per supportare la decisione ANWR non soddisfano i requisiti stabiliti dall’Endangered Species Act o dal National Environmental Policy Act, che richiedono studi ben più approfonditi.
Dello stesso avviso David Hayes, vice segretario dell’Interno durante l’amministrazione Obama e ora alla School of Law della New York University, che ha ricordato che si tratterebbe di un lotto troppo grande: secondo il disposto della legge fiscale del GOP del 2017 che ha autorizzato le vendite in leasing, tutte le infrastrutture per la perforazione – le piazzole dei pozzi, i pali di sostegno per le condutture fuori terra, quattro piste di atterraggio – non devono occupare più di 2.000 acri. Invece, l’amministrazione Trump avrebbe messo in vendita quasi 1,6 milioni di acri. “Quei 2.000 acri non sono mai stati basati su prove. È stata un’invenzione retorica che ha preso piede al Congresso che si potrebbe effettivamente fare un grande sviluppo di petrolio e gas nell’Artico per meno di 2.000 acri”, ha detto Hayes.
Al di là dei cavilli legali, a destare la preoccupazione degli ambientalisti,- e a essere la chiave per le molteplici cause previste dopo la decisione dell’ANWR – sarebbe la totale mancanza di una seria valutazione dell’impatto sulla fauna selvatica da parte dell’amministrazione Trump. “Non è riuscito ad analizzare adeguatamente gli effetti sugli orsi polari sia sull’impatto di una fuoriuscita di petrolio su una specie che sull’impatto dell’attività sismica su una specie che potrebbe schiacciare tane e uccidere gli orsi polari e i loro cuccioli”, ha detto Kristen Monsell, avvocato del Center for Biological Diversity.
Jared Huffman, deputato della California e firmatario, nel 2019, di un disegno di legge del Congresso che vietava la perforazione ANWR (in seguito bloccato nel Senato), ha definito la decisione di Trump una “analisi fondamentalmente imperfetta”. “Attraverso il lavoro di addetti ai lavori politici e interessi speciali ben collegati, i funzionari di Trump hanno annullato e ignorato la scienza che dimostra i pericoli per gli orsi polari e i loro cuccioli causati dallo sviluppo di petrolio e gas”, ha detto Huffman, che ha lottato per far sì che il linguaggio della trivellazione fosse aggiunto alla legislazione fiscale del 2017, ha definito la decisione di Interior parte di un “approccio metodico e mirato”.
“I suggerimenti secondo cui [il verbale della decisione] non riflette la legge – o che in qualche modo è la fine del processo di approvazione prima che lo sviluppo abbia luogo – sono semplicemente imprecisi”, ha detto la senatrice Lisa Murkowski (R-Alaska).
L’amministrazione Trump non sembra vederla in questo modo: in riferimento ai commenti sui piani di trivellazione ANWR ha ribadito che “non è d’accordo che lo sviluppo proposto sia incompatibile con il mantenimento di un pianeta vivibile (cioè, non c’è una crisi climatica)”.
Due aspetti non sono stati approfonditi. Il primo è di natura tecnica ma al tempo stesso ambientale ed economica. Il petrolio estratto in Alaska potrebbe essere simile a quello canadese, ovvero “sporco” estremamente costoso da trattare e con enormi conseguenze per l’ambiente dovute proprio ai processi di lavorazione (che, tra l’altro richiedono consumi idrici enormi). Il secondo aspetto è che questo petrolio sarebbe estremamente costoso e quindi poco conveniente specie in considerazione dei prezzi attuali del grezzo di importazione.
Resta, quindi, da capire se la decisione di Trump sia solo la volontà di mantenere una promessa fatta ai propri sostenitori già durante la propria campagna elettorale per il primo mandato o se, invece, non sia l’estremo tentativo di mostrare i suoi “muscoli” agli americani e magari di recuperare qualche punto percentuale sull’avversario democratico che lo ha superato, ma non di molto.