Ci stavo pensando oggi – perché la vicinanza di San Valentino (14 febbraio) scatena sempre le reazioni più disparate e disperate.
C’è chi rifugge le feste comandate come fossero la peste bubbonica – non tralasciando l’esternazione del disgusto per le date fatidiche e chi – viceversa – segue e persegue ogni occasione ghiotta per “far festa”.
San Valentino è ormai da tempo ribattezzato il santo dell’amore e dell’armonia di coppia, dei primi patimenti d’amore ma anche il santo della consacrazione coniugale (nel senso di “coniugio” – ossia unione) per le coppie più solide.
E’ una festa che si festeggia in tutta Europa, ma anche in America del nord ed in America Latina; comico e surreale che San Valentino sia anche il protettore degli epilettici – non fosse altro perché qualcuno forse (in tempi non sospetti) aveva colto una certa assonanza fra amore e malattia.
Non vorrei risultare estremamente vulcaniana però per me la parola “amore” significa altro.
Ad una certa età (ma forse è anche il carattere che incide) le palpitazioni amorose e l’emotività a briglia sciolta – vanno a scemare – come la tendenza tipicamente adolescenziale ed autolesionista del cacciarsi nei guai col primo o secondo narcisista patologico che s’incontra.
Devo dire che ho sempre avuto fiuto nello schivarli; come del resto – nel corso della mia gloriosa carriera di “engaged” (sono stata credo solo sei mesi single – nell’arco di tutta la mia vita) ho sempre saputo scegliere il muro giusto per non sbatterci la testa.
“L’amore è una cosa bellissima solo se non fa male” – diceva la mia nonna ed aveva ragione; gli esseri umani non sono fatti per soffrire le pene d’amore – perché già la vita ci predispone tutta una serie di rotture, dolori, ansie, frustrazioni dovute a ciò che incrociamo nel mondo esterno.
Perché stare male persino in coppia? Oppure perché stare male e soffrire per una persona che non è in grado di ricambiarci?
Dovrei correggere il tiro – perché avevo iniziato col celebrare San Valentino e non volevo subito colpirlo con un dardo avvelenato.
A tal proposito: chi confonde San Valentino con cupido è un fellone ignorante, anche se capisco bene che – in quanto a marketing – venda molto di più un rubicondo e sorridente cupido dalle guance rosa che un emaciato e magrolino santo (san Valentino da Terni) finito persino decapitato nel 273 d.C.
Il monito resta quindi sempre lo stesso: amatevi gli uni con gli altri – ma prima amate Voi stessi, amabili creature.
Con “amabili creature” in particolare mi riferisco al genere femminile – emotivamente sempre più pronto a prendere amori per calessi.
Care donne – sappiate amare con un po’ più di testa e meno cuore; come diceva quel motto “Và dove ti porta il cuore ma vacci armata” e qui l’arma non può altro che essere l’autostima.
L’autostima è il vostro valore aggiunto, l’amor proprio che passa dal porvi sempre al centro del vostro benessere psicofisico; in assenza di questa – sarete portate a fare quei famosi “due passi indietro” per non disturbare troppo, per non chiedere tempo e impegno nel rapporto e per arrivare a giustificare – sempre e comunque – l’ingiustificabile.
L’autostima s’impara da bambine, bisogna essere talmente fortunate da essere state amate e fatte sentire importanti; così importanti da non perdersi – in età più adulta – in rapporti nebulosi, contorti e sofferenti.
L’autostima care donne – va a braccetto con l’amore più sano, maturo e consapevole.
Quale uomo evoluto e risolto non amerebbe una compagna di vita che conosce il suo stesso valore?
Lavorate bene su quella; amatevi voi per prime – prima di pretendere di trovare le risposte esistenziali nell’altro; bisognerebbe sempre ricordare che in coppia si è in due in piedi ed in equilibrio su una bilancia.
Desiderare d’essere amate è una bella consapevolezza solo se si è pronte ad amarci noi per prime.
Buon San Valentino a tutti.