Quest’anno è Amsterdam, Olanda, ad ospitare i lavori della 22 edizione della “International AIDS Conference”diritti , la più importante convention internazionale sui progressi e gli sviluppi della lotta all’AIDS. Il tema scelto, “Breaking Barriers, Building Bridges”, rivela l’intenzione di indirizzare i lavori verso l’adozione di metodi efficaci di prevenzione e lotta al virus, sopratutto tra le classi maggiormente a rischio della popolazione, donne ed adolescenti in primis.
Il virus dell’HIV venne scoperto, secondo la letteratura, nel 1981, quando, in alcuni pazienti americani, si riscontrò un basso livello di linfociti T. In realtà, si era a conoscenza di casi di AIDS già a partire dagli anni ’70 in America, Haiti ed Africa. I primi pazienti studiati si rilevarono essere omosessuali attivi, fatto che contribuì a creare l’errata convinzione che la diffusione del virus avvenisse prevalentemente tra coloro che adottavano comportamenti sessuali promiscui o fossero dediti all’uso di sostanze stupefacenti, sottostimando di fatto la portata dell’epidemia. Nelle prime fasi, il tasso di mortalità del virus si attestava attorno al 100% dei casi.
Fu solo nel 1996, che venne presentato al mondo il primo cocktail efficace di farmaci, in grado di arrestare l’avanzamento dell’infezione nei soggetti diagnosticati in tempo.
Si parlò di una completa debellazione, ma, già in quegli anni, si stimava un numero di contagiati nel mondo di circa 22 milioni di persone, una vera e propria pandemia, che presto si sarebbe trasformata nell’emergenza sociale di cui siamo a conoscenza.
Ad oggi, i dati pubblicati sul sito dell’UNICEF mostrano che i contagiati che convivono con il virus sono 36.9 millioni, di cui quasi la metà sono donne al di sopra dei 15 anni.
Secondo Michel Sidibé, direttore esecutivo dell’UNAIDS, il programma delle Nazioni Unite per l’HIV/AIDS, oggi anno circa 1 milione e 800.000 persone vengono contagiate dal virus, tra cui 250.000 adolescenti tra i 15 e i 19 anni di età.

Secondo i report, ci troviamo a fronteggiare una nuova emergenza sociale, diffusa non solo tra coloro che sono schiavi del mercato del sesso o legati all’abuso di sostanze stupefacenti, ma anche tra i ragazzi in età pre-adolescenziale, che vivono in situazioni di degrado in stati africani o del sud-est asiatico. Secondo alcune testimonianze, in alcuni stati del continente africano, dove si registrano percentuali del 70% di contagiati tra i lavoratori impiegati nel mercato del sesso, le forze di polizia compiono raid di confisca dei preservativi, azzerando di fatto le potenzialità dell’unica arma di prevenzione valida ed efficace nel breve periodo.
Nelle regioni dell’Asia centrale e dell’Est Europa, l’epidemia sembra diffondersi prevalentemente tra i consumatori abituali di droga o a coloro impiegati nel mercato dello spaccio, che riutilizzerebbero aghi infetti, contribuendo al diffondersi del virus.
In Europa, nord America e America Latina, il 47% dei nuovi infetti fa parte della comunità omosessuale. Dato rilevante se pensiamo che in stati quali Afghanistan, India, Pakistan l’omosessualità è illegale e, di fatto, viene impedito l’acceso ai soggetti all’assistenza sanitaria di base.
“Se le nazioni non incominciano a investire in percorsi di educazione sessuale, sull’utilizzo di metodi di contraccezione o su profilassi pre-esposizione, in futuro avremmo molte più infezioni, costi di trattamento sanitario elevati e una maggiore pressione per ottenere fondi per la sanità” afferma Sidibé.

Con lo scopo di ridurre del 75% i nuovi contagi da HIV entro il 2020, è stata creata nel 2017 la “Global HIV Prevention Coalition”, di cui fanno parte gli stati membri delle nazioni unite, benefattori privati, organizzazioni civili.
Esempi validi a livello locale di lotta e prevenzione all’AIDS arrivano invece dalle città di Helsinki e San Francisco, comunità che vedono calare drasticamente il numero di nuove infezioni grazie a forti politiche sociali.
Secondo le Nazioni Unite, campagne di prevenzione ed educazione sessuale dovrebbero essere indirizzate prevalentemente alle donne e agli adolescenti, le categorie più vulnerabili negli ultimi decenni.
“Women: At the heart of the HIV response for children” riporta che solo nello scorso anno 130.000 preadolescenti e adolescenti sotto i 19 anni di età sono morti a causa dell’AIDS, mentre circa 430.000 sono le nuove infezioni, circa 50 casi ogni ora.
“Dobbiamo rendere le donne economicamente indipendenti, così che non debbano scegliere la strada della prostituzione. Dobbiamo essere sicuri che siano adeguatamente informate sull’HIV e sui metodi di prevenzione” afferma Angeliue Kidjo, Goodwill Ambassador dell’UNICEF “e, inoltre, dobbiamo essere sicuri che possano accedere a tutti i tipi di medicinali necessari per mantenersi sane. Ma soprattutto, dobbiamo sostenere l’emancipazione femminile e l’istruzione è il miglior modo per ottenerla”.
Per fermare il diffondersi del virus, l’UNICEF, lavorando a stretto contatto con l’UNAIDS, ha lanciato una serie di iniziative: “All In to End Adolescent AIDS”, per informare gli adolescenti sul virus in 25 stati ad alta priorità, “Start Free, Live Free, AIDS Free”, iniziativa volta a ridurre a 100.000 le nuove infezioni ogni anno tra adolescenti e giovani donne, e The HIV Prevention 2020 Road Map, un piano di azione volto a baipassare la mancanza di servizi adeguati in alcuni regioni ad alto rischio o ad eliminare leggi punitive che vietino l’accesso alle basilari forme di assistenza sanitaria, coordinandosi con gli enti e le comunità presenti sul territorio.

Queste iniziative hanno portato a un drastico calo della trasmissione del virus da madre a figlio: 4 su 5 donne che convivono con l’HIV hanno accesso a trattamenti sanitari volti a ridurre il rischio di trasmissione.
In stati come Botswana e Sud Africa, circa il 90% delle donne affette dall’AIDS sono attualmente sotto profilassi medica anti HIV e la percentuale di trasmissione madre-figlio del virus è scesa al 5%.
“Le donne sono le più colpite dall’epidemia, sia come numero di nuovi infetti che come portatrici del virus, e devono continuamente essere messe come priorità nella lotta alla diffusione dell’epidemia” afferma il direttore esecutivo dell’UNICEF, Henrietta Fore “La lotta è appena cominciata”.