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Simboli, storie e ricette: con la Pasqua si spalancano le porte alla primavera

Alla scoperta delle tradizioni pasquali, una festa piena di significati diversi e caratterizzata da leggende secolari

Filomena Fuduli SorrentinobyFilomena Fuduli Sorrentino
Simboli, storie e ricette: con la Pasqua si spalancano le porte alla primavera
Time: 8 mins read
Pane pasquale dolce con aggiunta di uova nell’impasto e decorato con confetti colorati.

I simboli di Pasqua sono tanti e ognuno di loro ha un significato specifico: il grano è simbolo di vita e simboleggia il ciclo delle rinascite e della fecondità. Dal grano si ricava la farina con la quale si prepara il pane, il cibo per eccellenza che ci ricorda ”l’ultima cena” di Gesù con i discepoli; le uova sono simbolo di nascita e di vita; l’agnello è la creatura che rappresenta purezza e simboleggia l’innocenza; la colomba nella cristianità è simbolo di pace e salvezza; il coniglio è simbolo di fecondità.

Una leggenda narra che Sant’Ambrogio indicò la lepre come simbolo di Resurrezione per il suo manto in grado di cambiare colore a seconda delle stagioni. In inglese il giorno di Pasqua viene chiamato Easter Sunday, e il termine Easter è la forma moderna del nome di una divinità femminile della mitologia germanica, Eostre, che veniva rappresentata con il volto di una Lepre per la rapidità nel riprodursi, quindi simbolo di fertilità. In Germania il coniglio fu introdotto per la prima volta come simbolo pasquale nel XV secolo. Il coniglietto di cioccolato che oggi viene mangiato a Pasqua deriva proprio da questa antica tradizione pagana. In America il coniglietto pasquale è chiamato “Easter bunny” e insieme ai fiori simboleggia l’arrivo della primavera.

Anche il sacrificio dell’agnello come tradizione per il giorno di Pasqua si riferisce ad un rituale pagano antichissimo. Gli agnelli nei riti pagani erano collegati al ritorno della primavera, del risveglio della natura dopo la morte invernale. Per questo gli Ebrei offrivano agnelli in sacrificio durante la loro Pasqua ebraica, chiamata Pesach (pasa’, in aramaico), la quale celebra la liberazione degli Ebrei dall’Egitto grazie a Mosè. La Pasqua Ebraica riunisce due riti: l’immolazione dell’agnello e il pane azzimo (un pane che per molto tempo è stato l’unico pane conosciuto dall’umanità. Si prepara con farina integrale e acqua, senza lievito). Nella cultura occidentale l’Agnello Pasquale è modellato dai pasticceri con pasta reale ma si trova anche di cera benedetta. Gli Agnelli Pasquali sorreggono una bandiera che simboleggia la vittoria sulla morte e rappresentano la Resurrezione.

Il primo delle uova imperiali Fabergé, 1885. Un uovo di Pasqua gioiello che il penultimo Zar di Russia, Alessandro III donò a sua moglie, la Zarina Marija Fëdorovna. Alto 64 mm. e con un diametro di 35 mm.; d’oro completamente rivestito di smalto bianco opaco per assomigliare al guscio di un vero uovo

Dall’uovo di Pasqua, è uscito un pulcino, di gesso arancione, col becco turchino. Ha detto: “Vado, mi metto in viaggio, e porto a tutti, un grande messaggio”. E volteggiando, di qua e di là, attraversando paesi e città, ha scritto sui muri, nel cielo e per terra: “Viva la pace, abbasso la guerra”. (G. Rodari)

Lo scambio di uova decorate per Pasqua si sviluppò nel Medioevo come regalo alla servitù, mentre per gli aristocratici ed i nobili venivano create uova preziosi di argento, platino, e oro. L’usanza delle Uova di Pasqua ha una storia molto antica e interessante. Un esempio è quella del re d’Inghilterra Edoardo I che dal 1272 al 1307 commissionò la creazione di circa 450 uova rivestite d’oro da donare in occasione della Pasqua. In seguito, nel 1885 l’orafo Peter Carl Fabergé ricevette il compito di preparare un uovo in oro, preziosi e materiali pregiati dallo zar Alessandro III di Russia, come sorpresa di Pasqua per la moglie Maria Fëdorovna.

L’orafo creò per l’occasione il primo uovo Fabergé; un uovo di platino smaltato bianco per assomigliare a un vero uovo, alto 64 mm e con un diametro di 35 mm, il quale dentro conteneva un tuorlo d’oro che si apriva in due semisfere. Una di esse era rivestita internamente di pelle, scamosciata con il bordo d’oro punteggiato per simulare la paglia di un nido, che conteneva una gallina d’oro cesellata con le piume d’oro giallo e bianco, la testa e le zampe d’oro giallo, la cresta e bargigli d’oro rosso, e per occhi due rubini cabochon. Anche la gallina si apriva rivelando altre due sorprese; la prima era un replica in oro e diamanti della corona imperiale, e come sorpresa finale all’interno della corona c’era un piccolo pendente di rubino con una catenina che consentiva di indossarlo al collo. Il primo uovo di Fabergé divenne famoso e contribuì a diffondere la tradizione del dono dentro l’uovo.

“Omne vivum ex ovo“, cioè “tutti i viventi nascono da un uovo“, è il motto che per secoli ha spiegato il principio che la vita non può avere origine dal nulla. Da esso capiamo quale importanza abbia sempre avuto l’uovo con la sua forma perfetta nel nostro immaginario; la sua forma ovale è infatti una linea senza inizio e senza fine (infinita) che richiama l’eternità. I primi cristiani paragonavano il Cristo che risorge dal sepolcro al pulcino che esce dal suo guscio. Oggi le Uova di Pasqua sono famosi in tutto il mondo e si possono trovare decorate, colorate, di marmo, di onice, ci sono torte a forma di uovo, e uova di cioccolato, e uova messe dentro i dolci e le torte, oppure come decorazione sulle ciambelle di pane e di dolci.

Un esempio è il casatiello napoletano, un pane farcito di salumi e formaggi a forma di cerchio con 4 uova fermate da due nastri di pasta a croce che simboleggiano la corona di spine che fu posta sul capo di Gesù. Le uova diventano sode durante la cottura e acquistando anche un sapore particolare causato dall’impasto in cui sono inserite. Questa tipica torta rustica napoletana la si può servire sia calda che fredda ed è ideale per le gite della Pasquetta. Gli ingredienti del casatiello sono simili a quelli del tornano, un’atra tipica torta rustica preparata per le feste pasquali. La parola casatiello dovrebbe derivare da caso che in lingua napoletana significa formaggio, e si riferisce al formaggio pecorino. Il termine tortano significa torta-no, cioè non è una torta; entrambi pani tradizionalmente sono ripieni di sugna, salame, ciccioli (carne di maiale), pecorino, e pepe e contengono uova. Le origini del Casatiello sono connesse a quelle del pane.

In Campania la pastiera e il casatiello sono antiche tradizioni pasquale documentate sin dal 1500 nell’opera di Giovanni Battista Del Tufo “Ritratto o modello delle grandezze, delizie e meraviglie della nobilissima città di Napoli” con una breve composizione in lode del Casatiello intitolata “Usanza pasquali e cassatelli napoletani”: “A Pasqua poi non son più dolci quelli chiamati cassatelli cotti con uova, cacio e provature, zucchero fino, acqua di rose e fiori, e con altra mistura, come si fanno allor per ogni canto la sera al tardi del Sabato Santo”. La ricetta tradizionale del casatiello prevede un semplice impasto di farina acqua e lievito e l’aggiunta di strutto. L’impasto di stende a sfoglia sottile sulla quale si sparge il ripieno fatto di formaggi e salumi (e/o carne di maiale stagionata). Poi si arrotola il tutto chiudendolo a ciambella e lo si pone in uno stampo unto di strutto con un foro centrale. Si lascia lievitare in un luogo tiepido per alcune ore fino a quando raddoppia di volume. A lievitazione completata si incastrano 4 o 6 uova e si fermano con delle liste di pasta; le uova cuoceranno insieme al casatiello. Il forno dovrà essere ben caldo, 200c gradi/395F, e la cottura dovrà durare una quarantina di minuti circa. Siccome l’impasto contiene strutto e altri grassi si raccomanda di che lo stampo abbia gli sbordi alti e di sorvegliare il forno perché se sgocciolano i grassi sul fondo del forno si possono infiammare facilmente e può essere pericoloso.

Il Casatiello di Filomena, cotto appena sfornato

Ingredienti per il casatiello

600 g di farina per pizza

circa mezzo litro di acqua

25 g di lievito di birra (una bustina)

225 g di strutto

Ripieno

150 g di pecorino

150-200 g salame a piacere o carne di maiale stagionata

1o0 g provolone

12 g di sale

pepe a piacere

4 o 6 uova per decorare

Il casatiello di Filomena appena tolto dallo stampo

Come spiegato sopra preparate la pasta del pane impastando la farina aggiungendo un po’ dello strutto, acqua tiepida e il sale fino ad avere un impasto morbido ed elastico. Vi dovete regolare in base alla farina per quanto acqua e strutto usare. L’impasto va lavorato fino a formare una palla soda e liscia, morbida e d elastica. Dopo lavorata coprite con un panno e fate lievitare in un luogo caldo fin quando sarà raddoppiato di volume. Poi, stendete l’impasto su un piano di lavoro infarinato, dando una forma rettangolare lunga e stretta con uno spessore di circa 1,5 cm; lasciatene un pezzetto per fare le striscioline della decorazione finale. Mettete sulla pasta il salame, il formaggio, e il provolone tagliati a dadini e spolverizzate il tutto con del pecorino grattugiato e pepe nero. Arrotolate delicatamente la sfoglia formando un cilindro stretto, chiudetelo a forma di ciambella e ponetelo nello stampo imburrato.  Lasciatelo lievitare per almeno 6 ore in un luogo caldo. Una volta raddoppiato di volume prendete quattro uova e poggiatele sulla superficie del casatiello con la punta rivolta verso l’interno e fermare ogni uovo incastrato sul casatiello con due strisce di pasta, spennellate con un tuorlo d’uovo e infornate.

Pasqua, Gesù è risorto. Tutto è bello,
pure pecchè se mangia ‘o casatiello.
Rotunno, gruosso, grasso e sapurito,
‘o vide, e te rinasce l’appetito.
Che d’è, te ne vuò fa sulo na’ fetta?
Cu chella ce  può fa Pasqua e Pasquetta.
Salame, pepe, nzogna, acqua e  farina,
e nu’ sacco ‘e formaggio pecorino:
ce vonno pur’e cicole ‘e maiale,
ca so’ pesante, ma nun fann male.
Pe copp’o casatiello stanno ll’ova:
ma comm’o po’ capì, chi nunn’o prova? (anonimo)

La pastiera cotta e sfornata dopo 12 ore

Il tornano e il casatiello insieme alla pastiera sono ricette di origini antiche che rappresentano l’emblema della cucina partenopea e ma risalgono alla Napoli prima greca e poi romana. Nella letteratura greca si legge di pani conditi con diversi ingredienti e i romani servivano questi pani durante le feste primaverili in onore di Demetra o Cerere.  La diffusione del casatiello come tradizione pasquale, al pari della pastiera, sembra essere affermata a partire dal Seicento, diventando simbolo della Pasqua cattolica e simboleggiando la corona di spine di Cristo. Nel 1600 Giambattista Basile lo cita insieme alla pastiera napoletana ne La Gatta Cenerentola: “E’ venuto lo juorno destenato, oh bene mio: che mezzecatorio e che bazzara che se facette. Da cove vennero tante pastiere e casati elle? Dove li sottostate e le porpette? Dove li maccarune e graviuole? Tanto che nce poteva magnare n’asserceto formato”. La pastiera è famosa in tutto il mondo e la sua origine è antichissima. Secondo la leggenda la sirena Partenope aveva scelto come sua dimora il golfo di Napoli e da lì cantava con voce melodiosa e dolce. Il popolo, dunque, per ringraziarla le ha portato sette doni: la farina, simbolo di ricchezza; la ricotta, simbolo di abbondanza; le uova, simbolo di riproduzione e di vita; il grano cotto nel latte, simbolo della fusione tra regno vegetale e animale; i fiori d’arancio, omaggio a tutti i popoli ed infine lo zucchero per celebrare la sua dolcezza. La sirena ha unito tutti questi ingredienti, creando la prima pastiera. Secondo la tradizione cristiana è invece un simbolo di pace. Viene preparata il giovedì santo e non deve essere conservata in frigo poiché altrimenti perderebbe il suo gusto e la sua fragranza.

Ingredienti per 10 persone

1/2 kg di ricotta

400 gr di zuccher

10 rossi d’uovo + 1 albumi

350 gr di grano ammollato

1 cucchiaini di vaniglia

1 fialetta di acqua di millefiori o fiori d’arancio

1 cucchiaino di cannella in polvere

75 gr di canditi  di cedro tagliati a dadini piccoli o tritati nel mixer

Pasta frolla

500 kg di farina

250 di sugna

5 rossi d’uovo

200 gr di zucchero

½ cucchiaino di sale fino

la buccia di mezzo limone grattugiata

Forno preriscaldato a 180°( 360 F)

1 Teglia del diametro di 24 cm alta 7 cm, ben imburrata e infarinata.

Pastiera e castello appena sfornate

Per fare la pasta frolla mettete la farina a fontana e aggiungete al centro lo zucchero, il burro a pezzi, le uova e la buccia grattugiata di un limone e il sale. Impastare gli ingredienti velocemente con una forchetta e incorporateli pian piano alla farina. Poi lavorare l’impasto fino a quando tutti gli ingredienti saranno ben amalgamate per formare un panetto. Avvolgetelo l’impasto nella pellicola da cucina o in una bustina per alimenti e lasciatelo riposare in frigorifero per circa ½ ora.

Nel frattempo sciacquare il grano e mettetelo in una pentola con 1 cucchiaio di sugna, ½ cucchiaino di sale, un bicchiere di latte e la buccia si un arancia e un limone e fate cuocere a fiamma bassa mescolando fino a che il latte non sarà stato assorbito e il tutto risulti denso e cremoso, circa 30 minuti, poi lasciatelo raffreddare. Nel frattempo in una grande ciotola mettete le uova e lo zucchero e miscelatele con la frusta senza montarle; aggiungete la ricotta passata al setaccio, la crema di grano a temperature ambiente, gli altri ingredienti e amalgamate il tutto fino ad ottenere un composto liscio ed omogeneo.

Stendete la pasta frolla a circa di 1 cm e foderare la teglia precedentemente imburrata e infarinata. Tagliate la pasta in eccesso che pende dai bordi dello stampo e mettetela da parte. Con l’aiuto di un mestolo versare il ripieno all’interno fino a mezzo centimetro sotto il bordo dello stampo perché durante la cottura la pastiera si gonfia a causa del vapore che si forma dall’acqua del ripieno; poi tolta dal forno la pastiera sgonfia livellandosi al bordo. Adesso decorate con le strisce ricavate dall’impasto avanzato tagliate con la rondella. Ponete le strisce sul ripieno dando la forma di croci romboidali. Cuocere la pastiera in forno preriscaldato a 180° C (360F) per circa un’ora, o fin quando la pastiera scurisce. Una volta sfornata bisogna lasciarla riposare almeno 12 ore prima di essere servita, affinché si possano assaporare tutti gli aromi.

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Filomena Fuduli Sorrentino

Filomena Fuduli Sorrentino

Calabrese e appassionata per l’insegnamento delle lingue, dal 1983 vivo nel Long Island, NY. Laureata alla SUNY con un AAS e in lingue alla NYU con un BS e un MA, sono abilitata dallo Stato di New York all’insegnamento K-12 in italiano, ESL e spagnolo. Insegno dal 2003 lingua e cultura italiane nelle università come adjunct professor e come docente di ruolo in una scuola media del Newburgh ECSD. Nel mio tempo libero amo scrivere, leggere, cucinare, ascoltare musica, viaggiare, visitare i centri storici (soprattuto italiani) e creare cose nuove. Tra le mie passioni ci sono la moda, il mare e la natura.

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