Nelle ultime settimane del proprio mandato, il presidente Obama ha concentrato tutti i propri sforzi per fornire al mondo un’immagine degli USA come un paese sensibile ai cambiamenti climatici. Prima ha ratificato gli accordi i Parigi (anzi ha spinto la Cina a fare lo stesso). Poi, in Ruanda, ha fatto grandi promesse in occasione della dell’incontro internazionale sui gas serra.
Promesse che potrebbero non avere seguito, però. L’atteggiamento del nuovo presidente Trump sull’argomento è radicalmente opposto.
Durante la campagna elettorale il candidato repubblicano alla Casa Bianca ha ripetuto più volte di essere scettico sul tema dei cambiamenti climatici e ancora di più sugli accordi internazionali che riguardano l’ambiente. E mentre tutta la comunità scientifica (tranne pochissime eccezioni) pare aver raggiunto un accordo sulla questione cambiamento climatico e riscaldamento globale e le meta-analisi sull’argomento mostrano l’esistenza di un rapporto di causa ed effetto su molte scelte antropiche, Trump affermava: “Non credo molto nel cambiamento climatico di origine antropica”, ha detto il candidato-imprenditore al Washington Post. E aggiungeva che: “Vi è certamente un cambiamento del clima in corso – a guardar bene, avevamo un raffreddamento globale nel 1920 e ora abbiamo un riscaldamento globale, anche se ora non si sa bene se ci sia, questo riscaldamento globale. Lo chiamano con ogni sorta di nomi diversi; ora credo che sia molto in voga la frase ‘condizioni meteo estreme’. Io non ci credo molto… Forse c’è un minimo effetto dell’uomo, ma non ci credo granché”.
In una conferenza del 25 maggio, in North Dakota, Trump ha dichiarato che avrebbe cancellato l’adesione americana all’Accordo di Parigi, avrebbe consentito trivellazioni petrolifere nella costa atlantica, e avrebbe fatto ripartire il progetto del Keystone XL, l’oleodotto che potrebbe spaccare in due l’America del Nord.
Poco dopo, su Twitter, ha sostenuto che tutta la faccenda del cambiamento climatico sarebbe un trucchetto inventato dai cinesi per rendere meno competitiva l’industria americana. [NdR: per una raccolta delle affermazioni di Trump sull’ambiente si guardi qui.}.
Ora che si avvicina la data del suo trasloco alla Casa Bianca, pare che Trump voglia spingersi ancora oltre. Circolano voci che voglia nominare Myron Ebell capo dell’EPA, l’Agenzia americana per la protezione dell’ambiente. Ebell è considerato uno dei più noti scettici sul cambiamento climatico: nel 2007, la rivista Vanity Fair lo definì il portavoce dell’industria del petrolio. Per questo la scelta di Trump, se confermata (nei prossimi giorni dovrebbe presentare la propria “squadra”), potrebbe aprire la porta a scenari del tutto nuovi.
Non bisogna dimenticare, infatti, che la pressione delle multinazionali del petrolio sul Congresso è sempre stata forte: solo poche settimane fa, una coalizione di 28 Stati con l’appoggio di decine di aziende e gruppi industriali, aveva contestato il Clean Power Plan (CPP) che è alla base della strategia di lotta ai cambiamenti climatici del presidente (uscente) Barack Obama. Un folto gruppo di senatori di entrambi gli schieramenti ha addirittura avanzato la proposta bislacca (oltre che difficile da giustificare scientificamente), di escludere dal computo delle emissioni di gas serra prodotto dal Paese, la CO2 emessa dalla combustione di biomasse per produrre elettricità. La vicenda è andata oltre ed è finita nelle aule dei tribunali.
In molti hanno visto queste azioni come uno stratagemma per ridurre “d’ufficio” le emissioni prodotte dal settore energetico ed innalzare il margine di emissioni consentite dagli altri settori industriali. Una proposta che, con Trump presidente, potrebbe avere un seguito.