Mercoledì, nella tradizionale udienza generale di metà settimana che stavolta ha voluto interreligiosa, il papa ha chiesto a tutte le religioni di rendersi disponibili al reciproco dialogo e all’accoglienza, “contro violenza e corruzione” in particolare se commesse nel nome di Dio. Nel denunciare il fondamentalismo come la deriva da evitare, Bergoglio ha ricordato il cinquantenario della dichiarazione del concilio Vaticano II “Nostra Aetate”, firmata il 28 ottobre 1965 da Paolo VI con le parole “vescovo della Chiesa Cattolica”. Bene ha fatto Francesco a richiamare, nel contesto del dialogo interreligioso, e della preghiera individuale e silenziosa al Dio unico benché non condiviso, l’episodio di mezzo secolo fa, che impresse la svolta al rapporto tra giudaismo e cristianesimo, basato ancora su diffidenza e talvolta avversione.
Nella “Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane”. il collegio conciliare non si sofferma solo sui “fratelli ebrei”, e però loro dedica la più lunga attenzione, rivoluzionando la dottrina tradizionale fondata sulla presunta “colpa ebraica” della crocifissione di Gesù, e sulla conseguente discriminazione antisemita della chiesa di Roma. Il documento, ben costruito sotto il profilo teologico e impreziosito da un linguaggio sapiente, parte dall’affermazione paolina secondo la quale Cristo ha “riconciliato gli ebrei e i gentili per mezzo della sua croce e dei due ha fatto una sola cosa in se stesso”. Da lì la necessità che si riprenda “la mutua conoscenza e stima”, anche attraverso lo studio teologico e il “fraterno dialogo”. Il passo successivo del documento è di portata millenaristica, perché nega qualunque responsabilità degli ebrei contemporanei nella crocifissione e morte di Gesù, non riconosciuto dagli ebrei come Cristo.
In neppure una paginetta, Nostra Aetate scardina i pregiudizi che hanno fatto per due millenni la disgrazia dei credenti dell’ebraismo: antisemitismo (l’odio razziale, con il terribile acme novecentesco delle dottrine e pratiche nazi-fasciste) e antigiudaismo (che attribuisce agli ebrei congenita avidità, sordide attività come lo strozzinaggio, infedeltà alla stessa comunità di appartenenza). Nulla potrà invece contro antisionismo e anti-israelismo, che continueranno non solo ad allignare nelle fila del cattolicesimo, ma cresceranno ancora, complice la svolta nazionalistica e quasi razzistica che lo stato d’Israele avrebbe compiuto nei decenni successivi, grazie allo spostamento a destra dell’asse politico interno, effetto anche dell’arrivo in Israele della diaspora russa e africana.
Trentacinque anni dopo “Nostra Aetate”, il papa polacco avrebbe postato in una fessura del muro del “pianto”, la richiesta di perdono a Dio per il male fatto da cristiani agli ebrei: “Dio dei nostri padri, tu hai scelto Abramo e la sua discendenza perché il tuo nome fosse portato alle genti. Noi siamo profondamente addolorati per il comportamento di quanti nel corso della storia hanno fatto soffrire questi tuoi figli, e chiedendoti perdono vogliamo impegnarci in un’autentica fraternità con il popolo dell’alleanza. Per Cristo nostro Signore. Gerusalemme 26 marzo 2000. Giovanni Paolo II” (originale in inglese su carta Santa Sede).
Grazie anche al revisionismo cattolico si sono compiuti passi avanti sul piano della diffidenza antiebraica, e solo folli e fanatici si scagliano oggi contro gli ebrei. L’antisionismo e l’opposizione ad Israele, al contrario, proliferano: ma è soprattutto un problema politico, legato ai comportamenti della dirigenza israeliana verso i territori palestinesi.