Oggi parliamo di ciò che è accaduto e sta accadendo in Abruzzo. Se notate non ho scritto “appena accaduto”. Questione di scelte. Già, perché una cosa che accade sembra non avere senso se non si mette dentro un qualche avverbio che lo introduca dando sensazionalità. Sembra scadere, non essere una notizia. Ma questa dell’hotel Rigopiano, da abruzzese quale sono, posso dire che non è una notizia, è una ferita che non ha tempo, che unisce tutto ciò che sta accadendo in un unico evento.
Negli ultimi giorni sembrava di vivere in una regione fantasma. Paesi isolati e sommersi sotto metri di neve, scosse di terremoto forti e frequenti, freddo, mancanza di luce, mancanza di gas, mancanza di acqua. Il mix di questi giorni ci ha inginocchiati. Cose forti, reali, vissute come un pugno nello stomaco. Una dimensione surreale, quasi fossimo finiti nel film The Road, in cui un padre e un figlio si svegliano in un’assurda città improvvisamente distrutta e devono vivere giorno per giorno con quello che trovano per strada.
Esagero? Chiedete agli abitanti dei paesi del Teramano, del Pescarese o del Teatino. Analizzate le linee telefoniche, leggete le dichiarazioni di Enel e le relazioni delle unità di crisi. Le stesse forze impegnate egregiamente nei soccorsi si sono sentite sotto scacco. Basti pensare all’elicottero dei soccorsi precipitato in montagna per salvare uno sciatore in pericolo: altre 6 persone morte così in un momento.
Noi non piangiamo
A noi in Abruzzo non piace piangere, “forti e gentili” ci rialziamo e ci diamo da fare, ma queste sono cose che segnano nel profondo.
Ascoltando, vedendo, andando realmente nei luoghi, ho visto persone che non hanno più giuste parole. In silenzio e dignitosamente, quasi stufe di allarmismi che rimbalzano in una confusione disarmante tra politici, falsi scienziati e media, tutti hanno iniziato a spostarsi verso la costa. Abbiamo comperato gruppi elettrogeni per alimentare le nostre case senza invadere troppo e con realismo. Abbiamo lasciato i nostri figli a casa perché i vari sindaci scaricavano responsabilità di vario genere a ministri di competenza o alla Commissione Grandi Rischi. Abbiamo tenuto chiusi i negozi e gli uffici pubblici sono andati a rilento. Abbiamo dormito, e continuiamo a farlo purtroppo, con l’orecchio teso al minimo rumore.
Oggi guardavo l’ampio spazio vicino al centro commerciale della città pieno di trasformatori per la luce da distribuire nelle varie zone colpite. Ancora da distribuire, mai distribuiti. Siamo quasi rassegnati e imbevuti di notizie shoc come quella sulla nostra diga di Campotosto, fiore all’occhiello da sempre per la produzione di energia in Italia, che pare, visti i danni riportati di recente a causa del sisma, potrebbe essere (ribadisco potrebbe) la causa di morti future. Si parla della diga aprendo uno scenario disarmante su ciò che dovrebbe accadere: il nuovo Vajoint.
Parlano e parliamo tutti. Sindaci e presunti esperti che hanno “l’imbeccata” della postazione TV e corrono a denunciare, criticare, capire, come se la realtà debba passare solo dai media o social network. Persone che dovrebbero coordinare l’emergenza si vedono costrette a indossare tute da neve per spalare e liberare le strade, evidenziando così una forte criticità nell’organizzazione generale, facendo quasi da imbuto su qualcosa che dovrebbe funzionare a prescindere.
Errori italiani
Stiamo sprofondando in un’attualità che fa orrore, il suo rumore impedisce anche di scrivere cose sensate, mutuando una battuta di Paolo Conte in un’intervista a La Repubblica. Un orrore liquido, che racchiude tutte le impressioni in tre grossi errori tipicamente italiani, venuti di nuovo a galla oggi in Abruzzo. Il primo è quello di aver sottovalutato la potenza dei fenomeni naturali da sempre, il secondo è non sapere e voler studiare la storia per imparare, vedi quella dei terremoti esplicita negli anni sulla dorsale centrale appenninica, il terzo è dimenticare facilmente la prevenzione a favore di arricchimenti di tipi anti normativi.
Stefano Salustri in un pezzo su Il Capoluogo.it del 29.01.2017, scrive: “Tempeste di neve, borghi bloccati, sciami sismici anomali e slavine che travolgono strutture ricettive mietendo vittime. E’ questo il quadro agghiacciante di una regione che da quasi un decennio si trova alla mercé di un’attività sismica incessante alla quale si sono aggiunte copiose precipitazioni nevose. Abbiamo scoperto che non è solo l’alta Valle dell’Aterno con le sue numerose faglie attive a rappresentare un rischio, bensì anche perturbazioni di aria gelida che dalla Siberia attraversano i Balcani e l’Adriatico e si trasformano in muri di neve che investono anche la costa. Ma è inutile andare a cercare capri espiatori dalle sembianze umane”.
Uno tsunami di interferenze naturali e non. Annunci disattesi e sottovalutati. Ma inutile parlare di uomini e persone, andiamo oltre le impressioni personali e critiche strumentali al nostro singolo futuro. Bisogna ormai, più che mai, capire come si muove la “cultura delle catastrofi”, ovvero come sta andando la dinamica delle simbiosi necessarie tra normative, innovazione e prevenzione. Come mai oggi rispondiamo alle catastrofi di questo tipo in stile medioevo, come accade nell’energia e in settori dove sono sempre più spesso coinvolti persone e territori specifici in un mix di cose?
Martedì 18 gennaio una valanga di enormi proporzioni, a dispetto delle previsioni su valanghe imminenti, travolge l’Hotel Rigopiano, uccidendo 29 persone. Nel contempo ci sono 48.000 utenze non servite solo nel Teramano; 27.000 nel Teatino e 12.000 nel Pescarese; alle 10 del mattino sono iniziate le scosse, se ne susseguono tre di magnitudo oltre il 5° grado Richter. Tutte le sedi pubbliche vengono chiuse. Attenzione: allerta meteo arrivata il 13 gennaio. Invece non c’è energia elettrica, non c’è copertura di rete, salta il sistema GPS, la Regione non ha più contezza dei suoi uomini e mezzi sulle strade perché non riesce a comunicare con loro e con molti sindaci (per circa 48 ore). Le prime turbine utili (ne arrivano alcune non di sfondamento e quindi inutili alla bisogna) arrivano fra giovedì sera e venerdì, ben 3 giorni dopo l’inizio della vera emergenza.
I mezzi della Provincia vengono utilizzati anche per le operazioni di soccorso, consegna viveri e carburante. Sì, perchè oltre all’emergenza neve e terremoto, c’è stata anche l’emergenza carburante, dopo che la mancanza di energia elettrica ha bloccato le pompe di rifornimento. Fra il 22 e il 23 gennaio inizia a mancare l’acqua in Comuni e frazioni, il 24 risultano disattivate ancora 2.000 utenze Enel, il 25 le provinciali tornano. Iniziano le frane e gli smottamenti, si lavora per il taglio degli alberi pericolanti e a tutti i danni che vengono fuori con lo scioglimento della neve. Il 25 iniziano anche i sopralluoghi della Protezione Civile – chiesti dalla Provincia – per la verifica di agibilità delle scuole superiori. La situazione Enel si va normalizzando. Totale 7 giorni di assurda realtà e 2.400 persone evacuate sulla costa.
Prevenire è possibile
Noi qui, anziché parlare della ricerca della verità, fare i primi della classe, cerchiamo di alzare l’attenzione su normative e rispetto delle regole che forse farebbero funzionare meglio tutto. Citiamo subito la legge n. 100 del 12 luglio 2012, ovvero ciò che dovrebbero fare i Comuni. Quest’ultimi entro 90 giorni da un primo approccio, devono approvare il piano di emergenza comunale, redatto secondo i criteri e le modalità riportate nelle indicazioni operative del Dipartimento della Protezione Civile e delle Giunte regionali e inviare quindi una nota alle Regioni e alle Province Autonome chiedendo una prima ricognizione sulla pianificazione di emergenza comunale.
Il piano di emergenza rappresenta un indispensabile strumento per la prevenzione dei rischi e pertanto il Dipartimento intende monitorare con attenzione, attraverso le Regioni e le Province Autonome, l’attività di realizzazione e di aggiornamento dei piani da parte dei Comuni.
Dopo una prima ricognizione sul numero dei Comuni che hanno il piano, in una fase immediatamente successiva, tramite le stesse Regioni e Province Autonome, devono essere raccolte le informazioni sugli anni di elaborazione e aggiornamento dei piani, sugli scenari di rischio presi in considerazione, sulla rispondenza alle linee guida regionali e sulle modalità di informazione ai cittadini.
Subito dopo vanno diffuse le informazioni ai cittadini, appunto, fare rete. Importante monitorare e testare continuamente sistemi informativi utilizzati in caso di emergenza (fax, sito web, telefoni, sms, WhatsApp ecc), studiare il territorio stilando liste di Ospedali/forze dell’ordine/istituzioni limitrofi e di riferimento, raggiungibilità, tempistiche e reti di collegamento alternative, fare lo storico di eventi pregressi (crisi, emergenze, incidenti, near miss, ecc.), studiare periodicamente elenco aggiornato delle leggi applicabili e modalità di come vengono monitorate e applicate, studiare ed utilizzare periodicamente il laser per rilevazione incendi o altre tipologie di gas pericolosi, con dettaglio di tempistiche di rilevazione e flusso di dati verso una eventuale centrale operativa o gruppo di numeri di telefono, o email o qualsiasi altro strumento in grado di ricevere l’alert.
Ancora: analisi dei rischi (maremoti, terremoti, smottamenti, cedimenti strutturali) a cui potrebbe essere soggetto il territorio e le infrastrutture presenti (edifici, strade, piazze, porto, tralicci, cavi sotterranei di rete elettrica e TLC), studio e attuazione con verifiche della 2007/60/CE relativa alla valutazione ed alla gestione dei rischi da alluvioni con riferimento alla predisposizione delle mappe della pericolosità e del rischio di alluvioni.
In più, come stiamo facendo noi con l’Università Tor Vergata, Dipartimento di Ingegneria Industriale, è fondamentale la preparazione di uno scenario CBRNE (Chemical, Biological, Radiological, Nuclear, and Explosive) con definizione dettagliata di tempi di diffusione di sostanze facilmente reperibili in Italia o agenti biologici comuni, ma altamente nocivi (legionella, o similari) che potrebbero essere portati sul territorio.
E del nostro territorio abruzzese, Ennio Flaiano parlava così nella sua “Lettera sull’Abruzzo a Pasquale Scarpitti:
“…Un’isola schiacciata tra un mare esemplare e due montagne che non è possibile ignorare, monumentali e libere: se ci pensi bene, il Gran Sasso e la Majella sono le nostre basiliche, che si fronteggiano in un dialogo molto riuscito e complementare”.
Un territorio che si conosce e che proprio per questo non dovrebbe trovarci impreparati.
L’autore: Marco Santarelli, è esperto in Network Analysis, Critical Infrastructures, Big Data and Future Energies; Research Associate for International Research Bodies; Program Manger Hydro; Scientific Director – ReS On Network; docente alla HUB ACADEMY, Research and Education.