Il mio ingresso nel centro sportivo del CONI di Tirrenia, dove si sta svolgendo il ritiro della nazionale paralimpica di scherma, è preceduto dall’indistinto suono delle lame che cozzano, mentre gli atleti si scozzano in agguerriti duelli. Ho la fortuna ed il privilegio, di poter collaborare come sparring partner con questi atleti, in un ambiente ricolmo di persone di assoluto valore, ognuna delle quali, con la propria storia e la propria personalità, ha avuto modo di insegnarmi molto.
Il nostro viaggio di oggi parte proprio da una di queste persone, Beatrice Vio.
Nata nel 1997 a Venezia, fin da bambina le attenzioni di Beatrice sono rivolte alla scherma, allo scoutismo ed alla scuola. Colpita da una grave malattia nel 2011, a causa della quale le sono amputati avambracci e gambe, Bebe diviene, insieme alla sua carica emotiva ed al suo sorriso, l’emblema della lotta a ciò che è “difficile” o, addirittura, ”impossibile”. Come ripete spesso nelle sue interviste “più qualcuno mi diceva che non potevo fare qualcosa, più io dovevo proprio riuscire a fare quella cosa”. C’è riuscita veramente, trovando un modo per continuare a praticare lo sport che ama prima, e diventando una campionessa affermata di quello sport poi. Il suo palmarès vanta due ori ai campionati europei, un oro mondiale, un oro individuale ed un bronzo a squadre alle paralimpiadi di Rio De Janeiro dello scorso settembre, due titoli italiani assoluti e numerosi trionfi in coppa del Mondo. Mentre continua ad allenarsi è anche un’affermata testimonial, in numerosi programmi televisivi e manifestazioni, dello sport paralimpico, della vaccinazione contro la meningite e delle eccellenze italiane nel Mondo, come dimostra l’invito di Matteo Renzi alla cena di Stato di Barack Obama. È definita da molti come l’atleta più influente dello sport italiano ed uno dei suoi obiettivi per il futuro, dopo aver partecipato ad altre paralimpiadi, è quello di diventare presidente del CONI.
Da Casa Italia passando da Casa per giungere alla Casa Bianca.
“Quando le gare a Rio sono terminate, ho deciso di rimanere per una settimana in vacanza, vacanza che mi ha permesso di rimanere a distanza dalle luci delle ribalta che nel frattempo si stavano infiammando per le mie imprese e quelle dei miei compagni. Una delle mie paure più grandi è, infatti, quella di cadere nella tentazione di montarmi la testa”.
Perché questa eventualità ti spaventa?
“Non mi piacciono le persone in cui riconosco questa caratteristica per cui non piacerei neanche a me stessa, per questo mi spaventa. Ritengo che uno dei motivi per cui posso risultare piacevole come persona sia la mia semplicità. A tutti i miei amici dico sempre: ‘se mi monto la testa prendetemi a sberle'”.
Tornando al racconto…
“Durante la vacanza si presenta questa scena paradisiaca: il sole brillante, acqua che riflette il mio volto mentre mi specchio dal bordo di una barca bevendo una caiprinha. Mi tuffo insieme ai miei compagni e scherzando in acqua i nostri sguardi s’incrociano, solo allora ci rendiamo veramente conto di essere finalmente in vacanza.
La felicità, la liberazione da tutte le angosce da un lato, la tristezza per la fine delle due settimane più belle della mia vita, dall’altro.
Inizialmente non è stato tutto facile, considerando l’infortunio subito prima della partenza e la conseguente paura di non arrivare sufficientemente preparata alla gara, i primi giorni sono stati molto brutti e l’ansia, insieme alle insicurezze, ha dominato la scena. Me la prendevo con tutti nei giorni precedenti alla competizione, mi sono allenata fino all’ultimo giorno disponibile mentre gli altri diminuivano il carico di lavoro in vista del grande impegno, per cercare in tutti i modi di rafforzare le mie convinzioni. Alla fine però la gara è andata bene (oro individuale e bronzo a squadre, ndr). Mi piace ricordarla con le immagini di due esultanze: la prima, in corrispondenza della prima stoccata della gara e la seconda, in occasione dell’ultima stoccata, quella valevole per l’oro olimpico. In quei momenti, infatti, ho lanciato un urlo ricolmo di tutte le sensazioni negative e di tutte le tensioni che avevo dovuto affrontare e che abitualmente si annidano nelle menti e negli animi di un atleta in procinto di partecipare alla manifestazione più importante che esista.
Al mio ritorno ho preso l’aereo che mi avrebbe riportato a casa, e nel momento in cui ho pensato che le emozioni di questo viaggio fossero finite, i miei amici ed i miei familiari mi hanno regalato forse la più bella di tutte, con striscioni di benvenuto e cori mi hanno accolta al mio rientro. Siamo andati tutti insieme a bere uno spritz per festeggiare nel bar che sta sotto casa mia. Sono un’amante dello spritz anche perché nelle nostre zone quando si cresce ci viene dato al posto del biberon (sorride, ndr)”.
Inizialmente ho fatto la mia domanda riferendomi a tre punti fondamentali, Casa Italia, Casa e Casa Bianca, in realtà negli ultimi mesi le tue “case” sono state molte di più.
“Esatto. Tornata il 26 settembre da Rio, sono rimasta a casa per 19 ore, quando sono tornata nuovamente ci sono rimasta per 23 ore e soltanto dopo la terza volta ho superato le 24 ore. È stato un continuo correre senza mai fermarsi ed è cosi tutt’ora. E’ molto faticoso ma stiamo facendo un sacco di eventi interessanti. Partecipo a molte convention per aziende (infatti, durante le riunioni per la chiusura annuale del bilancio è consuetudine che alla fine sia fatto un discorso da un personaggio esterno all’azienda stessa). Per il momento sono stata invitata da Allianz, Vodafone, Tim, Crai ,un paio di banche ed in programma nei prossimi mesi ho Barilla, Campari, per la quale darò il meglio di me ovviamente (scherza, ndr). Senza dimenticare che nel frattempo ho partecipato alla Coppa del Mondo di Pisa che chiudeva l’anno agonistico e nella quale ho raggiunto un raggiunto il gradino più alto del podio davanti al pubblico di ‘fede azzurra'”.
Spostando lo sguardo sulla Cena di Stato, ci sono aneddoti, curiosità, qualcosa che ti abbia colpito in modo particolare?
“Una delle cose che mi ha colpita e che allo stesso tempo mi ha affascinata, è stata la semplicità dell’ormai quasi ex presidente Barack Obama”.
Quindi anche lui ti assomiglia per il fatto di non essersi montato la testa. Parlami un po’ di lui.
“Esatto, ricordo la prima volta che l’ho incontrato perché ho una foto di quell’occasione che mi immortala in un’espressione goffa, di imbarazzo e stupore. Inizialmente non sono riuscita a parlargli, prima di lui ho chiacchierato apertamente con Renzi, con il Papa, con Rihanna, con Jovanotti, tutti personaggi di una certa levatura con cui confrontarsi può mettere in soggezione, ma non ho mai avuto problemi. Giuro che Obama è stato il primo davanti al quale sia rimasta a bocca aperta senza sapere che cosa dire. La mattina è venuto a presentarsi, Obama che viene a presentarsi da me (ripete tra se e se, ndr) ‘Ciao piacere sono Barack’ ed io, naturalmente, ho riproposto la stessa espressione imbarazzante per la seconda volta nell’arco della stessa giornata. In realtà Obama e la moglie Michelle sono due persone fantastiche, lei mi ha riconosciuta fin da subito, ed infatti dentro di me ho pensato ‘oh mio Dio, Michelle Obama mi ha riconosciuta!!’”.
La storia di un Selfie.
“Prima della cena era stata allestita una stanza in cui Obama e Renzi, accompagnati dalle rispettive mogli, porgevano i loro saluti agli oltre quattrocento invitati prima che questi si apprestassero ad entrare nella sala della cerimonia. Ero molto convinta di poter sfruttare quell’occasione per domandare una foto ad Obama, ma, purtroppo quando stavo per avvicinarmi, degli agenti della security mi hanno tolto tutto ciò che avevo, compreso il telefono, e con lui anche la mia seconda chance di ottenere la foto tanto desiderata. Durante la cena non potevamo in pratica mai alzarci, c’erano camerieri ovunque intorno al tavolo ed ogni qualvolta qualcuno avesse bevuto un sorso di vino o acqua questi passavano per riempire il bicchiere. I tavoli erano posizionati in modo che da ogni posto non fosse necessario fare il giro di tutta la sala per andare al bagno, per cui non avrei avuto la scusa per passare vicino ad Obama, per di più ogni volta che qualcuno si alzava tutti si giravano a guardarlo.
Ma ormai ero troppo concentrata sul mio obiettivo.
Ho indossato il mio volto da finale Olimpica, cattiveria agonistica e determinazione, mi sono alzata e con in mano il mio piccolo e poco appariscente smartphone mi sono diretta verso di lui. In quel momento è stato come se tutto il resto della sala perdesse di valore, di colore, e facesse da contorno sfumato alla figura centrale del presidente. Mia mamma, che ha visto la scena da fuori, ha detto che tutti i camerieri hanno abbandonato i loro compiti e si sono voltati verso di me. Tutti coloro che sedevano al tavolo di Barack si sono messi a semicerchio intorno a lui. Gli occhi di quattrocento persone mi fissavano. Silenzio tombale. A rompere gli indugi Agnese (moglie del Presidente del Consiglio Renzi, ndr), che, vedendomi arrivare mi ha sorriso. Da quel momento mi sono sentita autorizzata ad avvicinarmi, l’imbarazzo si è dissipato ed ho riacquistato il fuoco della mia vista. Agnese sedeva accanto ad Obama che alla sua sinistra aveva Renzi a sua volta seduto vicino a Michelle; Davanti a loro John Elkann (imprenditore italiano presidente della Fiat Chrysler Automobilies, ndr). Non appena Obama si è voltato verso di me sono stata colta nuovamente da un blocco emotivo e l’unica cosa che sono riuscita a dire è stata ‘bella location per questa cena signor presidente’, appoggiando addirittura la mia mano sulla sua spalla come due amici di vecchia data che si incontrano ad una rimpatriata. Dentro di me nel frattempo un’altra Beatrice si stava disperando per quello che avevo appena detto. La reazione alla mia frase non poteva che essere una sonora risata, al termine della quale mi sono fatta coraggio dicendo al Presidente che non me ne sarei potuta andare da lì senza aver fatto un selfie. Lui mi ha risposto che gli dispiaceva ma che questo non era possibile”.
Basta con i sottotitoli, solo lingua originale.
“Sorry, I don’t understand this word Mr. President”.
Il tuo vocabolario non comprende la parola “impossibile”, inutile dire che con questa frase hai conquistato il presidente degli Stati Uniti.
“In realtà non si possono scattare foto all’interno della Casa Bianca, però dopo aver detto di non conoscere la parola ‘impossibile’ e dopo aver fatto ridere tutto il tavolo per la seconda volta, Obama mi ha detto che avrebbe fatto uno strappo alla regola. Cercando di non farsi notare dagli altri, mi ha preso il telefono e, vedendolo in difficoltà nel trovare la telecamera, ho provato a dargli un suggerimento che ha ironicamente rifiutato sostenendo di non essere ancora cosi vecchio da non sapere come scattare un selfie. A questo punto nel giro di pochi minuti avevo infranto regole e dato vita a gaffe storiche, ma avevo comunque realizzato il sogno, sogno che ho scoperto solamente mesi dopo, essere unico, poiché considerato il divieto di fotografare all’interno della Casa Bianca, il mio selfie insieme a Barack rappresenta l’unico nel suo genere”.
Immaginando che da ogni viaggio si ricavi qualcosa da portare sempre in valigia per i viaggi successivi, da questa esperienza, che cosa si aggiunge al bagaglio di esperienze e consapevolezze che ti accompagnerà nelle avventure future che la vita ti riserverà?
“Il ricordo e l’ispirazione più belli che io abbia ricavato da questo viaggio sono sicuramente l’umiltà e la semplicità di personaggi che troppo spesso vengono posti su piedistalli irraggiungibili per qualsiasi altro essere umano: l’aneddoto della foto con il presidente Obama, la disponibilità di Renzi ed il sorriso della moglie Agnese, senza dimenticare l’interesse dimostrato dalla First Lady nei miei confronti, ai quali si aggiunge la naturalezza con cui lo stilista Giorgio Armani ha allontanato le sue guardie del corpo per fare una passeggiata insieme a me, dipingono un mondo i cui protagonisti sono molto più simili a noi ed alle persone vicine a noi, di quanto si possa immaginare seguendo le loro vicende narrate dai media. Riprendendo quello che ho detto ad inizio intervista sul fatto di voler rimanere me stessa ovunque possano portarmi le mie esperienze, la dimostrazione che si possano raggiungere potere, successo e ricchezza ma che a questo non debba seguire un allontanamento dalle origini, dalle persone che siamo o eravamo, che questi personaggi mi hanno dato, mi è stata e sarà per me di grandissimo aiuto e spero che possa esserlo anche per altri dopo di me.
Tornando su un piano che mi riguarda più da vicino, ovvero lo sport, il fatto che sia stata scelta Beatrice Vio piuttosto che un altro atleta olimpico o di uno sport professionistico, mi ha profondamente colpita. Penso che sia stata riconosciuta, parità tra gli sport paraolimpici e non, e quindi che lo sport sia sport senza ulteriori barriere e distinzioni al suo interno e per questo, che io sia stata a Washington in rappresentanza di tutti gli sportivi italiani”.
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