Y ahora que? Il Comandante en jefe Fidel Castro Ruz, il dittatore più longevo della storia è morto a 90 anni. Cuba resta orfana del rivoluzionario e feroce dittatore. Sarà cremato, le sue ceneri sparse lungo tutta l’isola, mentre i funerali si svolgeranno il 4 dicembre e nell’isola si osserveranno 9 giorni di lutto. Ci sarà un mausoleo guardato a vista al cimitero di Santa Ifigenia a Santiago vicino all’altro padre della patria, Josè Martì. Forse sarà sepolto accanto alla madre e il padre a Biren ad Oriente nel giardino della casa natale. Forse le ceneri saranno sparse o conservate in salotto dalla moglie Dalia Soto del Valle e dai suoi 5 figli. Non si sa. Certo che una tomba potrebbe diventare un simbolo ed essere visitata ma anche vilipesa.
Dopo l’annuncio alle 10,30 di sera di venerdi 25 novembre, alla tivu di Stato cubana del fratello Raùl, la morte dell’eterno ribelle, dell’eterno companero, annunciata decine di volte, a che si dice era sfuggito a oltre 600 attentati è vera. Fidel Castro Ruz è morto. Y ahora que?
Che succederà si domandano tutti ripetendo, i fidelisti, i ritornelli sulla buona sanità a Cuba, sulla libertà dagli americani, sulla cultura dei cubani, come se per aver una vita civile bisogna sopportare oltre mezzo secolo di dittatura e guardando a Trump gli anticastristi. Y ahora que? Si domandano preoccupatissimi gli 11 milioni di cubani, di cui la metà ha meno di 50 anni e conosce solo il regime castrista e che aveva riversato nella visita di Barack Obama speranze di cambiamento. Le forze armate controllano tutta l’economia dell’isola ma sono al comando di Raùl e cui sono fedelissime. Raùl vorrebbe un’economia di tipo cinese, ma è difficile realizzarla con un popolo che non ha mai lavorato sul serio, che ha distrutto la produzione di zucchero, tabacco, agricoltura e industrie e che vive di un’economia di sussistenza. La “normalizzazione” fino ad oggi era rimandata perché nonostante le dichiarazioni di neutralità il Comandane en Jefe era lì, sul letto di morte ma era lì pronto ad intervenire per difendere la sua Revoluciòn. Pubblicava sul Granma, l’unico giornale nazionale i suoi proclami, ma era lì inflessibile e ancora rivoluzionario. E Raùl faceva tutto quello che lui voleva.
Y ahora que? Mentre i manifesti dell’incontro tra Raùl e Obama ancora sono attaccati ai muri dell’Avana gli anziani si interrogano con preoccupazione. “Lui era tutti noi – dice Yaneya – ci mancherà e Cuba non sarà la stessa. Tutto è ora veramente finito”.
Certo molto dipenderà da ciò che farà Donald Trump, quale linea politica adotterà con Cuba e se ascolterà i 3 milioni di esuli cubani in America che vorrebbero una linea più dura verso il regime, a cui a parer loro non è stato richiesto nulla facendo troppe concessioni. “Speriamo che gli interessi fare alberghi a Cuba – dice Eduardo di Trump – se ci abbandona anche lui siamo nel disastro totale”.
Nessuno confida in Raùl: troppo militare, troppo rigido e si dice anche molto malato. Il suo regime è durissimo fatto di arresti degli oppositori; incarcerazioni ed esilio e che potrebbe anche in futuro costringere i cubani a vivere miseramente con uno stipendio di 20 dollari al mese. Venerdi sera in moltissimi appena appresa la notizia sono corsi in strada dandosi appuntamento sul Malecòn dell’Avana. Vuoti i bar e i locali dove si va a caccia di turisti, pieni i parchi e i giardini, per parlare di lui, il Comandante che sembrava invicibile ed immortale. In una fresca serata d’inverno, come lo chiamano loro il periodo “secco” di Cuba, tutti non parlavano d’altro. Lo sconcerto, la paura e l’incertezza del futuro erano percepibili in ogni angolo della capitale cubana. I giovani si scambiavano timori ed incertezze apertamente per la scomparsa del Leader Maximo, che aveva lasciato il potere già nel 2008 al fratello minore Raùl, ma che aveva regnato, leader indiscusso dal 1959. Capace nel 1961 di portare il mondo davanti ad una crisi Usa-Russia (la crisi dei missili) rischiando di scatenare la Terza guerra mondiale.

Nonostante a Cuba non sia cambiato nulla da quando Obama ha aperto l’ambasciata americana a Cuba (ancora senza ambasciatore) oggi tutto funziona come prima: repressione, carceri, limitazioni economiche al limite della schiavitù, mancanza di libertà di opinione, di riunione e di pubblicazione qualsiasi cosa che non sia controllata dal regime di Raùl. Ora Fidel non c’è più e il fratello non ha lo stesso carisma nonostante tutti gli sforzi di somigliargli. Ma il Leader Maximo è stato lui e solo lui. Inoltre non esiste una classe politica in grado di governare senza i suoi ordini.
“Dico Adìos al mio Comandante – dice Isabel Garcia una donna di casa seduta davanti alla porta sul lungomare, veramente commossa – era il mio guerrigliero, mio fratello e mio padre. Ho lottato con lui e ci mancherà, anche se resterà sempre nei nostri cuori. Cuba è Fidel, Fidel è Cuba”. Il Comandante è chiamato per nome con una familiarità che va al di là del comune. E’ Cuba e i cubani sono fidelisti. Se vogliamo dimenticare la dissidenza e gli incarcerati che si battono per i diritti civili.
Ma il dolore e la costernazione dei suoi sudditi sono una realtà diffusissima anche tra gli anziani. L’eterno guerrigliero ha dato loro una identità alimentando il nazionalismo fin dai primi anni di scuola. Qualcuno è diventato operaio ed era contadino, in molti hanno avuto casa e tessera per alimentarsi. L’isolamento economico e d’informazioni hanno fatto si che il popolo cubano non sa nulla del resto del mondo, e crede di far parte di un mito. Il nemico esterno, gli USA sono serviti per dimostrare al mondo come si è liberi dal capitalismo. Anche se i frigoriferi sono vuoti e le scarpe rotte. E senza le rimesse che arrivano dagli USA molte famiglie farebbero davvero la fame. Ma come ha fatto Fidel ad imporre un mito così fasullo?
In realtà il mito è cresciuto grazie anche alla complicità di stampa, attori e libri che hanno perpetuato l’immagine che Fidel Castro voleva imporre: Cuba sovrana e libera e vincitrice contro gli USA. A qualsiasi costo.

In parte Fidel, ci è riuscito, se le tivu italiane e i giornali in questi giorni in Europa, propinano i soliti bla bla bla su vaccinazioni e istruzione. Ma è il momento del cordoglio. Come se il diritto di votare non è lo stesso diritto di essere sani. Ma il paese è una caricatura di vera società, perché a parte la negazione dei diritti civili, in realtà a Cuba un medico guadagna 20 dollari al mese e manca di tutto. I cubani lavorano per una miseria che non basta neanche per mangiare. E la colpa non è certo dell’embargo americano, visto che turisti e militari hanno tutto e possono comprare tutto. In realtà con il trucco delle due monete, il cuc per gli stranieri ( un cuc vale un dollaro circa) e i pesos nacional con cui sono pagati i cubani (un cuc vale 24 pesos) creano un’incredibile disparità d’accesso ai beni venduti nelle botteghe socialiste e quelle per gli stranieri. E i cubani si sono abituati. Vivono alla giornata e non si ribellano, almeno la maggior parte. Hanno una vita miserabile e quando cercano di aprire una ristorantino o un’attività privata vengono subito controllati, vessati e ricattati. Quindi bisognerebbe cominciare qualsiasi riforma dallo smettere di pagare i cubani come moderni schiavi. La unica e sola verità è che il futuro di Cuba dipende molto da ciò che farà Trump. Se deciderà di continuare sulla linea di Obama di apertura verso l’isola o di chiudere definitamente anche il poco commercio e le rimesse estere, come gli chiedono gli esuli a Miami che l’hanno votato. Il prezzo carissimo lo pagherebbero ancora i cubani.
Che nonostante tutto oggi piangono la morte di Fidel.
Chi darà loro un’identità ora? Cosa farà il presidente Trump? Come sarà il futuro? Amano Fidel perchè dicono: “Era il comandante di tutti . Noi siamo cresciuti con la sua figura. Impariamo l’alfabeto con la F di Fidel e lo amiamo- dice Miguel Rodriguez, 40 anni e una bottiglia di rum che passa di mano in mano sul Malecòn che è realmente commosso – Io sono una guida turistica grazie a lui”. “Io sono un cuoco grazie a lui – aggiunge Rolando Betancourt – Mi ha fatto studiare, mi ha dato da mangiare, fa parte della famiglia”. Fidel come parte della famiglia, come parente come Dio. E il futuro senza di lui sembra un incubo per alcuni, una speranza per altri. “Giustificò ogni violenza dicendo che la sanità era gratuita e l’educazione erano all’avanguardia – dice, unica voce fuori dal coro Roberto Saviano lo scrittore italiano – eppure per realizzarsi i cubani hanno dovuto lasciare Cuba”.
E mentre a Miami gli esuli festeggiano, per i capi di Stato e per il Papa è il momento del cordoglio alla famiglia, al popolo cubano.
Certo è che da domani Cuba non sarà più la stessa. Anche il pugno di ferro di Raùl Castro ha perso forza, i militari non hanno i mezzi per fare colpi di Stato. E il popolo cubano? Sarà la storia a dirlo. Quello che è certo che non assolverà Fidel Castro dei crimini commessi e delle famiglie divise che ora se la deve vedere con Belzebù.
Marcella Smocovich, ispanista, viaggiatrice e appassionata lettrice. Ha lavorato 15 anni con lo scrittore Leonardo Sciascia con cui ha imparato a leggere; 35 anni al Messaggero come giornalista professionista. Ha collaborato a El Pais, El Mundo di Spagna, alla CBS di New York . E’ stata vice direttore del mensile Cina in Italia. Viaggia frequentemente a Cuba, su cui ha scritto due libri, un’opera teatrale e moltissimi articoli. Vive tra Tunisi, New York, Roma e La Habana. E’ laureata a Salamanca e a Chieti.