Il Rio Yumuri é un fiume a carattere torrentizio che nasce sulle montagne della provincia di Guantanamo e sfocia vicino Baracoa (sud est di Cuba), attraversando un meraviglioso canyon di rocce ricoperte da fitta vegetazione. Nonostante le nostre ricerche, non avevamo trovato molte informazioni in merito, se non quello che si legge sulle guide turistiche. Si dice per esempio che nel periodo della colonizzazione spagnola, dalle alte falesie che sovrastano il fiume si lanciassero nel vuoto gli indios, che preferivano darsi la morte piuttosto che essere catturati dai conquistadores.
B. ci ha portato in jeep da Baracoa fino a Yumuri, un piccolo villaggio sorto dove l’acqua dolce del “rio” incontra le onde del mare. Con un barchino abbiamo quindi remato controcorrente verso monte, fino a un piccolo isolotto di ghiaia, dove alcune donne vendevano souvenir ai turisti su una bancarella fatta di rami e teli di plastica.
Paradiso di biodiversità
Senza dare troppo nell’occhio abbiamo imboccato un sentiero stretto e buio, nascosto in mezzo alla fitta vegetazione. Inizialmente eravamo sulla sponda nord del fiume, abbiamo poi effettuato diversi guadi, zigzagando spesso in un cammino di circa cinque ore.
Nei nostri zaini avevamo provviste, materiale da campo e qualche attrezzo che sicuramente non avremmo trovato nella foresta e che ritenevamo indispensabile: seghetto pieghevole, cordame vario, moschettoni. Avevamo poi il necessario per le riprese e per fare backup ogni sera (toughbook e hard disk). Intorno a noi era tutto un’esplosione di vita. La biodiversità all’interno del canyon é ricchissima. Uccelli, insetti, serpenti, davvero un paradiso nascosto!
Tra le specie più rare c’è un gasteropode preistorico: Il polydonte imperial, una grossa chiocciola che sembra però destinata a scomparire. La forestale e l’ente Flora y Fauna cercano di studiare e proteggere il polydonte invitando biologi da tutto il mondo, ma la nostra guida ci ha spesso ripetuto che la diminuzione del tasso di umidità che sta cambiando l’habitat del canyon é una minaccia molto seria che non accenna ad arrestarsi.
Questo fenomeno é in corso da decenni e sta decimando la popolazione delle chiocciole. Gli stessi indios, che ne andavano ghiotti, hanno progressivamente smesso di raccoglierle, dopo aver notato una sensibile diminuzione del numero di esemplari sul territorio.
Sullo Yumuri non sembravano esserci basi militari (almeno non in vista), ma l’accesso agli stranieri é comunque permesso solo ed esclusivamente se accompagnati da guide ufficiali, su percorsi autorizzati, proprio per evitare che l’escursionista ignaro disturbi delle specie protette. B. ci ha garantito comunque che il divieto di addentrarsi nella foresta é una misura cautelare per evitare la diffusione di informazioni sulla geografia della regione e dei suoi possibili obiettivi militari.
La profonda gola rocciosa, ricoperta da vegetazione impenetrabile nella quale scorre il fiume, è abitata da pochi campesinos, che non usano le zattere per trasportare il raccolto da una sponda all’altra, come avviene sul Toa. La portata d’acqua è spesso troppo scarsa per navigare sul pesante bambù e, quando da monte arrivano le piene, è invece troppo pericoloso.
La zattera dei campesinos
Abbiamo piazzato il campo in un minuscolo villaggio in cui si trova una capanna adibita all’accoglienza visitatori dall’ente Flora Y Fauna. Al momento solo qualche decina di turisti è arrivata fino a questo avamposto. Un po’ per mancanza di promozione, un po’ perché i sentieri visitabili sono piuttosto impervi e non alla portata di tutti, é difficile trovare questo paradiso. Ma é questione di qualche anno, il turismo arriverà in massa e si spera che i cubani siano preparati a gestirlo in modo sostenibile.
Torniamo alla zattera. Eravamo molto determinati a effettuare la discesa. Questo non per sprezzo del pericolo ovviamente, ma perché convinti che adattando un mezzo tradizionale alle nostre esigenze avremmo comunque potuto esplorare il canyon da un punto di osservazione privilegiato.
Il fiume avrebbe potuto riservarci delle trappole mortali, in termini di sifoni, colini, nicchie, ma eravamo fiduciosi del fatto che con un altissimo livello di attenzione e prudenza ne saremmo usciti vivi e con del buon materiale video.
B. ha coinvolto un falegname e un paio di amici per trovare il bambù adatto a costruire “Penelope”, la nostra imbarcazione. Osservando le loro tecniche abbiamo imparato molto. I cubani fanno passare prima tre pali trasversalmente alle canne che compongono lo scafo della “balsa” (zattera), rispettivamente a prua, al centro e a poppa. Legano poi il tutto con qualche metro di corda di plastica di scarsa qualità (per loro preziosissima) e preparano la “bara”, che suona proprio male, ma altro non è che la pertica che permette di spingere l’imbarcazione in caso di basso fondale. Niente pagaie quindi secondo il consiglio di B…
La notte prima della discesa ha diluviato. La paura di una piena improvvisa mi ha tenuto sveglio fino a notte fonda, mentre Simone ha dormito tranquillo, confidando nelle capacità di lettura del meteo dei campesinos.
Alla mattina per fortuna è arrivato l’ok dei cubani che dopo una piccola riunione hanno decretato: “la perturbazione si è spostata a valle”. Messa Penelope in acqua e caricata con le borse, ecco i primi problemi di galleggiabilità. Con me e Simone a bordo la zattera si immergeva totalmente di quasi quindici centimetri e si ribaltava a ogni minimo movimento. Dannazione! Sotto le ultime gocce di pioggia abbiamo recuperato due vecchi tronchi, li abbiamo forati, legati su entrambi i lati e ci siamo lanciati, sotto gli occhi ancora titubanti dei locali, sulle acque dello Yumuri. Il secondo assetto non era male, ma il rovesciamento sempre possibile.
Spesso dovevamo trascinare Penelope, pesante almeno due quintali, tra le rocce o lanciarla dalle cascate alte fino a due metri, “guidandola” con le corde, come si fa con un grosso burattino. Stando bene attenti a non scivolare, ci siamo spesso arrampicati sulle rocce più alte per individuare in anticipo i passaggi più difficili e per poter ragionare sulle strategie per superarli.
Pionieri dei fiumi
Più facile a dirsi che a farsi, ma il nostro agglomerato di bambù era davvero solidissimo. Sarebbe stata una discesa più agile con un bel packraft, ma scendere sul bambù ha reso tutto molto più interessante e “primitivo” ai nostri occhi. Era come essere dentro a un film sui pionieri.
Su un mezzo improvvisato e costruito da noi, ogni scelta ha avuto un peso enorme e ogni passaggio ha richiesto una concentrazione totale. Ci stavamo già affezionando alla zattera e ci rattristava l’idea di smantellarla all’arrivo al primo “cruze” (il primo guado salendo dalla foce). Se ci avessero visto arrivare sotto al ponte vicino al mare per B. sarebbero stati guai seri. La discesa dei questi fiumi non é al momento un’attività autorizzata dal governo se non in zone precisi e vicine ai centri turistici.
Eravamo in acqua da ore ormai e il cruze non appariva…e se B. non si fosse presentato all’appuntamento? Alle cinque del pomeriggio eravamo sfiniti. Non avevamo neanche pensato a mangiare qualcosa e quasi ci eravamo scordati di bere, in preda all’adrenalina e ammaliati dalla bellezza degli scenari che attraversavamo. Verso la fine del percorso, i passaggi si facevano più angusti e ci incastravamo di continuo. La stanchezza aveva cominciato a farsi sentire anche a livello psicologico, togliendo tutto il romanticismo e l’epica alla situazione, spesso tragicomica.
Poi, in un tratto del fiume che sembrava uscito da un quadro della sala ristorante del Jurassic Park (dinosauri esclusi), ecco apparire una sagoma familiare in lontananza. Era B. ed eravamo giunti al cruze! Senza poter lasciare troppo spazio all’entusiasmo abbiamo smantellato Penelope, stando bene attenti a non tagliare le funi che i campesinos ci avevano chiesto di conservare per loro. Addio Penelope! B. ci ha accompagnati di corsa sul sentiero del ritorno per non mancare l’appuntamento con il barcadero che ci avrebbe dovuto traghettare fino alla foce, salpando dall’isolotto dove eravamo sbarcati all’andata.
Alle 19 di sera era terminata la nostra avventura sullo Yumuri. Mancava ancora l’esperienza più ricca di incognite e il motivo principale per cui eravamo giunti a Cuba: la discesa del Toa.