Dal 7 al 9 Febbraio all’Hilton Midtown si è svolta Vino 2016, Italian Wine Week, il più grande evento di promozione del vino italiano negli Stati Uniti, organizzato dall’Italian Trade Commission.
Più d 1.000 etichette per 200 case vinicole, 1.200 visitatori tra buyer, sommelier, wine lover, ristoratori, enologi, 180 importatori e giornalisti, 11 seminari con la partecipazione di 45 esperti e personalità del mondo dell’enologia.

Tra questi Lidia Bastianich che, durante il dibattito inaugurale lunedì mattina ha raccontato come siano cambiati i tempi da quando si è affacciata al mondo della ristorazione nel 1979, qui negli Stati Uniti. Allora, tanti prodotti che identificano il gusto italiano come il prosciutto di Parma o il Parmigiano Reggiano erano difficilmente reperibili. Questo è il motivo per cui per lei comunicare la vera tradizione italiana è stata un’autentica sfida. A quei tempi, avendo a disposizione pochi prodotti autenticamente italiani, Lydia Bastianich, ha costruito il suo successo sulle salse.
Ora è tutto molto diverso, anche grazie a posti come Eataly, in cui si può trovare tutto il meglio del “made in Italy”. Era presente anche Dino Borri, International head buyer di Eataly, che ha sottolineato proprio come quello che negli Stati Uniti più è apprezzato del “made in Italy” è lo stile di vita a cui è collegato. Non si tratta di vendere semplici prodotti, ma il modo in cui li consumiamo, il modo in cui li cuciniamo, il modo in cui incidono nel nostro stile di vita. “It’s cool to be italian”, ha detto Borri ed è vero, siamo sempre più apprezzati e stimati per il nostro approccio al lifestyle.
È proprio per questo che i consumatori si dimostrano aperti a spendere qualcosa in più purché ci sia la garanzia di autenticità. Ecco, autenticità è la parola chiave, secondo il direttore dell’ICE, Maurizio Forte. Autenticità e diversità sono i due valori che vanno preservati. Vino 2016 è un evento mirato a valorizzare le grandi diversità territoriali e culturali racchiuse nel nostro Paese.
Bollicine
“Siamo un paese geograficamente piccolo che contiene una moltitudine di tradizioni. La tradizione culinaria trentina, per esempio, ha poco a che vedere con quella siciliana e vengono accompagnate da vini molto diversi. Anche nelle piccole distanze siamo un popolo che ama esaltare e rimarcare le piccole quanto fondamentali differenze. Si pensi solo alle decine di modi diversi di fare e chiamare i tortellini a distanza di nemmeno 15 chilometri, tra un paese e l’altro dell’Emilia”, ha detto il critico Daniele Cernilli. Ian D’Agata, direttore scientifico di Vinitaly International Academy, era perfettamente d’accordo e ha sottolineato come a esaltare le enormi differenze e i caratteri dei nostri vini siano i terreni e i climi in cui le nostre uve crescono. Una varietà di uve incredibili che rende unici e praticamente inimitabili molti dei nostri vini. Uve che parlano di paesaggi e di climi da sogno come l’uva Caprettone che è coltivata solo ed esclusivamente nella parte Sud del Vesuvio, quella che affaccia su Capri, di qui il nome che è anche quello di uno spumante che Massimo Setaro, il titolare di Casa Setaro, propone per la prima volta qui negli Stati Uniti. Un’ ottima alternativa agli spumanti più costosi.
Stessa cosa per il Cormorano dell’azienda friulana Cormons che per 15 dollari a bottiglia è uno spumante davvero eccellente, ottima alternativa ai più conosciuti prosecchi.
La natura nel bicchiere
A proposito di differenze territoriali nell’ambito di pochi chilometri, sempre in Friuli Venezia Giulia, Mitja Miklus porta avanti la tradizione del padre Ivan che all’inizio del Novecento ha acquistato terreni che riflettono perfettamente la qualità della zona del Collio, con l’aggiunta di una particolarità: un microclima unico, garantito dalla presenza della roccia “ponka” che arricchisce naturalmente di minerali il vino.

La natura e il modo in cui incide in certe zone, è la protagonista assoluta del successo di certi vini e molti vinicoltori presenti all’Italian Wine Week lo hanno capito e ne hanno fatto un punto forte della loro comunicazione, come i titolari delle Cantine Locci Zuddas, che propongono i grandi classici della Sardegna, abbinando a ogni vino il nome di un vento. Il Cannonau è dunque associato al vento Iscra Rùia, il Monica all’ Ètsu, il Vermentino alla Tramuntana e così via. D’altronde senza quei venti la terra di Sardegna sarebbe ben diversa e quei vini non sarebbero possibili.
Altri vini che ruotano attorno alla natura sono quelli del progetto Lunaria dell’abruzzese Cantina di Orsogna. Si tratta di vini realizzati con agricoltura biodinamica, mirata a rispettare nella maniera più assoluta il territorio che si trova tra il mare e il Parco Nazionale della Maiella. Il nome stesso Lunaria, rimanda all’idea di rispettare e seguire i cicli lunari e le etichette, ognuna dedicata a un animale, richiamano poeticamente alla natura.
Un’altra azienda particolarmente attenta alla natura incontrata all’Italian Wine Week è la marchigiana Ciù Ciù, i cui vini hanno una certificazione biologica sin dal 1993. Di questa azienda a conduzione familiare colpisce l’attaccamento alla tradizione che emerge in tante sfumature, dal rispetto delle tecniche più antiche nella realizzazione di vini eccellenti come il loro Pecorino, per citarne uno. Si tratta di un vino che celebra la tradizione locale a partire dal nome stesso Le Merlettaie che fa riferimento alle donne di Offida che ancora oggi come una volta sono famose per il modo in cui lavorano al merletto tondo.
Viticoltori intraprendenti
La tradizione, dunque e il coraggio di questi piccoli e grandi imprenditori che vengono oltre oceano per proporre i loro prodotti, affrontando una concorrenza spietata e inventandosi, però, occasioni brillanti per dimostrare come i loro vini siano legati a uno stile di vita e a una cucina di altissimo livello, come per esempio la Collefrisio night dedicata il 4 febbraio all’omonima cantina abruzzese all’Harry’s Italian Restaurant.

L’intraprendenza è una dote fondamentale per gli imprenditori vinicoli. Emblematico in questo senso, il giovane Oreste De Santis che a soli 22 anni ha deciso di trasformare l’attività vinicola della sua famiglia in un vero e proprio business e ha dato vita alla cantina Macchie di Santa Maria, la cui punta di diamante è il Taurasi, ma che produce anche tutti gli altri grandi classici del territorio dal Fiano di Avellino all’Aglianico. Ecco, De Santis ora di anni ne ha 28 e questo è il suo secondo tentativo negli Stati Uniti per trovare una distribuzione. Ci vuole coraggio oltre a tanta passione.
Altro premio al coraggio è per Bruno Gentile del Birrificio San Michele, unico “cigno nero” come ama definirsi lui stesso, che è venuto all’Italian Wine Week ad affrontare l’impresa non semplice di presentare delle birre negli Stati Uniti.
Insomma, i giorni di Vino 2016, Italian Wine Week ci hanno messi di fronte a un giro d’Italia attraverso 200 cantine che non ha avuto a che fare soltanto con la scoperta di sapori e odori di terre tanto diverse unite da un’unica grande passione. Vino 2016 ci ha parlato anche e soprattutto di coraggiosi imprenditori italiani che meritano fortuna.
Tre bicchieri
La settimana dedicata al vino italiano si è conclusa mercoledì 9 Febbraio con la grande degustazione Tre bicchieri del Gambero Rosso al Metropolitan Pavillon. Si è trattato di una degustazione delle più alte eccellenze italiane, quelle che hanno meritato la menzione Tre bicchieri nella 29ª edizione della guida Gambero Rosso Vini d’Italia 2016. Questa è stata l’occasione per assaggiare eccellenze per ora difficilmente reperibili nel mercato americano come il glorioso Cà del Bosco dosage zero noir del 2006. C’è veramente da essere orgogliosi di essere italiani, pensando che il tour del Gambero Rosso sta portando in giro per il mondo eccellenze del genere.