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October 24, 2015
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Misure di prevenzione antimafia a Palermo. Una storiaccia semplice

Fabio CammalleribyFabio Cammalleri
Pino Maniaci, direttore di Telejato e artefice della scoperta dello scandalo sui beni sequestrati alla mafia

Pino Maniaci, direttore di Telejato e artefice della scoperta dello scandalo sui beni sequestrati alla mafia

Time: 5 mins read

“Per essersi le signorie loro venute a trovare in una situazione tale da avere avuto ed avere tuttora effetti in grado di compromettere in tutto o in parte la loro indipendenza e imparzialità nello svolgimento delle rispettive funzioni". Dopo averlo tradotto, ho capito che non stavo leggendo un documento del Cardinale Mazzarino in grazia del Re Sole, ma del CSM in ragione della Legge. 

Inflessibile, preciso, limpido, l’atto che il CSM indirizza ai magistrati della Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Palermo avanza impavido verso il trasferimento d’ufficio. E si noti la finezza della scelta: la legge sulle “Guarentigie della Magistratura” implica che la “causa” di incompatibilità ambientale sia “indipendente da loro colpa”. Non è la Sezione Disciplinare. E’ incompatibilità ambientale: una questione funzionale. Perciò, Prima Commissione. Ma quale colpa? E infatti l’atto secentesco reca l’ineffabile dicitura “per essersi venute a trovare” (le signorie loro): come per un colpo di vento, o un urto di un passante distratto. Forse, per agevolare il lavoro dei colleghi, la Presidente Saguto ha proposto anche lei una domanda: non di dimissioni dall’Ordine Giudiziario, per carità, ma, gemella, di assegnazione ad altra sede giudiziaria.

Questa storiaccia di magistrati, tutto sommato, ha la sua utilità. Mostra, per chi è ancora libero e non voglia distogliere lo sguardo, come agiscano i poteri costituti quando sanno di poter essere sentina di arbitrio e di prepotenza. 

Sgombriamo subito il campo da un equivoco. Su questi fatti, com’è noto, sta conducendo indagini preliminari la Procura della Repubblica di Caltanissetta. Nonostante ripetute indiscrezioni apparse sui media, relative per lo più ad aspetti marginali, e comuni ad ogni vicenda di abuso istituzionale a sfondo patrimoniale (mance, prebende, pur variamente cospicue), non si conoscono ancora i termini reali dell’accusa. Inoltre, in questo momento, la Procura che indaga è “sede vacante”, cioè non ha un capo. E da pochi giorni sono scaduti i termini per candidarsi a dirigere l’ufficio. Molti, fra i candidati, sono in atto giudici o pubblici ministeri a Palermo, dove, negli ultimi cinque anni, non pare si siano accorti di quello che accadeva nello stesso Palazzo di Giustizia in cui lavoravano. Sicchè, la pendenza dell’indagine non solo non dimostra nulla sullo stato di salute morale della magistratura, ma, nell’intersezione di questi fattori organizzativo-ambientali, autorizza più d’una cautela su montagne e topolini. Vedremo. Perchè questa è una storiaccia di ANM e di CSM.

Infatti, l’abuso è nudo a prescindere dall’indagine.

Com’è abbastanza noto (abbastanza, ma non quanto dovrebbe) già cinque anni fa, Pino Maniaci, dalla sua Telejato, aveva chiesto alla magistratura di occuparsi di come a Palermo si gestissero i patrimoni sequestrati o confiscati in ambito c.d. mafioso. Venne in contatto con venti operai, che stavano per essere licenziati da una cava in amministrazione giudiziaria. Per capire come e perchè, comincia a studiare la carte. Si accorge che gli incarichi convergono su alcuni, pochi, nomi. 

Si reca dal Presidente del Tribunale, Leonardo Guarnotta, già componente dello storico pool antimafia, quello diretto da Antonino Caponnetto e animato anche da Falcone e da Borsellino. Come mai i nomi erano sempre gli stessi, gli chiede? La risposta fu che c’era un albo (con più di 4.000 nomi) e che i prescelti o erano bravi o “gli piacciono i piccioli”. Risposta anodina, cioè evanescente: e se una possibile ragione degli incarichi, alternativa alla bravura, era l’avidità, considerate le cifre in gioco, si poteva anche, e già allora, pensare di interessare gli uffici competenti.

L’incontro finisce lì. 

Ma appena tornato a Partinico, Maniaci è raggiunto per telefono dallo stesso Presidente Guarnotta, che gli comunica il numero di telefono della Presidente Saguto. Viene ricevuto nello stesso pomeriggio; e se ne stupisce, giacchè, quando aveva cercato di parlare con l’amministratore della cava, si era sentito rispondere che “stava disturbando, perchè era a cena”. Il nominato lo liquida rapido, rapida la nominante lo accoglie.  Solo che non ne viene nulla, perchè, rileva Maniaci, “la sensazione che ho avuto fu che io volevo sapere come funziona la gestione e le nomine, e lei invece voleva capire cosa avessi scoperto”. 

Maniaci, però, non era il solo a sollevare dubbi. Il Direttore dell’Agenzia Nazionale per i beni confiscati, Prefetto Giuseppe Caruso, nel febbraio 2014, era stato “audito” in Commissione Antimafia. La presidente Rosy Bindi lo bistratta, perchè le sue accuse agli amministratori giudiziari rischiavano di “delegittimare l’intero sistema”, e il vicepresidente, Claudio Fava, definisce “bizzarro” il comportamento del Prefetto, perchè avrebbe mosso le sue accuse a fine mandato. 

Bizzarro o non bizzarro, le accuse c’erano, ma l’unico risultato fu che la Commissione Antimafia, poco dopo, convoca il Presidente Saguto e, soddisfatta, l’On. Bindi dichiara che "non abbiamo dati che possano inficiare condotte delle singole persone". Anche Repubblica/Palermo è soddisfatta: “A difendere la gestione dei beni confiscati ai boss, senza tacere della necessità di rendere più efficace la legge, ci hanno pensato ieri (ricordo che si era nel Febbraio 2014, n.d.r.) i giudici delle misure di prevenzione, che a Palermo si occupano del 45% dei patrimoni sottratti alle cosche in tutta Italia. All'Antimafia i magistrati, guidati dal presidente della sezione Silvana Saguto, hanno portato la documentazione relativa al lavoro loro e degli amministratori accusati da Caruso di intascare "parcelle d'oro".

Tutto bene. Infatti, non succede nulla. Tranne un paio di cani impiccati a Maniaci, e qualche auto bruciata. Sciocchezze. Fino a quest’indagine.

Il membro del CSM, di Magistratura Democratica, giudice Piergiorgio Morosini, e componente di quella Prima Commissione consiliare che dovrà decidere sull’incompatibilità ambientale in cui quei poveracci si sono “venuti a trovare”, esprime preoccupazione per il rischio di una “delegittimazione” degli uffici giudiziari di Palermo. E lo stesso Consiglio Superiore, per bocca del suo Segretario Generale, dott.ssa Paola Piraccini, vede “il concreto rischio di una sotterranea delegittimazione degli uffici".

Dal canto suo, l’ex Presidente Saguto informa l’uditorio che “abbiamo dato fastidio a qualcuno, e a Palermo ce la devono far pagare. Non so se gli investigatori e i colleghi di Caltanissetta  se ne rendono conto”. Magari potrebbe aiutarli lei, a capire meglio; così, sembra solo un’allusione per orecchie terze. 

Intanto l’avv. Walter Virga, sottoposto ad indagine e figlio del giudice Vincenzo, sembrerebbe, a prestare fede ad una telefonata divulgata, avere le idee più chiare: “Lei non è un ingenua… lei fa parte di un sistema”, “abbiamo pagato il pizzo che dovevamo pagare e abbiamo avuto quell'incarico”. Il “pizzo”, secondo lui, sarebbe stata la remunerata presenza in studio della nuora presidenziale.

“Rischio di delegittimazione” o “sotterranea legittimazione”, perchè qualcuno  chiede, e nell’omertoso silenzio della grande stampa, di andare oltre la comoda soglia dell’abuso da osteria. Il CSM minaccia crudeli traslochi. La Commissione Antimafia, a guida dura e pura, offre coperture politiche e improvvide ironie. Alti magistrati danno l’impressione di voler coprire quello che si è scoperto, anzichè scoprire quello che è coperto. Un ufficio che indaga, presto potrebbe essere diretto da un collega di scrivania di quelli indagati. E’ una storiaccia di potere.

L’ineffabile Virga Jr pare saperla lunga, anche se non svelerebbe nessun segreto: “Guarda, te lo dico per esperienza, da figlio di magistrato: i magistrati si difendono tra di loro. Quindi, come vedi, tutte queste polemiche (…) io ti dico che pure se non fossero falsità e lo sono, fino al terzo grado di giudizio, 8.000 magistrati ne difendono uno". 

La pagliuzza; la trave. La legalità.

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Fabio Cammalleri

Fabio Cammalleri

Il potere di giudicare e condannare una persona è, semplicemente, il potere. Niente può eguagliare la forza ambigua di un uomo che chiude in galera un altro uomo. E niente come questa forza tende ad esorbitare. Così, il potere sulla pena, nata parte di un tutto, si fa tutto. Per tutti. Da avvocato, negli anni, temo di aver capito che, per fronteggiare un simile disordine, in Italia non basti più la buona volontà: i penalisti, i garantisti, cioè, una parte. Forse bisognerebbe spogliarsi di ogni parzialità, rendendosi semplicemente uomini. Memore del fatto che Gesù e Socrate, imputati e giudicati rei, si compirono senza scrivere una riga, mi rivolgo alla pagina con cautela. Con me c’è Silvia e, con noi, Francesco e Armida, i nostri gemelli.

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