Dopo essere stato premiato con l’Orso d’oro alla 65esima edizione del Festival di Berlino, il regista Jayro Bustamante, approda al Festival Internazionale del cinema di frontiera di Marzamemi per presentare la produzione franco-guatemalteca Ixcanul Volcano, una storia coming-of-age ambientata nella comunità indigena di etnia Kaqchikel, uno dei popoli Maya, “nessuno" nella lingua indigena, che vivono ai piedi dei tanti vulcani che disegnano da millenni il paesaggio del Guatemala, conservando intatta la loro struttura sociale, le loro lingue, le loro tradizioni e i loro riti ancestrali. Qui gli esseri umani e natura vivono in perfetta simbiosi, al riparo dalla vita moderna e dal suo continuo chiacchiericcio di smartphone e social media.
In questa comunità vive Maria (Maria Mercedes Coroy), una ragazza diciasettenne che lotta per forgiare con le sue mani il proprio destino, malgrado le sia vietato farlo. Per lei il Vulcano locale è solo un ostacolo per accedere al mondo moderno e pieno di possibilità. La sua via di fuga si chiama Pepe, un ragazzo con il quale ha una relazione segreta e che le promette di portarla con sé. Quasi ignorando che tra loro e gli Stati Uniti c’è tutto il Messico. Ma i genitori della ragazza hanno altri piani per Maria, un matrimonio combinato con Ignacio (Justo Lorenzo), il padrone della piantagione di caffè in cui tutti loro lavorano. Ma dopo promesse e incontri clandestini, Pepe se ne va e la abbandona incinta. Più tardi, il morso di un serpente costringerà Maria a raggiungere quel “mondo moderno”, ma in un modo che non aveva previsto.
Ixcanul Volcano, oltre ad essere una delizia visiva, niente a che vedere dagli stereotipi da cartolina, ricrea le dure condizioni umane e lavorative di un popolo che ha subito una delle più brutali colonizzazioni della storia dell’umanità. Ancora oggi molte delle comunità Maya sparse per il Centro America non parlano lo spagnolo come segno di rifiuto di quella civiltà che li ha assoggettati secoli addietro, e che ancora continua ad emarginarli.
Il regista non si trova in un territorio sconosciuto: “Ho trascorso la mia infanzia sugli altipiani del Guatemala, la terra dei Maya – racconta Bustamante – nelle note di regia. Attraversavo le montagne insieme a mia madre, accompagnandola nelle sue campagne sanitarie, che consistevano nel convincere la donne Maya a vaccinare i loro bambini Cercare di instaurare dei rapporti amichevoli tra le comunità Maya e Mestizo (meticcie) era un'impresa davvero ardua”.
Ma quella che doveva essere un storia di formazione si trasforma, nel finale, in un film di denuncia sul fenomeno del traffico dei minori. Che il Guatemala sia il centro della mafia latino americana per il reclutamento e lo smistamento dei minori, non è un segreto. I bambini provenienti da Nicaragua, Salvador e Honduras vengono rivenduti in Messico e nel ricco Nord America. L'ONU riferisce di 400 sequestri di minori ogni anno, portati a termine in condizioni di assoluta impunità. Come conferma lo stesso regista: “Anni dopo, mia madre condivise con me la sua indignazione quando scoprì che alcuni funzionari sanitari, come notai e giudici, oltre a medici, direttori di orfanotrofi e molti altri, erano coinvolti nel sequestro di bambini Maya”.
Così il regista si fa un viaggio nel mondo naturale delle comunità Maya, sfatando anche qualche mito. Si viene a conoscenza di un popolo che cerca coraggiosamente di resistere ai richiami del mondo cosiddetto civilizzato, ma dove le donne continuano a fare i conti con regole sociali oppressive e arcaiche credenze. Si stima che in Guatemala circa una donna in età fertile su quattro sia vittima di violenze domestiche. Solo nel 2013 sono decedute, a seguito di violenze, 564 donne e dal 2000 ne sono morte oltre 7 000. “Volevo denunciare anche questa realtà che spesso passa inosservata. La vita, delle donne e della loro posizione in una cultura all'interno della quale saranno sempre vittime di abusi e ingiustizie”, conclude il regista.