Nel centro di Palermo dove ogni giorno centinaia di turisti sbarcano dalle navi da crociera non c’è un solo vespasiano. Nell’antica Roma ancora tramortita dagli eccessi di Nerone l’imperatore Tito Flavio Vespasiano li aveva realizzati e tassati. In ogni caso, nell’antichità avevano avvertito il bisogno di evitare che il ‘prodotto’ dei bisogni corporali invadesse le strade. Gli attuali governanti del capoluogo siciliano non hanno ancora trovato il tempo per occuparsi di questo problema. Così, giusto per essere crudi, per pisciare e fare altro i visitatori che arrivano in città con le navi da crociera si debbono ingegnare: assalti ai bar e alle aiuole, mentre c’è perfino chi sceglie le biblioteche. La commistione tra libri e orinatoi la dice lunga su che cos’è oggi Palermo e, soprattutto, su di che pasta sono fatti gli attuali amministratori. Quasi un segno del destino…
Un’altra caratteristica della Palermo degli ultimi anni è la presenza ormai costante dei gabbiani. Se li volete vedere in azione dovete alzarvi la mattina presto. Alle prime luci dell’alba volteggiano a bassa quota. Per piombare sui cassonetti d’immondizia che in tante zone della città rimangono pieni di rifiuti per giorni e giorni. I gabbiani, ormai da qualche anno, vivono in simbiosi con i rifiuti ‘incustoditi’ di Palermo. Spesso all’alba – ma anche al tramonto – ‘litigano’ furiosamente con i sacchi di immondizia. Li artigliano. Li beccano. Fino a quando non li aprono. E poi si immergono nel sacchetto alla ricerca di rifiuti organici. Ma non si limitano solo a questo. Colgono l’occasione per fare man bassa degli uccelli di piccola taglia che gli capitano a tiro. Quando i piccoli uccelli spariscono, magari nascosti tra i rami degli alberi (dei pochi alberi che, come vedremo, rimangono a Palermo), i gabbiani iniziano a volare basso, a pochi metri da terra, per piombare su topi, scarafaggi e, se gli capita, su gatti e cani di piccola taglia. Per ora evitano di attaccare i piccoli cani a passeggio con i padroni. Mentre per i randagi di piccole dimensioni la vita si fa dura. E ancora più dura è la vita per i gatti. Sembra che i gattini randagi abbiano già imparato a difendersi dagli attacchi dei gabbiani. Anche loro vanno in cerca di cibo tra i rifiuti. Ma ormai, dopo anni di vita tra i rifiuti, sono fatti più guardinghi. Pronti a nascondersi sotto i cassonetti. O sotto le automobili. Così sfuggono ai furiosi attacchi dei gabbiani.
Di gabbiani, oggi, in Sicilia, se ne trovano a centinaia nella tante discariche, quasi tutte private. Già, perché nell’Isola i rifiuti, tranne rare eccezioni, vengono ancora seppelliti sottoterra. Come si faceva cinquant’anni fa. La politica, la mafia e l’antimafia su questo sono totalmente d’accordo: i rifiuti in discarica sono un grande business. Un ‘must’ della ‘presunta’ economia siciliana… E tale debbono restare. Abituati alle tante discariche dell’Isola, i gabbiani hanno capito che all’alba, quando le automobili non sfrecciano per le strade, ampi tratti della città di Palermo sono più o meno assimilabili alle discariche. Da qui la loro presenza ormai costante. Il pranzo è servito… (sotto, a sinistra, il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando).
Vi chiederete: ma perché il Comune di Palermo non toglie l’immondizia dalle strade, evitando, così, la commistione tra rifiuti e gabbiani nelle vie cittadine? Domanda da cento punti. Il Comune di Palermo, come ammette lo stesso sindaco della città, Leoluca Orlando, è il più sovietico d’Italia. Tutti i servizi sono, anzi, dovrebbero essere svolti da tante, forse troppe società comunali zeppe di personale. Dovrebbero. Il condizionale è obbligatorio. E’ stato calcolato che, per la raccolta dei rifiuti e per il verde cittadino sono disponibili oltre 4 mila operai. Tutti pagati regolarmente. La Tasi – la Tassa per i rifiuti – a Palermo è tra le più ‘salate’ d’Italia. Ma la già citata, costante presenza dei gabbiani tra i cassonetti d’immondizia dimostra che i palermitani pagano per un servizio che, in buona parte, non c’è. I rifiuti, come ricordato, in molti casi – soprattutto nei quartieri popolari – rimangono per le strade per giorni e giorni non raccolti. Ma anche la centralissima via Libertà – il ‘salotto’ di Palermo – non scherza. In teoria, almeno la via Libertà dovrebbe essere pulita. In effetti, sembra pulita. Sembra. Perché se osservate con attenzione le aiuole che costeggiano la via più celebrata del capoluogo dell’Isola – dove poggiano le radici dei Platani orientali, quasi tutti malati – vi accorgerete che sono pieni di immondizia: cartacce, pacchetti di sigarette vuoti, mozziconi di sigarette, bottiglie e via continuando. Rifiuti nascosti con ‘cura’: la stessa cura che occorrerebbe per rimuoverli…
Sulla sporcizia di Palermo si potrebbero scrivere trattati. Il presidente della Rap, la società che si dovrebbe occupare della raccolta e del trattamento dei rifiuti, l’ingegnere Sergio Marino, dice che i palermitani sporcano la città ad una velocità supersonica. Ne fa una questione antropologica. Impossibile stargli dietro. In effetti, nei tratti di spiaggia libera della città, quando i panormiti, dopo una giornata di mare, tornano a casa, l’arenile sembra un paesaggio dopo la battaglia. Cartacce, bottiglie, sacchetti di plastica, mozziconi di sigarette. Un economista keynesiano direbbe che i palermitani hanno una spiccata propensione al consumo di beni. E, in effetti, quando le tasse non lasciavano le tasche dei cittadini palermitani quasi vuote la teoria avrebbe potuto risultare interessante.
Detto questo, la già citata Rap, alla fine, con rispetto parlando, è solo un carrozzone mangiasoldi. Da qualche anno ha preso il posto dell’Amia, la gloriosa società che non ha mai eliminato i rifiuti da Palermo, fallita sotto il peso di migliaia di precari ‘stabilizzati’, cioè assunti a tempo indeterminato senza che la società avesse i soldi per pagarli. Assunti a tempo indeterminato – per volere di quello Stato che oggi rimprovera alla Sicilia i troppi dipendenti pubblici – non per tenere pulita la città (una cosa del genere, a Palermo, non va nemmeno ipotizzata), ma in cambio di voti ai politici.
Insomma: dall’Amia alla Rap è cambiato solo il nome. E la gestione dei debiti accumulati dalla stessa Amia, che sono stati lasciati ai curatori fallimentari di tale società. La Rap, invece, è ripartita da zero con i soldi ‘freschi’ pagati dai cittadini palermitani con la Tasi. Oltre 120 milioni di euro all’anno. Un’enormità. Si pagano gli stipendi, ma la città è piena d’immondizia. Ma ai palermitani sta bene così. Infatti, tranne poche eccezioni, non si lamentano. Pagano e sorridono. (sopra, a destra, Palazzo delle Aquile, sede del Municipio di Palermo).
Lo stesso discorso vale per il verde della città. I giardini pubblici, tranne pochi casi, fanno letteralmente schifo. Da mesi un comitato cittadino cerca di ‘stringere’ l’assessore comunale che si occupa di tale settore, il botanico di fama internazionale Francesco Maria Raimondo (docente di Botanica e direttore dell’Orto botanico della città). I risultati, finora, sono deludenti. Non per responsabilità dell’assessore Reimondo, ma perché i burocrati del Comune di Palermo non rispondono alla politica, ma ad ‘altri’ soggetti non meglio identificati…
Ah, dimenticavamo: in città sono tornati i cavalli con le carrozze, come ai tempi dei Baroni, dei Conti e dei Principi. Non sono tante, le carrozze con i cavalli. Ma ci sono. Un servizio pensato per i già citati turisti che arrivano ogni giorno con le navi da crociera. Ovviamente, i cavalli cacano (leggere defecano) per le strade, proprio come ai tempi in cui Goethe venne in visita a Palermo. Corso Vittorio Emanuele è la meta preferita dai cavalli per defecare. Il grande scrittore tedesco rimase un po’ perplesso nel vedere la merda nelle strade della città. Gli spiegarono che rendeva più “dolce” il passaggio delle carrozze. Allora le strade erano fatte tutte in acciottolato. E la merda che si incuneava negli interstizi, tra un ciottolo e l’altro, in effetti, rendeva soffice il tragitto.
E oggi? In fondo è la stessa cosa. Perché quasi tutte le strade di Palermo sono letti di dolore. Quasi tutte scassate. A cominciare da quelle del centro. In quella che i palermitani chiamano Piazza Politeama in onore al Teatro Politeama Garibaldi, non mancano avallamenti e buche. Certo, non è come in periferia, dove ormai si aprono voragini. Ma è pur sempre un segnale ‘importante’. Della serie: se Piazza Politeama è così, figuriamoci nel resto della città… Non è esagerato affermare che ormai è difficile, se non impossibile, trovare una strada cittadina in ordine. Sono quasi tutte scassate. Qualcuno sospetta che la politica sia in combutta con i riparatori. Perché in una città del genere ammortizzatori e copertoni non hanno lunga vita. E’ un dubbio ‘presocratico’ destinato a rimanere senza risposta.
E’ possibile rimettere in sesto le strade di Palermo? No. Un no categorico, senz’appello. Una soluzione potrebbe essere rappresentata dalla spiegazione illustrata a Goethe. Cioè la merda per rendere più ‘soffici’ le strade scassate di Palermo. Una soluzione che appare impercorribile. Non per questioni sanitarie, s’intende (nei bar e negli esercizi commerciali di Palermo i gestori toccano soldi e beni commestibili indistintamente e se uno glielo fa notare si offendono…). Ma perché ci vorrebbero tanti cavalli. E l’austerità che c’è in giro non consentirebbe questo lusso. Una seconda soluzione potrebbe essere quella più ‘volgare’: asfaltare le strade. Ma questa è una via che appare meno percorribile della prima. Perché se la Rap è un nuovo carrozzone mangiasoldi, l’Amat – la società comunale che si dovrebbe occupare di trasporti pubblici e di manutenzione delle strade – è un vecchio ma sempre presente mega carrozzone mangiasoldi. Insomma, tutto si può chiedere all’Amat di Palermo, tranne le due cose per le quali esiste: mettere su un decente trasporto delle persone sui mezzi gommati e riparare le strade. Anche all’Amat, stessa regola in vigore per la Rap: l’importante è pagare gli stipendi al personale, il resto non conta.
Se poi ci ragioniamo, magari girando un po’ per la città, così, a zonzo, non possiamo non porci la seguente domanda: a che servirebbe riparare le strade di Palermo nell’anno di grazia 2015? A nulla. Perché la città, come ci racconta il consigliere comunale Aurelio Scavone, gran persona per bene, da sempre vicino al sindaco Orlando, è un cantiere. Scavone ci spiega che non esiste città d’Italia con tante opere pubbliche in corso come a Palermo. Siccome è una persona per bene non gli facciamo notare che era così anche ai tempi di Salvo Lima sindaco e Vito Ciancimino assessore comunale ai Lavori pubblici. Ci rimarrebbe male. Però Scavone ha ragione: cantieri per il passante ferroviario che attraversa la città da nord a sud; cantieri per l’anello ferroviario, un treno ad unico binario che dovrebbe fare avanti e indietro, percorrendo una mezza luna (opera chiamata impropriamente “chiusura dell’anello ferroviario”); quindi tre cervellotiche linee di tram realizzate nel centro delle strade in modo da impedire ai cittadini di passare da un marciapiede all’altro: geniale, no? Per concludere, giusto per non farci mancare niente, una bella metropolitana leggera.
Insomma, una città tutta ferrovie. Ammesso che le opere vengano ultimate. Eh già, perché negli anni ’90 del secolo passato – sindaco era sempre Orlando – tutta la città per sei-sette anni, è stata massacrata da un’incredibile ondata di lavori pubblici. Il mega-appalto si chiamava “Progetto Socrate”. Avevano scomodato il grande filosofo greco per presentare il cablaggio di tutta la città annunciato come la nuova rivoluzione copernicana. Palermo, come oggi, era un cantiere. Gli scavi arrivavano in tutte le strade. Anzi, in tutti gli appartamenti. Piombavano nelle case per proporre l’allacciamento. Chi è che gli avrebbe detto no? Tutta Palermo sognava di diventare telematica.
Ovviamente, i soldi – allora c’era ancora la lira – erano tanti, ma tanti miliardi di vecchie lire. Per essere precisi, centinaia di miliardi di lire. Ebbene, di tutto questo non è rimasto nulla. Una beffa. Sì, di questa incredibile storia non si è saputo più niente. I disagi per i cittadini, i miliardi di vecchie lire spesi: tutto nel ‘dimenticatoio’. Compreso il possibile danno erariale. Finirà così anche con le opere per i tram e le metropolitane, ‘leggere’ e ‘pesanti’? E chi lo può sapere?
Intanto, pronto accomodo, per fare posto a tram e metropolitana, ‘pesante’ e ‘leggera’, hanno abbattuto più di mille alberi. A Palermo il verde pubblico è agli ultimi posti tra le città italiane. Ora la situazione è addirittura peggiorata. Per fare posto alle linea ferrate e alle improbabili stazioni ferroviarie, qualche settimana fa, hanno abbattuto otto ficus in Piazza Politeama. C’è stata una rivolta popolare. Il Comune si è giustificato dicendo che non sapeva nulla. Come se i progetti non fossero stati approvati dagli uffici del Comune. Malafede e bugie su tutta la linea. (se siete interessati gli 'intelligenti' taglia alberi dei Comune di Palermo potete leggere qui)
A danno fatto, è andata in scena una grottesca conferenza stampa. Nel corso della quale due assessori comunali sono riusciti a smentire la tesi messa in giro dallo stesso Comune: e cioè che il Comune non aveva voce in capitolo sugli alberi del Comune. Salvo a dire, poi, che lo stesso Comune avrebbe evitato il taglio degli altri alberi di Piazza Politeama di proprietà del Comune. Ma se il Comune non aveva titolo per bloccare il taglio degli otto ficus del Comune come può impedire il taglio degli altri alberi dello stesso Comune?
Mentre la città si interrogava su questi ed altri temi ‘filosofici’ circa la titolarità quasi ‘ontologica’ e, magari, anche un po’ ‘teoretica’ del Comune sugli alberi di Piazza Politeama, a ‘umma ‘umma è andato giù un altro albero. E’ successo in via Sicilia, in una delle tante aree cittadine che dovrebbe essere attraversata dal tram, o dal passante ferroviario, o dall’anello ferroviario ‘chiuso’ che resterà però aperto, o forse dalla metropolitana ‘leggera’. Un altro albero di oltre cinquant’anni di vita è andato giù. Che dire? Ma futtitinni! (tradotto: non ci pensare). Si diceva pressappoco così anche ai tempi di Lima e Ciancimino. Allora quando qualcuno faceva notare il verde che spariva, o le ville Liberty che andavano giù per fare posto ai palazzoni in cemento la risposta era sempre la solita: “Possibile che appena qualcuno vuole cambiare Palermo tutti lì a lamentarvi? Palermo è bella, facciamola più bella…”.
In questo scenario si inserisce il ‘Percorso arabo-normanno’. Dopo aver ridotto una città in mutande, con i cittadini che pagano tasse esosissime per avere in cambio servizi risibili (o per non averne affatto), con immondizia, gabbiani, scarafaggi, topi e quant’altro, l’amministrazione comunale non trova di meglio che gettare fumo negli occhi. Ma di questo e del nuovo ‘pizzo’ imposto ai commercianti della città, chiamati a pagare non solo le tasse, ma anche multe inventate, spesso in stile mafioso, per fare ‘cassa’ parleremo nella prossima puntata.
Fine prima puntata/ continua
Foto tratta da ponzaracconta.it