Domenica mattina, si è svegliato già il mercato, in licenza son tornato e sono qua, per comprarmi dei blue jeans al posto di questa divisa”, iniziava così la celebre canzone di Claudio Baglioni che a metà anni Settanta conquistava tutti al suono del suo ritornello: “Porta Portese Porta Portese Porta Portese cosa avrai di più”. E’ il mercato delle pulci più antico di Roma, tappa obbligata per i turisti che affollano la capitale provenienti da ogni dove. Un angolo capitolino che continua a mantenere intatto il suo fascino. Antico e moderno vanno a braccetto: dai lampadari ai giochi per la Play Station, bici usate, caschi, valigie, abbigliamento nuovo e usato, scarpe, accessori, intimo, libri impolverati, cornici, e così dicendo in una lista a cui possono mettere la parola fine soltanto i limiti della fantasia.
Ma come – ed in che misura – è entrata la crisi in uno dei luoghi più folcloristici e affascinanti della capitale? Siamo andati a scoprirlo quest’oggi di buon mattino, facendoci spazio tra una marea di turisti e gli inguaribili romani romantici che, seppur al verde e malgrado il caldo, non rinunciano al loro consueto giro settimanale. E – a sorpresa – spuntano anche delle new entries sui generis.
Passeggiando su via Portuense ci imbattiamo da subito in un sottile battibecco tra Carmine, un uomo sui sessanta che vende vestiti a prezzi stracciati, ed una signora indispettita – a suo dire – dal “fare arrogante del venditore”. Oggetto della disputa una camicia a righe rosa, dal costo di cinquanta centesimi. La donna è attratta dal capo ma non vuole misurarselo (“troppa fatica”).
Titubante prende la camicetta e la porta con sé per chiedere un parere alle sue amiche che distano alcuni passi. Ne segue un consulto che pare abbia portato i suoi frutti. La donna torna intenzionata ad acquistare il capo. Al momento di pagare però si accorge di aver soltanto una banconota da cinquanta. Carmine non ha resto e così l’acquisto non va a buon fine.
“La gente non compra più, ormai ci si attacca persino ai centesimi – dice il venditore esausto – faccio cinque mercati a settimana, nell’alto Lazio e nella provincia di Roma, ma questo lavoro non ti dà alcuna garanzia. Le spese sono tante, il gasolio è ormai alle stelle. Vivo nel terrore che mi si rompa il furgone, non avrei i soldi per farlo riparare”.
Proseguendo per il mercato non si fatica a capire che il numero dei banchi italiani è di molto inferiore a quello degli stranieri (cinesi, indiani, bengalesi, magrebini) che vendono merce in stock.
“I veri romani storici – dicono alcuni survivor su via Ippolito Nievo – sono rimasti in pochi, è il capolinea di una tradizione”. Vanta mezzo secolo di storia il banco di articoli militari della signora Anna: “Avevo 18 anni quando ho iniziato a fare mercati – racconta – venivo a Porta Portese insieme con mia suocera, mettevamo un telo per terra e cominciavamo a vendere, non avevamo alcuna licenza”. Piazza Dante, via San nio, per la signora Anna le strade di Roma non hanno alcun segreto, e così piazze e bancarelle. Oggi però è dura tirare avanti.
“Paghiamo molte più tasse rispetto ai guadagni. Ci sono giornate in cui non riusciamo a vendere neanche un cappellino da cinque euro. E’ triste. Ho due figli, uno lavora qui con me, l’altro si arrangia come può. ma con cinquecento euro di pensione non riesco a ripagare neanche le spese”. Per la signora Anna la “crisi” ha un inizio ben preciso, che non coincide con lo scandalo dei mutui subprime. “E’ da quando è entrato in vigore l’euro che la nostra attività è crollata. Il primo anno non ce ne siamo accorti, ma poi con il passare del tempo la situazione si è fatta sempre più chiara. La moneta unica è stata la nostra rovina”.
E la signora Anna non è l’unica a vivere nel ricordo di un passato ormai lontano. A fargli da eco infatti ci pensa un venditore di indumenti intimi che preferisce mantenere l’anonimato, ma non riesce a celare un forte accento partenopeo: “Beati gli anni ’70 – afferma sornione – ho preso manganellate in testa ma posso dire che qualcosa siamo stati in grado di costruire, oggi invece è tutto paralizzato, ed il sistema fa acqua da tutte le parti”.
E poi c’è chi i “gloriosi” anni ’70 non ha potuto viverli sulla propria pelle, ma soltanto nei racconti di genitori e parenti. Si tratta di Federico, ventisei anni, che dal 2007 gestisce un banco di abbigliamento casual insieme a Daniele, suo coetaneo. Dal lunedì al sabato lavorano a via Sannio, la domenica invece si spostano sull’altra riva del Tevere.
“Abbiamo iniziato in salita, e non ci siam più fermati – ammettono – è dura arrivare a fine mese, quando ci dice bene riusciamo a guadagnare seicento euro in due”. Aladino, un diciannovenne tunisino che parla un italiano impeccabile, di tanto in tanto li aiuta nei magri affari. “E’ difficile per gli italiani, figuriamoci per noi stranieri”, dice sospirando.
Entrambi hanno famiglia, e non ce la fanno ad andare avanti. Io li aiuto come posso, A pochi passi dalla signora Anna, e non troppo distante dal banco di Federico e Daniele, un folto numero di persone si riversa attorno a una bancarella. Adagiato su di una sedia c’è Mustafà, un egiziano che con il suo banchetto di ortaggi è ormai diventato una vera e propria star. Cappellino SPQR ben in vista, Mustafà apparentemente non fa altro che vendere attrezzi per cucinare. In realtà però si serve della sua innata comicità per improvvisare delle simpatiche, originali e quanto mai coinvolgenti lezioni di cucina che, in poco tempo, lo hanno portato alla ribalta nel web.
Sui social network infatti spopolano i video delle lezioni di questo chef sui generis. Su Youtube un filmato postato in rete ha totalizzato più di un milione di visualizzazioni. Con le sue live performances Mustafà si limita a mostrare le varietà in cui cucinare patate, carote e zucchine, distribuendo sorrisi a destra e a manca. E’ lui, oggi, il nuovo volto di Porta Portese in tempi di crisi.