Altro che fast food. Il cibo italiano richiede tempo. Tempo per coltivare e reperire le materie prime, per cucinare e per mangiare. E’ anche per questo che negli ultimi vent’anni la dieta italiana ha conquistato il pubblico internazionale, perché insieme al sapore porta con sé una tradizione affascinante, una filosofia, e una pratica, sostenibili, uno stile di vita salutare, e la cultura di un rituale di condivisione e convivialità. Del significato che sta acquisendo il cibo italiano nel mondo, in particolare negli Stati Uniti, e di come si è evoluto attraverso la storia e i confini tra culture, se ne è parlato il 6 e 7 marzo alla Montclair State University, nel New Jersey, nel corso di “Mangia Piano: The Internationalization of Italian Local Foodways”. L’evento, organizzato da Teresa Fiore, Inserra Chair in Italian and Italian American Studies, con la collaborazione del Coccia Institute for the Italian Experience in America e del Global Education Center, è stato un’occasione per ricontestualizzare il significato della nostra cucina, sfatarne i miti e scoprirne il valore attuale, attraverso gli interventi di esperti e professionisti del settore. Nel corso del primo dei due eventi, il 6 marzo, Donna Gabaccia, docente di Storia alla University of Minnesota ha proposto l’affascinante racconto del “viaggio del pomodoro” dall’America verso l’Europa del Sud in epoca coloniale e poi di nuovo verso l’America attraverso gli emigrati. La specialista di storia delle migrazioni, e della diaspora italiana in particolare, ha invitato a considerare la complessità che si nasconde dietro all’ingrediente “italiano” per eccellenza, mettendo in evidenza il fatto che prodotti, ricette e abitudini alimentari sono il risultato di scambi e movimenti di idee e persone attraverso i confini, anche se spesso vengono identificati come simboli nazionali. L’antropologa Cristina Grasseni dell’Università di Bergamo (ricercatrice a Harvard per il 2012) ha illustrato l’interessante apporto delle nuove reti di distribuzione, note in Italia come GAS (gruppi di acquisto solidale) che nel creare un rapporto immediato tra produttore e consumatore, aggirano i problemi legati alla grande distribuzione e favoriscono nuove forme di socializzazione, forse anche legate all’assenza di valori politici forti in questa fase storica.
La studiosa di pratiche alimentari Fabrizia Lanza ha invece sfatato i due miti tipicamente legati al cibo italiano: “Tutto ciò che è antico è buono” e “la dieta mediterranea”, invitandoci a riflettere con attenzione sull’invenzione tutta “estera” di questa dieta, e sulla necessità di coniugare con sapienza modernità e cibo sano senza rifugiarsi in delle tradizioni che di autentico hanno solo la nostalgia di un passato idealizzato. Il prof. Frassica dell’Università di Princeton ha chiuso la serata condividendo la sua esperienza di docente di corsi sul cibo italiano in chiave letteraria e storica, che comprendono anche visite presso aziende e laboratori alimentari in Italia e nel New Jersey.
Discutendo del successo della nostra cucina nel mondo, non si è potuto tralasciare il movimento "Slow Food", fondato nella metà degli anni Ottanta dal piemontese Carlo Petrini con l’idea di restituire al pasto la sua piacevolezza ed etica, alla faccia della frenesia della società moderna, e del cibo di cui non si conosce la composizione e provenienza. E’ con questo spirito che l’attivista locale Grace Grund ha presentato, e condiviso con il pubblico un menu biologico a base di prodotti a km 0, come i formaggi dell’azienda Cherry Grove di Lawrenceville, e la limonata di Joe Tea di Upper Montclair.
Il 7 marzo “Mangia Piano: The St. Joseph’s Tables in Sicilian Cuisine” si è spostato in cucina dove, sotto la guida della chef Fabrizia Lanza, gli studenti del Food Management Program della Montclair University hanno preparato popolari ricette della tradizione siciliana: dallo sfincione alla minestra di fave, passando per la caponata di melanzane e terminando con le “sfinci” di San Giuseppe, il dolce a base di pasta fritta e miele che viene servito il 19 marzo. Oltre che un’occasione per assaggiare le ricette siciliane, resa possible anche dalla generosità dei Supermercati Inserra e dei vini Fazio, l’incontro è stato spunto per una riflessione sul valore culturale del gesto di mangiare e di preparare il cibo.
Lanza, che gestisce nel cuore della Sicilia la scuola Anna Tasca Lanza, fondata da sua madre, ha infatti presentato il documentario, "Gli altari di San Giuseppe", un video spontaneo e autoprodotto, che accompagna lo spettatore dentro le case siciliane, a curiosare nelle cucine mentre le donne preparano, secondo la tradizione, le pietanze per allestire l’altare in onore del santo. L’altare, in realtà, non è altro che una tavola imbandita, che in un rituale di voto a San Giuseppe viene destinata a tre bambini poveri del paese (che simboleggiano Gesù, Giuseppe e Maria). Il filmato mette in risalto come sia la donna, e la sua sapienza, ad essere protagonista assoluta della festività, e come la cucina sia il luogo in cui la tradizione prende forma e si tramanda, pur evolvendosi nel tempo secondo le circostanze e le nuove abitudini. In effetti, il rito delle tavole di San Giuseppe è ancora vivo, seppure con le modifiche del caso, nella dimensione internazionale della diaspora italiana, e quindi anche nello stato del New Jersey dove risiede una numerosa comunità di origini siciliane.
Lanza è arrivata a adottare l’approccio culturale e antropologico alla pratica culinaria attraverso un percorso partito dalla storia dell’arte. Ha lasciato Palermo a 18 anni, per studiare arte in diverse città europee e ha diretto dei musei nel Veneto. Nel tempo ha iniziato a colla borare con la madre, che nel 1989 aveva fondato una scuola di cucina nell’azienda di famiglia, nella campagna siciliana, già nota per i vini Tasca d’Almerita. "Mia madre per venti anni si è rivolta solo a un pubblico americano", ha raccontato Lanza. "Era una donna affascinante, di buoni modi, ma a 50 anni in Italia sei una vecchia da buttare via, mentre qua mia madre ha ricevuto un’accoglienza straordinaria per quello che portava: la Sicilia, che di fatto era una cosa nuova, perché nessuno la conosceva tranne che per «Il Pa drino»", ha spiegato.
Lanza ha dato alla sua scuola un’impronta ancora maggiormente didattica: "Faccio due viaggi all’anno negli Stati Uniti, una volta nella East Coast e una volta nella West, in cui organizzo cene ed eventi nei ristoranti e tengo lezioni nelle università", ha raccontato. "Ho alunni inglesi, americani, australiani, brasiliani, alcuni indiani… e ci sono anche chef di fama mondiale, come Jamie Olivier, che hanno studiato da noi". Gli unici a cui non riesce a insegnare sono gli italiani, e, scherzando, ha spiegato la ragione: "E’ impossibile, sembrano convinti di sapere già tutto!"
Questo incontro di due giorni ha invece ricordato a tutti italiani e non che hanno partecipato quanto ci sia da sapere, da approfondire e anche da re-imparare sul cibo. “’Mangia Piano’ – ha concluso Teresa Fiore – ha voluto creare uno spazio di dialogo su produzione, distribuzione, consumo e anche invenzione del cibo, che da un lato, partendo dalla lezione italiana, ne ha dimostrato le radici e l’impatto internazionale e, dall’altro, fornendo prospettive critiche di natura storica, antropologico-politica ed esperienziale ha cercato di evitare la facile glorificazione del piatto italiano autentico”.
Per ulteriori informazioni, si veda: http:// www.montclair.edu/inserra/events/