Un bambino ucraino gira a torso nudo tra le macerie e raccoglie un pezzo di bomba. È uno dei testimoni di cui raccoglie il racconto Francesca Mannocchi, tra le migliori croniste di guerra della sua generazione, nel suo dolente Lirica Ucraina prodotto da Fandango e presentato alla Festa del Cinema di Roma. Un canto e un lamento, questo suo splendido film documentario di cui è autrice e regista, le cui uniche voci sono quelle dei sopravvissuti ucraini al massacro di Bucha, dove si è trovata, tra i primi, a soli due giorni dal massacro.
L’opera, scritta e montata con la collaborazione di Daniela Mustica, si avvale delle musiche originali di Jacopo Incani, il cui approccio richiama il celebre Koyaanisqatsi di Philip Glass. È un paesaggio sonoro che amplifica il dolore delle immagini, senza indulgere in narrazioni sovrapposte, ma lasciando che siano le voci stesse dei sopravvissuti a raccontare la loro verità. Mannocchi, scelta consapevole e forte, si priva della presenza fisica e della voce narrante, invitando gli spettatori a una vicinanza profonda e diretta con i protagonisti, senza alcun filtro giornalistico.
L’importanza di queste testimonianze è immensa. In un mondo distratto e abituato alla cronaca, Mannocchi ci ricorda quanto fondamentale sia ascoltare chi è rimasto, chi ha subito l’orrore e ha visto la propria vita cambiata per sempre. “La testimonianza è oggi, in Ucraina, la resistenza più faticosa”, dice la regista. Chi è sopravvissuto ha il dovere di ricordare, di diventare custode della memoria comune, affinché i crimini di guerra non vengano dimenticati”.
Una delle voci più potenti è quella di una donna di 86 anni che rievoca la sua infanzia sotto l’occupazione nazista: la sua vita è stata un cerchio di dolore, incorniciato dalla guerra. È impossibile non avvertire l’eco di Primo Levi, come una presenza costante che smaschera le nostre comodità: “Voi che vivete sicuri nelle vostre tiepide case”.

Lirica Ucraina non racconta solo l’orrore, ma anche la dignità di chi resta, di chi si aggrappa alla vita nonostante tutto. I campi di girasoli bruciati, i trattori sostituiti dai carri armati, e il grande cimitero che si allarga a dismisura accogliendo i corpi dei civili e dei militari. Una testimonianza collettiva che, tra pianti, silenzi e spari, ci parla dell’anima ferita ma indomita del popolo ucraino.
Come Mannocchi sottolinea, la verità di un conflitto si legge più nella pelle di chi è rimasto vivo che nei corpi che vengono estratti dalle macerie. E con questa consapevolezza, Lirica Ucraina diventa un monumento alla memoria, una resistenza contro l’oblio e la disinformazione.
Pur non prendendo parola durante il film, la cronista schiera il suo cuore al fianco del popolo invaso. Ha vissuto la guerra fin dal primo giorno, quando il 24 febbraio le bombe hanno svegliato il mondo intero. Oggi la sua voce è quella di chi riflette, non di chi racconta i fatti in presa diretta. E il film accompagna lo spettatore in un incontro con quelle vite “minuscole”, che però compongono il grande coro della Storia. Un coro di vinti, di umili, che riecheggia le parole dei grandi autori come Verga e Manzoni. Sono proprio le parole dei testimoni e dei sopravvissuti che scriveranno la Storia dei crimini di guerra di questa invasione.
Francesca Mannocchi non è certo nuova a questo tipo di esperienze. Giornalista e documentarista pluripremiata, ha raccontato conflitti in tutto il mondo, dalla Libia al Libano, dall’Iraq all’Ucraina, ma in Lirica Ucraina ci offre uno sguardo unico, vissuto da vicino. Il film è stato girato tra Bucha, Mykolaiv, Kyiv e Kharkiv, città simbolo della guerra, e la regista ci trascina tra i volti della gente comune, raccogliendo le piccole grandi storie di chi sopravvive ogni giorno.