Emma Dante con “Misericordia” porta alla Festa del Cinema di Roma una realtà squallida, intrisa di povertà, analfabetismo e provincialismo, esplora l’inferno di un degrado terribile, sempre di più ignorato dalla società. L’abbiamo intervistata.
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Misericordia è un film su una famiglia non tradizionale in cui c’è un ragazzino che nasce da una violenza e viene allevato da altre donne, che lo considerano figlio loro. Il film parla di questa condizione di disabilità, di marginalità, di violenza. Ma non è solo tragico, fa un tentativo di volo. È una radiografia di questa piccola comunità popolata di prostitute, sfruttate in maniera prepotente da questo capobranco che si chiama Polifemo. È una favola con della crudeltà e ferocia: si apre con un femminicidio da cui nasce questa creatura che non è né carne né pesce e che vive ai piedi di una montagna, ai margini della società.

Come “Le sorelle Macaluso”, anche “Misericordia” è tratto dall’omonimo spettacolo teatrale. Che cosa cambia nella trasposizione cinematografica? Tu hai dichiarato che rispetto al tuo teatro “nel cinema la tua voce artistica è più aggressiva”. Perché?
Era una dichiarazione contestualizzata, in realtà non è davvero così. Questi due film sono tratti da precedenti spettacoli teatrali, hanno dentro una grande tenerezza, la ferocia sta ne fatto che uno racconta la morte di una bambina e l’altro racconta una storia di disabilità, povertà, e marginalità. In questo caso è inevitabile che vi sia qualcosa di crudele.
Il tuo è sempre stato un cinema (teatro) forte, mai indifferente, anodino. Stavolta però il testo sembra quasi provocatorio, militante. “Provoco perché servono parole forti”, hai dichiarato. Quanto c’è qui della tua recente battaglia contro il patriarcato, esplosa dopo lo stupro di Palermo?
C’è sempre questo tentativo di provocare, perché secondo me il gesto artistico deve servire a un risveglio, a una presa di coscienza. Siccome ogni 24 ore c’è la morte di una donna per i pugni e i calci di un uomo, questo problema continua a non essere risolto; quindi è giusto segnalarlo nelle opere che si fanno. Le mie opere, sia al teatro che al cinema, hanno deciso di mettere al centro questo tema perché occorre non dimenticare.
“Misericordia” è un film “che fa male” come hai dichiarato tu stessa, che fa stare a disagio. Però il finale si apre a una luce di speranza, affidata anche qui, come ne Le sorelle Macaluso, a una canzone romantica e struggente. È così?