Potente, incisivo, coinvolgente. “Avant que les flammes ne s’eteignent” o “After the Fire”, seconda prova del regista Mehdi Fikri, è un film che obbliga lo spettatore a guardare in faccia la realtà del razzismo moderno, della disgrazia della discriminazione degli immigrati, della violenza della polizia e di gran parte della nostra società occidentale.
Ricorda il caso Cucchi, per chi vive in Italia, la storia che Fikri racconta, anche se lui alle violenze italiane non pensa, piuttosto ha in mente quelle contro gli abitanti delle banlieues francesi. Già “Les Miserables” aveva messo a fuoco quella violenza, questo film va oltre: racconta l’assassinio per mano della polizia di un giovane di 25 anni e la rivolta che ne segue. Il ragazzo viene fermato per un controllo mentre torna a casa con la sua ragazza, ha precedenti di piccola delinquenza e droga, lo massacrano di botte. I titoli di coda ci dicono che è una storia inventata, ma basata su tante effettivamente successe e ci mostra foto e immagini che lo testimoniano. Proprio la scorsa estate in Francia un ragazzo di 17 anni, Nahel Merzouk, è stato ucciso dalla polizia dopo un banale controllo stradale. Se non ci fosse stato un video a provare le responsabilità il caso sarebbe stato derubricato a incidente come sempre avviene in situazioni simili. La folla si è scatenata in proteste in molte città. Non accenniamo neppure ai casi di violenza contro i neri da parte della polizia bianca in America che hanno poi scatenato le rivolte di Black lives matter.

Già giornalista de L’Humanité Mehdi Fikri racconta senza sbavature la difficoltà di destreggiarsi nel labirinto della burocrazia della giustizia da parte della famiglia di origine araba che dopo lo smarrimento e il dolore iniziale decide di passare all’azione. “Quando lavoravo a L’Humanité , giornale di sinistra, mi occupavo di polizia e giudiziaria, e tutto ciò che riguardava i quartieri popolari” – spiega il regista.
E’ la sorella Malika (Camélia Jordana) a condurre la battaglia, più forte di tutti, mossa anche da un senso di colpa: proprio lei per farlo smettere di drogarsi lo aveva mandato via dalla casa di famiglia e lui, a smettere ci stava provando, per tornare con tutti gli altri e e riprendersi la sua vita. Malika quindi va a vedere il corpo di Karim, fa le foto dei lividi, chiede un indagine, scopre che il fratello è effettivamente morto per le botte e non per un attacco epilettico, come la polizia sosteneva. E a quel punto scatena la protesta della comunità in modo da fare divampare il caso prima che le fiamme si spengano, come dice il titolo.
Non è un caso che a portare avanti la lotta convincendo il resto ella famiglia sia proprio la sorella. “Gli uomini muoiono e le donne combattono – spiega Fikri – Ci tenevo a costruire un personaggio femminile eroico anche per contrastare gli stereotipi sugli arabi in Francia, compreso quello secondo cui è in atto una guerra tra i sessi con gli uomini che odiano le donne e le donne che pensano solo a scappare dalle famiglie… Volevo raccontare invece una storia di solidarietà”, conclude il regista.
Presentato al festival di Toronto prima di approdare in concorso al Festival di Roma, il film vede anche Sofiane Zermani, Sofian Khammes, Sonia Faidi, Samir Guesmi e Makita Samba fra gli interpreti.

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