“Io, noi e Gaber”, è il titolo che il regista Riccardo Milani ha scelto per il documentario dedicato a Giorgio Gaber: “Raccontarlo per me è stato soprattutto un modo per ringraziarlo per tutto quello che nei decenni mi ha dato e, soprattutto, ha dato a tutti noi”.
Proiezione speciale della diciottesima Festa del Cinema di Roma, il docufilm, promosso dalla Fondazione Gaber, è una cavalcata cronologica dedicata alla vita e all’opera di uno dei cantautori più originali del nostro Paese, un pensatore politico che con un umorismo fulminante ha fatto della satira uno strumento potente per una feroce critica sociale.
In viaggio tra Milano e Viareggio, Milani ricostruisce tutte le fasi della carriera artistica di Gaber. Dagli esordi nei locali di Milano come chitarrista jazz, al rock’n’roll, un colpo di fulmine che gli cambierà la vita.
I duetti con Mina già da soli rappresentano la storia del varietà popolare del nostro Paese attraverso le note di “Il Riccardo”, “Torpedo blu” e “La ballata del Cerruti”. Il mondo del piccolo schermo dal quale si allontana poi nel 1970 per abbracciare insieme all’amico Enzo Jannacci il teatro canzone. Testi infarciti di parole fastidiose che si aggrovigliano a monologhi capaci di provocare nello spettatore rabbia e ironia. Sul palcoscenico fa il suo ingresso il signor G, un uomo qualunque piccolo borghese, un uomo pieno di contraddizioni, di slanci ma anche di luoghi comuni. Lo spettatore in quel momento diventa una misura di riflessione sulla società.
A riascoltare certi suoi brani c’e da restare senza parole. Con “La liberta’” e “Ciao ti dirò”, Gaber smontava stereotipi, convenzioni e falsi moralismi che resistono ancora oggi. “Quando è moda è moda”, elenca tutte le manchevolezza di una sinistra che lo definiva un qualunquista.
Nel film, che dura oltre due ore e mezza ma vola via, c’è spazio per ritratti commossi e ricordi sussurrati. Dalla figlia Dalia Gabersick che ricorda il sorriso timido e la parte più tenera di chi ha scritti testi durissimi come “Io se fossi Dio, un’invettiva violenta contro la classe política, dopo l’assassinio di Aldo Moro, al nipote che lo definisce un grande musicista, “capace di creare melodie anche con l’elenco telefonico”.
E poi il paroliere Sandro Luporini, a cui Gaber chiede, dopo le iniziali delusioni del debutto nel teatro canzone, di collaborare alla creazione dei testi per i nuovi spettacoli, e personaggi come Jovanotti, Ivano Fossati, Gianni Moranti e tanti altri. Voci che ci ricordano come Gaber dopo essere stato abbandonato dalla critica per aver osato sfidare il pensiero comune, sia diventato un punto di riferimento per coloro che rifiutano ogni tipo di schieramento.
Milani tratteggia il percorso lungo e travagliato di Gaber, la sua vicinanza ai Movimenti del ’68 e il coraggio di distanziarsene, criticandolo con ironia per un un cambiamento che era solo una farsa. Lo raccontano bene i versi “La mia generazione ha perso”, ultimo suo album in vita pubblicato nel 2001, un testamento di ideali falliti
In “Io, noi e Gaber”, Riccardo Milani racconta tanti Gaber, e con “loro tre decenni di parole e musica che hanno raccontato il compromesso e il ridicolo nel quale anche oggi galleggiamo beatamente.