Quarta generazione della leggendaria genia Huston (bisnonno Walter, nonno John, padre Tony e zii Danny e Anjelica), a 40 anni Jack Huston fa il suo debutto alla regia con un film degno del suo nome. In bianco e nero, ispirato al breve documentario Day of the Fight di Stanley Kubrick del 1951, il film, presentato nella sezione Orizzonti Extra a Venezia, segue una giornata nella vita dell’ex campione di peso medio boxing l’irlandese Mickey (Michael Pitt), che torna sul ring per la prima volta da dieci anni per un attesissimo match. Al bravissimo Pitt si affiancano in brevi ma importanti ruoli Steve Buscemi e Joe Pesci. Una giornata, ambientata a New York nel 1989, in cui Mickey viene a patti con tutta la sua vita: i ricordi del padre violento, l’adorata madre suicida, la moglie che lo aveva allontanato per la sua costante rabbia e alcolismo, la figlia tredicenne vista solo in brevi struggenti saluti dall’altra parte della strada, gli anni di prigione e l’aneurisma che lo aveva costretto a lasciare la boxe. Un film sulla boxe che non ha la boxe al suo centro (il breve incontro alla fine della giornata e’ visto solo brevemente), un film sulla redenzione, gli errori del passato, il bisogno di dare un significato alla propria vita. Uno dei migliori debutti alla regia degli ultimi anni. Ne abbiamo parlato con Jack Huston al Lido, in una delle salette del Casino di Venezia, il giorno successivo della prima del film, in cui era accompagnato dall’attrice Colleen Camp (Apocalypse Now), produttrice del film.
Jack, perché questa storia per il suo debutto alla regia?
Ho scritto questo copione in dieci giorni, dieci pagine al giorno: avevo in mente un’idea chiarissima di come avrei voluto fosse il film, ma come sempre quando prendi carta e penna succedono delle cose incredibili, personaggi escono e entrano dalla tua immaginazione, momenti bellissimi che sorprendevano me stesso. E cosi’ appena finito ho sentito che non avrei voluto affidarlo a nessun altro, perché vedevo scorrere davanti ai miei occhi ogni ripresa, ogni location, ogni movimento della cinepresa. I ricordi per esempio, sapevo come li volevo vedere, e cioè non come flashback, ma come frammenti di ricordi, senza un inizio ne’ una fine, che svanivano ancora prima che ti rendessi conto di cosa fossero. E’ quello che volevo fosse questa giornata, un viaggio attraverso il suo presente e attraverso il suo passato. Dovevo farlo io, altrimenti qualcun altro non lo avrebbe fatto nel modo giusto!

Lei ha citato il corto di Stanley Kubrick come ispirazione al suo film.. ci pensava da tempo?
No. L’idea mi era venuta mentre facevo Boardwalk (Empire, la serie tv in cui Jack Huston recitava con Michael Pitt, ndr): Michael prendeva a pugni una sacca da boxing e ho pensato, sembra proprio un boxer! Aveva una mentalità da combattente, ma allo stesso tempo era forte e vulnerabile, come un bambino. Non e’ facile trovare quella qualità in una persona. Poi ho visto Day of the Fight, il documentario del 1951 di Kubrick su Walter Cartier, un giorno nella vita di un boxer: va a trovare il suo gemello, fa colazione, va in chiesa, e la sera al Madison Square Garden per un combattimento. Un film di 20 minuti, venduto per 1000 dollari a un distributore.. e cosi’ ho pensato: e se questa non fosse una giornata qualsiasi, ma “la” giornata piu’ importante nella vita di un boxer? Non il combattimento, ma tutto quello che succede prima.. e se questo fosse il suo ultimo giorno di vita?
Lei era molto giovane quando suo nonno John Huston e’ morto. Ha ricordi di lui? Cosa ha imparato di lui attraverso i suoi film e i ricordi della famiglia?
Sono incredibilmente fortunato perché e’ un gigante. Tutti avevano una storia su mio nonno, ogni membro della mia famiglia. Purtroppo avevo solo cinque anni quando è morto. Anzi a quanto pare una volta l’ho quasi ammazzato perché la sua infermiera mi aveva lasciato solo con lui, io avevo quattro anni, ho staccato la spina della sua bombola d’ossigeno e lui non poteva respirare! L’infermiera e’ tornata in tempo per fortuna! Sarebbe stata una storia interessante, penso! (ride), Ma sono cresciuto con i suoi film e intorno a gente che amavo e mi ha ispirato e mi ha spinto ad essere tutto quello che potevo. Amo molto il cinema, i miei primi ricordi sono tanti film e l’emozione nel vederli. Chaplin, Buster Keaton, Fred Astaire e Ginger Rogers: fin da ragazzino il cinema mi ha conquistato. Magia, favola, non mi ha mai deluso. E se la mia missione nella vita fosse fare qualcosa che lasci un’impressione come quei film l’hanno lasciata su di me, ne sarei felice.
Ora anche suo figlio Cyprus segue le sue orme?
Chissà, però è vero che dobbiamo avere qualcosa nel nostro DNA. Cyprus recita il giovane Mike in questo film, ed e’ la quinta generazione di Huston sullo schermo… credo che abbiamo battuto ogni record. Ed era totalmente a suo agio.. gli avevo dato delle semplici istruzioni: guarda da questa parte, poi quando senti che i tuoi genitori litigano guarda dall’altra parte, prendi un biscotto, poi vieni qui e siediti. .. e lui ha fatto tutto esattamente come gli avevo spiegato al primo ciak! Inutile a dirsi, piangevo come un agnellino, mi sono proprio commosso!
Perché secondo lei la boxe continua ad affascinare, sullo schermo e fuori?
Uno dei miei primi amori al cinema e’ stato Sul Fronte del porto. E Marlon Brando. Quello non e’ un film sulla boxe, ma è un film su un boxer. Il mio non è un film sulla boxe, è su un boxer, è una storia umana. Penso ci sia qualcosa di affascinante su qualcuno che sceglie come professione una che sfrutta le mani. C’è qualcosa di cosi’ basico e semplice di questo modo di affrontare la vita. Siamo io e te e chi molla per primo. Devi avere una qualità infantile, come dicevo prima, che e’ una cosa molto bella. Il modo in cui parlano, in cui ti guardano negli occhi. Per me e’ un complimento. Nel mio film avrei anche potuto saltare del tutto il combattimento nel film, avrei potuto vederlo salire sul ring e uscire alla fine. E per un momento sembrava questa la soluzione anche per mancanza di budget. Alla fine l’abbiamo filmato, in un giorno e mezzo, e non era coreografato, e’ diventato poetico, erano Mike e Cameron uno di fronte all’altro, autentico. Ne sono estremamente fiero.