“E il Premio Speciale va a………… Khers Nist (Gli orsi non esistono)!”, ha pronunciato Julianne Moore, presidente della giuria per l’assegnazione del Leone d’Oro a Venezia ’79.
Il film in concorso era giunto come un dulcis in fundo proiettato nel penultimo giorno della mostra del film di Venezia ‘79. E la visione del nuovo lavoro di Jafar Panahi non ha deluso le aspettative. Un regista, Panahi, che ha da sempre fatto del proprio lavoro filmistico uno strumento di denuncia e impegno politico, una scelta che ha pagato con anni di persecuzioni politica e prigionia. In questo suo ultimo film, qui a Venezia, Panahi ci introduce dentro due storie parallele che nel corso del film si svolgono in contesti differenti ma che in realtà alludono alla stessa problematica.
Il principale interprete del film è lo stesso regista Jafar Panahi, che filma la sua vita all’interno della comunità mentre dirige da questo remoto villaggio un film-doc sul tentativo reale di fuga dalla Turchia di una coppia iraniana. Zara (Mina Kavani ) e suo marito Bakhtian (Bakhtiar Panei) entrambi perseguitati e torturati dentro le prigioni iraniane, dopo dieci anni di esilio in Turchia hanno ottenuto il passaporto per Zara per raggiungere l’occidente .
Dopo averci introdotti nella storia di Zara per pochi minuti il regista volta repentinamente la cinepresa sulla realtà di una piccola comunità di un villaggio di confine, lontano dalle grandi citta. La differenza fra le due realtà è sintetizzata dalla frase dello sceriffo del villaggio (Naser Hashemi): “Nelle grandi citta lo scontro è con il potere, nelle piccole comunità lo scontro è con le tradizioni e superstizioni”, nel tentativo di dare un avvertimento all’urbanizzato regista Jafar Panahi. Le regole con cui il regista deve adattarsi sono regole dettate dalla superstizione, tradizione e religione: è cosi che si decidono i diritti dell’essere umano, dove il percorso della vita di ciascuno viene deciso al momento della nascita dagli adulti a cui si appartiene.
Il sistema di controllo del rispetto delle regole così definite, viene regolato da un sistema di spionaggio diffuso in modo capillare e pervasivo. Per chi osa allontanarsi dal rispetto di certe regole la tradizione vuole, inoltre, che ci siano sempre orsi in agguato. Come se il potere acquisti per i cittadini della comunità, dove vige l’ analfabetismo, la rappresentazione animistica dell’orso. Con questi pochi e semplici elementi il regista riesce a delinearci l’essenza e la drammaticità dei sistemi autoritari e dittatoriali.
“Qui non si risolvono le cose con le parole”, ammonisce un uomo della comunità per bloccare le spiegazioni razionali con cui Panahi cerca di trovare una soluzione alla problematica che si è venuta a creare nel villaggio per la contesa di una ragazza fra due contendenti.
Mentre per i due emigrati in Turchia la problematica è rappresentata dalla ricerca del passaporto per il marito di Zara, nel villaggio la problematica si sviluppa introno al possesso di una ragazza : la credenza popolare, la tradizione vogliono che la ragazza sposi l’uomo che le è stato destinato dal momento del taglio del cordone ombelicale alla nascita. Che costi può comportare l’ allontanarsi da quanto prescritto, sia sulla scelta del matrimonio sia sulla scelta del si scegli di vivere ? Al temine del film le due storie parallele tragicamente si incontrano. Ma “l’Orso non esiste “ sottolinea il regista sin dal titolo del film, come a voler segnalare che il suo vuole essere un lavoro con una funzione educativa per coloro che dentro le tenaglie del potere sono intrappolati.
L’unica standing ovation della serata della premiazione dei premi del la mostra del cinema di Venezia è stata dedicata alla premiazione di Khers Nist (Gli orsi non esistono). Un tributo particolare riservato a Jafar Panahi nella Sala Grande qui al Lido di Venezia per dimostrare senso di solidarietà verso un grande artista la cui assenza, dovuta allo stato di prigionia in Iran, marca ancor una volta un oltraggio all’ arte e una inosservanza dei diritti umani. Con questo suo ultimo lavoro, Panahi conferma l’alta qualità della sua regia.
Sarebbe troppo lungo elencare i premi che Jafar Panahi è riuscito ad aggiudicarsi, ne elenchiamo solo i principali. Aveva cominciato ad appassionare il pubblico internazionale già nel 1995 vincendo con il uso primo lungometraggio Badkonade Sefid (1995) il premio Camera d’Oro al festival di Cannes. Ottiene il Leone d’ Oro alla Mostra di Venezia nel 2000 con Dayereh. Mentre con Taxi Teheran ( 2015) ha vinto a Berlino L’ Orso d’Oro. Al festival di Berlino con Parde (2013) si aggiudica l’ Orso d’Argento per la sceneggiatura e nel 2018 con Se Rokh Cannes lo ha premiato per la migliore sceneggiatura e registica .
E ora va aggiunto il Premio Speciale della Mostra di Venezia ’79. Ma più la sua fama ha conquistato palcoscenici internazionali più il regista è sottoposto a forme di repressione e persecuzione politica. Il suo Leone d’Oro se lo possiamo idealmente attribuire al suo coraggio e tenacia alla sua tenacia.