Trovandomi alla Mostra del Cinema a Venezia, sono stata attratta dal titolo del film fuori concorso Master Gardener di Paul Schrader: per intenderci, il regista di American Gigolò e lo sceneggiatore di Taxi Driver. All’inizio del film già lo applaudono. Sala Darsena piena.
Fiori bellissimi che sbocciano e il giardiniere Narvel Roth ogni sera appunta sul suo diario come ogni fiore dell’Imperial garden, che spiega essere un English garden, si comporta. Scrive: “Fare giardinaggio è credere nel futuro. Il cambiamento avverrà a tempo debito”. Lui, l’enigmatico attore australiano Joel Edgerton, lavora per l’altera e ricca miss Haverhill, ossia Sigourney Weaver, e sembra una persona posata e ligia, proprio innamorata del suo lavoro. Il giardino è perfettamente curato, ma a poco a poco si scopre che tutto è a posto fuori, ma niente in ordine dentro, cioè nell’animo delle persone che ci vivono.
Esse hanno bisogno del giardino per sentirsi esseri umani a posto. Ma la loro coscienza non lo è. Lei lo tratta in modo distaccato, da datore di lavoro, ma lo chiama “Sweetie”. Un giorno dopocena gli ordina di salire e andare a letto con lui, si capisce che è una consuetudine. Il corpo del master gardener è completamente coperto da svastiche e teschi, simbologia nazista. Dei flash back riportano alla sua attività precedente: era un killer e ha ucciso 9 persone. Poi ha collaborato con la polizia e ha dovuto cambiare identità e non avere più rapporti con la moglie e la figlioletta.
Mi viene in mente la canzone dei Giganti Mettete dei fiori nei vostri cannoni (metà anni ’60, periodo hippy). In effetti il regista ci dà la metafora del cambiamento: dedicandosi alla cura ordinata delle piante che porta allo sbocciare dei fiori si può ottenere la redenzione. Nerval ne è convinto, ma l’arrivo alla villa della nipote di miss Haverhill porterà un cambiamento non previsto dal master e non desiderato dalla signora. Alla fine Nerval con la sua forza di volontà e il suo amore imporrà il cambiamento in Maya, per il suo bene, e riuscirà a mettere tutto a posto, perfino miss Haverhill. La vera perdente di questa storia a lieto fine.
Schrader cerca di insegnare che il denaro non compra tutto e, sebbene permetta di comprare il miglior concime come sostiene la signora, fiori così belli non sboccerebbero senza l’amore, la dedizione e la cura. Ma si tratta di un insegnamento un po’ retrò, per non usare l’aggettivo vecchio, di certo passato di moda, perché orami siamo convinti che il denaro possa far nascere amore, bambini, lavoro; insomma ci possa dare ogni cosa. Poi ci meravigliamo se non veniamo amati, se non riusciamo ad avere un bambino, se non siamo apprezzati nel lavoro. Soldi e amore dovrebbero stare ben separati almeno nel periodo in cui l’amore sboccia, perché ha più bisogno di essere annaffiato che foraggiato economicamente. E la cura deve essere costante, perché ogni amato è un giardino da coltivare.