Pochi giorni fa, il 26 giugno di questo sciagurato 2021 è spirato, nella sua Montichiello, Andrea Cresti, il geniale regista e Dramaturg del Teatro Povero di Montichiello. Aveva 83 anni.
Come forse non tutti sanno, a Montichiello, bellissimo borgo medievale sperduto fra le colline della bassa Val d’Orcia, da ormai più di cinquant’anni, ha luogo uno spettacolo diventato non solo appuntamento fisso per senesi e turisti, ma anche capace di richiamare l’interesse di critici di teatro oltre che di sociologi. O anche di storici, per i quali è stato ovvio andare in caccia di precedenti nell’ambito di quello che si è convenuto definire “teatro popolare”, sulla scorta dei classici studi di Alessandro D’Ancona (1891) e di Paolo Toschi (1955). Dai quali è stato possibile ricavare un gran numero di forme più o meno decisamente spettacolari – dove con il termine “spettacolari” intendo riferirmi a quelle manifestazioni che prevedono la separazione fra attori e pubblico, particolarmente numerose in ambito toscano : si possono ricordare i maggi, i bruscelli, le befanate, come i mariazi i contrasti e le moresche.
Ma bisogna anzitutto ricordare che, se non tutte, certo la maggior parte di queste manifestazioni sono legate a specifiche ricorrenze o occasioni festive spesso determinate dal ciclo stagionale. Sarebbe palesemente insensato andare in cerca delle ‘origini’ di tali manifestazioni, anche se attualmente sono tenute in vita e spesso gestite dalle istituzioni civili o religiose. Al contrario, sappiamo esattamente la data in cui nacque il Teatro Povero di Montichiello.
Nei primi giorni del 1967 Mario Guidotti persuase gli abitanti di Montichiello a improvvisarsi attori per recitare un dramma ‘storico’ da lui scritto: Giovanni Colombini il mercante pazzo, che sarebbe stato rappresentato nella piazza del paese il 15 luglio successivo. è questo l’atto di nascita del Teatro povero.
Mario Guidotti non era un qualunque amante del teatro: capo ufficio stampa della Camera dei deputati, da qualche anno era impegnato nella conservazione e nella valorizzazione del patrimonio storico-artistico della Toscana e nel tentativo di ripopolarne i borghi, giustamente convinto che il teatro potesse essere lo strumento più adatto a rinsaldare i vincoli della comunità prima che a metterne in luce le problematiche. Comunque, Guidotti non fu soltanto il fondatore del Teatro Povero: ne fu anche il primo regista e il primo autore – anzi, il solo autore, poiché i successivi testi furono tutti composti dagli attori stessi.
Gli successe Arnaldo Della Giovampaola che quindi esercitò soltanto le funzioni di regista. Il che, a dir la verità, non è poca cosa: in Italia le compagnie del teatro di prosa sono generalmente formate da, al massimo, quattro o cinque attori – soltanto l’opera lirica o, più raramente, qualche teatro stabile possono permettersi spettacoli che contemplino la presenza di molti attori e, magari, di un certo numero di ‘comparse’. In questo senso il Teatro Povero costituisce un’eclatante eccezione: esso è, per definizione, un teatro ‘corale’.
Nell’introdurre questo articolo con la notizia della morte di Andrea Cresti, non ho esitato a rifermi a lui qualificandolo con un aggettivo forte: “geniale”. Per comprendere in cosa possa consistere tale genialità, basterà forse leggere l’articolo dedicato al suo ultimo spettacolo, Valzer di Mezzanotte, 2018, o, più in generale, riflettere sul perfetto equilibrio che, in tutti i suoi spettacoli, si instaurava fra i momenti più intensamente corali e l’emergere di un singolo attore, forse particolarmente dotato – si ricordi che, comunque, si trattava di ‘dilettanti’.
Assumendo, se non mi sbaglio nel 1989, il ruolo di regista degli spettacoli di Montichiello, e quindi di guida, per quanto aperta a ogni suggerimento, dell’intera attività del teatro (da tempo strutturato in forma di cooperativa), Andrea Cresti si inseriva in una tradizione sociale e artistica ampiamente consolidata, che si trattava di innovare senza sovvertire, badando anzitutto a che i temi affrontati nella drammaturgia degli spettacoli si mantenessero legati agli interessi specifici della comunità, pur aprendosi a motivi politici e sociologici di carattere più generale e, dandosi il caso, addirittura universale; mentre, dal punto di vista più squisitamente teatrale bisognava, come accennato, che la solidità dell’impianto registico non comprimesse l’autonomia creativa dei singoli attori. In un certo senso, potremmo dire che il teatro di Cresti si avvicinava e un po’ si ispirava a quello, fortemente innovativo, se non addirittura sovversivo di Jerzy Grotowski e di Eugenio Barba (e vale la pena di ricordare, come del resto già segnalato da altri, che il nome stesso di Teatro Povero pare riferito al titolo del libro che Grotowki e Barba pubblicarono, nel 1968: Towards a poor theatre, due anni dopo tradotto in italiano, su iniziativa di Ferruccio Marotti, per Bulzoni come Per un teatro povero: non so infatti se già Mario Guidotti abbia utilizzato tale nome).
Gli ultimi tre anni di vita di Andrea Cresti sono stati segnati da una profonda tristezza: giusto un anno prima del momento in cui egli aveva deciso di ritirarsi, Andrea fu violentemente estromesso da suo ruolo di regista e di leader – certo per una misera vendetta. Ora, quegli stessi che hanno voluto o permesso tale offesa preparano una giornata che ne celebri la memoria. Benissimo. Io però avrei un’altra proposta. Andrea Cresti, oltre a essere, come abbiamo visto, un grande regista, era anche un eccellente pittore. La sua grande e bella casa che si apre sulla piazza principale di Montichiello (piazza San Martino), è stracolma di quadri di diverse misure e dipinti con le più diverse tecniche. A quanto mi risulta, ne è stata fatta soltanto una esposizione, e in tempi già lontani. Tra le tante abilità che possedeva, Andrea non brillava certo nella capacità di autopromozione. Allora il Comune di Pienza, da cui Montichiello dipende, potrebbe trasformare questa casa in un museo, allestendovi un ragionevole percorso, che poterebbe concludersi con la proiezione su grande schermo della registrazione di uno spettacolo da lui diretto. Certamente tale Museo, se debitamente segnalato, aggiungerebbe lustro al paese e richiamerebbe turisti anche in stagioni diverse da quelle degli spettacoli. Ma, soprattutto, sarebbe il modo migliore per conservare la memoria di Andrea Cresti. E per onorarla.