New York, la città archetipo di tutte le storie, la rappresentazione del teatro-mondo in cui tutto avviene e tutto si consuma, almeno nell’immaginario dell’uomo spettatore di se stesso del XXI secolo. La metropoli multiculturale cui tutti sentiamo di appartenere, che in questi mesi la pandemia ha messo alle corde e che tutti vorremmo salvare come una parte importante di noi.

Il Covid 19 ha segnato in profondità la vita della Grande Mela: è di questi giorni la notizia – ampiamente trattata da La Voce – che perfino la 94esima edizione della parata del 26 novembre di Macy’s si svolgerà senza pubblico e sarà visibile solo in tv. Se il coronavirus è riuscito a stravolgere una delle tradizioni più vissute e sentite come il giorno del Ringraziamento, anche al di qua dell’Atlantico, in Italia, appare del tutto evidente quanto sia stata portata allo scoperto la fragilità di questa città così amata. I telegiornali trasmettono quasi ogni giorno lo spettacolo impressionante, certamente più inconsueto a New York che nelle nostre città, delle grandi strade deserte, percorse soltanto da ambulanze, delle scuole e dei locali chiusi, dello sgomento impresso nello sguardo delle poche persone in giro.
Nelle visioni sempre più domestiche di questo 2020 marchiato dalla pandemia mondiale, una serie televisiva ci ha colpito più delle altre, forse perché ci ha fatto amare ancora di più la New York che tutti conosciamo anche senza esserci mai stati: stiamo parlando di “The Deuce. La via del porno”, prodotta e distribuita dalla HBO, trasmessa in Italia da Sky Atlantic e tuttora disponibile sulle rispettive piattaforme.

L’ambientazione urbana di New York non è uno sfondo casuale, ma una vera e propria protagonista. La storia di “The Deuce” inizia quasi mezzo secolo fa, negli anni ’70, quando con questo nome (che significa letteralmente “il diavolo”) era conosciuto il quartiere della 42a strada (vicino Times Square) che rappresentava una specie di zona franca del sesso. Da queste parti era proprio la mercificazione del sesso a muovere situazioni e persone: il panorama quotidiano, prevalentemente notturno, di The Deuce era fatto di prostitute navigate, la cui routine prevedeva sempre e soltanto amore a pagamento, di papponi afroamericani che le trattavano ora come amiche-fidanzate, ora come mercanzia priva di identità, di ingenue ragazze provenienti dalla provincia più remota, approdate in città cariche di illusioni e in breve tempo trasformate in opache figure senza età e senza speranza.
The Deuce si dipana in tre stagioni, che narrano le diverse fasi attraversate dal quartiere e dal mondo del sesso che vi fa perno: la prima (1972) totalmente immersa nell’“occupazione dei marciapiedi”, la seconda (dal 1978) rinnovata dal boom del cinema porno, la terza, che si apre con il capodanno del 1985, segnata dalla “riqualificazione” del quartiere volta a spegnere, oltre al mortificante traffico di carne umana, anche ogni spirito libero e non omologato.

Gli sceneggiatori David Simon e George Pelecanos descrivono storie e protagonisti credibili, di complessa personalità. Su tutti Vincent Martino, che cerca di tenersi fuori dal degrado e dalla sporcizia morale di The Deuce e che ambisce a gestire un locale – l’Hi-Hat – in cui poter essere barman amato e rispettato, e Eileen-Candy, donna orgogliosa e indipendente che scoprirà una possibile emancipazione dalla prostituzione attraverso il ruolo di regista di film hard-core.
Su queste due figure chiave (interpretate magistralmente da James Franco e Maggie Gyllenhaal) si innestano altri volti e altri personaggi, tutti dotati di un non banale spessore psicologico e trattati con una sensibilità descrittiva che enfatizza la partecipazione empatica dello spettatore. Come Lori (Emily Meade, anche lei capace di una prova attoriale degna di nota), sprovveduta e fragile belloccia che dopo i primi anni di “vita” diventa un nome nel giro del porno, fino ad affermarsi – a carissimo prezzo – come star nel settore della porno-cinematografia; come Paul (Chris Coy), che percorre (e precorre) la via dell’orgoglio gay catalizzando amicizie disinibite e dando vita a locali raffinati, fino a precipitare nell’incubo dell’AIDS; o come l’affascinante Abby (Margarita Levieva), ex studentessa alla ricerca del suo ubi consistam, prima barista per Vincent e poi sua tormentata compagna.

Il vero fulcro di The Deuce è la vita di Vincent, piena di appagamento, ma anche di difficoltà e contraddizioni. Al suo fianco Vincent ha il fratello gemello Frankie (sempre James Franco, che si sdoppia in un secondo ruolo), che è il suo alter ego sbruffone e irresponsabile. Una vera mina vagante, Frankie, che divide la sua esistenza fra gioco d’azzardo, disinvolta conduzione di bordelli e peep-show, produzione di cinema a luci rosse e spaccio in combutta con pericolosi mafiosi italo-americani.
Dato il tema della serie, si potrebbe pensare a un prodotto scabroso, pieno di situazioni pruriginose e di inquadrature ammiccanti. Niente di tutto questo. Pur ispirato da un leit motiv gravoso (la prostituzione e i suoi baratri), The Deuce è una storia straziante di vocazioni e di delitti, di crimini sentimentali insufflati dalle droghe e dall’aids, dell’abisso senza fondo della mercificazione sessuale, ma in realtà narra del bruciarsi della giovinezza e finisce con l’essere un malinconico inno all’amicizia e all’anelito di libertà che continuano a fiorire nel sudiciume del quotidiano. Lo sfondo è quello di una New York in piena trasformazione socio-culturale, mai come qui vista come cuore pulsante della contraddittoria realtà del sogno americano.

La cifra narrativa della serie racconta di incontri e di sfaccettati rapporti interpersonali, ma soprattutto riesce nel non facile compito di sintetizzare la valenza chimica che può unire le persone ad ogni latitudine. Tutte storie fuori dall’ordinario, certamente, ma che incarnano intensamente il nostro bisogno di evasione, reso bruciante dai ripetuti lockdown che ci imprigionano a casa. Vicende universali che ci parlano di una semplice voglia di normalità, dell’agognato ritorno alla facoltà di incontrare persone, di condividere spazi, di comunicare sentimenti. In definitiva, The Deuce è una accorata riflessione sul trascorrere del tempo e sui valori dell’amicizia e della libertà, che tanto bene rappresentano New York.