Si concede di tutto, cinematograficamente parlando, Thomas Sean Connery, scozzese di Fountainbridge, classe 1930 (25 agosto, a essere esatti). E infatti: dal primo (non accreditato), del 1954, “Le armi del re” (“Lilacs in the Spring”), al piccolo ruolo nel corale “Il giorno più lungo” (“The Longest Day”); sette film nei quali interpreta James Bond, l’agente segreto di Sua Graziosa Maestà Britannica 007: “Licenza di uccidere” (“Dr.No”); “Dalla Russia con amore” (“From Russia with Love”); “Missione Goldfinger” (“Goldfinger”); “Operazione tuono” (“Thunderball”); “You Only Live Twice” (“Si vive solo due volte”); “Una cascata di diamanti” (“Diamonds Are Forever”). Poi, una lunga parentesi, altri 007 più o meno fortunati; e si concede il lusso di un ritorno: e trionfa con “Mai dire mai” (“Never Say Never Again”). E’ il 1983 quando esce questo film, quasi in contemporanea con un altro Bond, interpretato da Roger Moore: “Operazione piovra” (“Octopussy”). Moore è un Bond più che dignitoso; gli incassi sono quasi pari, con una leggera prevalenza di “Octopussy”, ma i puristi danno comunque per vincitore della sfida Connery.
Lavora con grandi registi: Alfred Hitchcock (“Marnie”); Sidney Lumet (“La collina del disonore”, “The Hill”); Vittorio De Sica (“Una splendida canaglia”); John Milius (“Il vento e il leone”, “The Wind and the Lion”); John Huston (“L’uomo che volle farsi re”, “The Man Who Would Be King”); Richard Lester (“Robin e Marian”); Jean-Jacques Annaud (“Il nome della rosa”); Brian De Palma (“Gli intoccabili”, “The Untouchables”); Steven Spielberg (“Indiana Jones e l’ultima crociata”, “Indiana Jones and the Last Crusade”); Michael Bay (“The Rock”); ma si è anche concesso polpettoni indigeribili, come un western con Brigitte Bardot (“Shalako”); oppure il fantascientifico “Zardoz”; “Meteor”, “Cuba”, “Mato grosso”, “Entrapment”, che si giustificano solo con l’importo degli assegni versati dalle produzioni per avere il suo nome. L’ultimo film, del 2003, è “La leggenda degli uomini straordinari”, “The League of Extraordinary Gentlemen”: una splendida, orribile, intrigante boiata, un minestrone dove si vede una squadra di “buoni”, composta da Allan Quatermain, il Capitano Nemo, l’uomo invisibile, Dorian Gray, Tom Sawyer, la vampira Mina, il dottor Jekyll, contro un insospettabile cattivo…
Si può prendere, come stella polare della grande produzione conneriana, “Caccia a Ottobre Rosso”, “The Hunt for Red October”, del 1990 del regista John McTiernan, tratto dal romanzo “La grande fuga dell’Ottobre Rosso” di Tom Clancy, ispirato dall’ammutinamento del sommergibile sovietico “Storozevoj”, nel 1975.
In questo film Connery “regala” ai suoi estimatori una interpretazione imponente, superba, in piena forma. E’ uno di quei film che chi ama il cinema non può perdere. Al di là della storia, che è pure avvincente; al di là della regia, che è impeccabile; al di là degli effetti e degli scenari, che sono curatissimi, il film è Sean Connery: al pari di un buon whisky invecchiato di quella Scozia dov’è nato, più il tempo passa, più è bravo, eccelle, primeggia.
In trent’anni di lavoro Connery interpreta oltre cinquanta film: dai 16.500 dollari guadagnati con “Licenza di uccidere” (del 1962, il primo della serie James Bond), ai mega cachet degli ultimi film. Con qualche simpatica stravaganza: “Banditi del tempo”, di Terry Gilliam lo interpreta per “divertimento” e amicizia, in cambio di una cifra irrisoria. Con una punta di studiata noncuranza, dice a Eugene Robinson, della “Washington Post”: “Trent’anni fa mi recai a una cerimonia degli Oscar, insieme a John Wayne e Maurice Chevalier, così, tanto per curiosità. Da allora non ci sono più andato, fino alla sera con cui ho vinto con Gli intoccabili”. Nato in una casa di due stanze al numero 176 di Fountainbridge Street, padre camionista, madre cameriera, Connery da giovane fa di tutto e di più: marinaio, carbonaio, bagnino, modello, verniciatore di bare, anche culturista in lizza per Mr. Universo. Ha fama di tirchio, o quantomeno di molto attento e sensibile al denaro: “Sono scozzese, voglio sempre sapere come spendo i miei soldi”, confessa.
Nel 2008 pubblica un’autobiografia dal titolo semplice, che spiega tutto: “Being a Scot”. Scozzese purosangue, porta tatuata sull’avambraccio la scritta “Scotland Forever”. Quando viene ingaggiato per il ruolo di 007, Ian Fleming, l’autore della saga, dice che no, non è l’attore adatto. Per fortuna non gli hanno dato retta. Sconfigge un tumore alla gola che gli rende più roca e inconfondibile la voce. Da tempo malato, nessun copione interessante, cachet richiesti troppo elevati anche per cammei, così si ritira, dopo anni trascorsi a Marbella in Spagna, nella principesca tenuta di Nassau, alle Bahamas, con la seconda moglie Micheline Roquebrune, a giocare a golf e tennis.

Uno dei suoi film più belli è “L’uomo che volle farsi re”, del 1975, ispirato da un romanzo di Rudyard Kipling.
Per Connery più di altri, vale il detto: “Alcuni attori invecchiano, altri maturano”. A differenza di tanti suoi colleghi, non ha mai fatto ricorso alla chirurgia plastica, accetta i segni dell’età; già negli anni Sessanta, tra uno 007 e l’altro, si concede il lusso di fare a meno del parrucchino, non nasconde una discreta pancia, si lascia crescere un vistoso paio di baffi. Accade anche che nel 1999, a un passo dai 70 anni, “People” lo incorona “Sexiest Man of the Century”, l’uomo più sexy del secolo. Le sue ammiratrici, si dicono affascinate dal suo metro e 88 di altezza, dallo sguardo magnetico e beffardo, le spalle larghe, il petto irsuto, il portamento austero, la voce calda e pastosa.
“Quasi tutti gli attori sono persone semplici, ma complicate. Sean non è complicato, ma neppure semplice” dice Terence Young, che suo amico e regista dei primi tre 007, quelli più riusciti. Ed è, forse, il miglior ritratto che di Connery si può fare.