Quella notifica che non riesci ad ignorare, quel bisogno impellente di controllare la mail, quel gesto automatico, nei momenti d’attesa, di tirare fuori il cellulare e dare un’occhiata di sfuggita ai social network. Nel racconto di “The Social Dilemma”, l’ultima pellicola firmata da Jeff Orlowski e disponibile su Netflix, si nasconde il lato più subdolo dei social, quello in grado di manipolarci lentamente e renderci schiavi di un sistema virtuale da miliardi e miliardi di dollari.

Usare la prima persona plurale, in questo caso, è lecito. Scrivo “noi” perché il discorso ci riguarda tutti. Avete un telefono, un account Instagram, Facebook, Twitter, Youtube o anche solo un indirizzo mail? Allora siete dentro al circolo tanto quanto me, che di anni ne ho 20, sono cresciuto immerso nella tecnologia e vivo in un mondo che gravita attorno a Internet. Orlowski dà vita a un documentario che finalmente parla di una tematica attuale senza rimpiangere i tempi che furono. Per l’intera durata della proiezione non ci sono espressioni malinconiche sugli anni ’80, non ci sono riferimenti al mondo dorato del boom economico e nemmeno frasi fatte sulla bellezza delle cartoline estive oggi brutalmente sostituite dai messaggi.
Ci sono, invece, le parole di chi queste tecnologie le ha inventate, sviluppate e dirette. Uomini e donne che sono stati a capo delle maggiori piattaforme virtuali o hanno contribuito alla creazione degli intricati algoritmi che regolano il loro funzionamento. Grazie a loro, capisci che nulla di ciò che vedi è casuale. Tutto viene proposto con l’obiettivo di tenerti collegato il più possibile, perché ogni minuto di connessione equivale ad un minuto di guadagno.

“Se il prodotto non si paga, vuol dire che il prodotto sei tu”. Ed è proprio così. Dietro ad un profilo social o ad una ricerca fatta distrattamente su Internet, si cela un sistema che raccoglie informazioni. Così, un algoritmo personalizza alla perfezione i contenuti sui quali finirai per imbatterti. Sembra assurdo pensarlo, ma, dopo un certo tempo passato a navigare, la rete ti conosce meglio di quanto tu conosca te stesso. È per questo che, un giorno o l’altro, vedrai a lato di un sito la pubblicità di un viaggio che da tempo hai intenzione di fare, di una macchina che forse hai visto nel concessionario poco lontano da casa o di quel set di elastici per l’allenamento che, con le palestre chiuse per il lockdown, mesi fa ti volevi comprare.
Anche Instagram, ad esempio, funziona allo stesso modo. L’ordine in cui i post e le storie ti appaiono è frutto di un calcolo. Il database sa quanti secondi hai passato a guardare un video piuttosto che un altro, quante volte hai cercato il profilo della ragazza o del ragazzo che ti piace, con quale frequenza hai consultato post che trattano di un argomento specifico. Tutte queste informazioni vengono raccolte e analizzate: il risultato è un identikit perfetto. Il social ha ora a disposizione una bambola voodoo con le tue sembianze. Può usarla per influenzarti e tu non riuscirai a rendertene conto.
Detta così può spaventare ed è infatti questo il motivo per il quale, i protagonisti di The Social Dilemma, hanno deciso di partecipare al progetto e rilasciare le interviste. Le loro testimonianze hanno origine da un disagio etico. Si sono resi conto che i social, nati con le migliori intenzioni, gli sono infine sfuggiti di mano. Adesso sono in grado di studiarci, di indirizzare le nostre scelte e decidere quale sarà il nostro comportamento sulla piattaforma.
Ma, cosa ancor più grave, hanno anche il potere di decidere quale partito politico voteremo. Nel documentario c’è infatti l’esempio di un movimento, gli Estremisti di Centro, che riesce a creare degli adepti grazie al sapiente utilizzo dei social, delle fake news e del meccanismo di post e video consigliati. C’è la storia delle violenze perpetrate in Myanmar a causa delle campagne d’odio e di notizie false circolate su Facebook. Ci sono i leader di destra più noti: Trump, Bolsonaro e Salvini. C’è una bambina che piange per le sue orecchie a causa di qualche commento ricevuto sotto ad una foto. E molto altro ancora.

The Social Dilemma, però, si differenza dalla massa perché non suggerisce di abbandonare i social e di avere paura. Attraverso internet, è possibile fare cose impensabili sino a pochi anni fa. Quello che Orlowski fa, grazie alla sua produzione, è un invito alla consapevolezza. Prendere coscienza di ciò che i social sono e di come funzionano è l’unico modo che abbiamo per poter incrinare il meccanismo perfetto creato dagli algoritmi.
Il cervello umano può ancora battere quello digitale. Così facendo, Internet tornerebbe ad essere quello che è: un potentissimo mezzo da usare a nostro vantaggio e non più un potentissimo mezzo dal quale essere usati.