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June 5, 2019
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Wake up Europe: l’Europa vista dagli occhi dei documentaristi

A Torino, tra il 15 e il 19 maggio, si è svolto il primo Festival dei Documentari che racconta democrazia, tematiche sociali, diritti umani in UE

Maria Teresa AntoniozzibyMaria Teresa Antoniozzi
Wake up Europe: l’Europa vista dagli occhi dei documentaristi

Foto di Gerd Altmann da Pixabay

Time: 6 mins read

Si è svolto a Torino, presso il Cinema Massimo, tra il 15 e il 19 maggio, il primo Festival dei Documentari promosso da ‘Wake up Europe’, Foundation ideata da Annalisa Piras, film-documentarista, e da Bill Emmott, già Direttore del The Economist. Nell’arco di 5 giornate il pubblico ha potuto vedere dieci documentari su tematiche sociali, diritti umani e il dibattuto concetto della Democrazia.

Quale democrazia ha il diritto di permetter l’oblio dei crimini commessi in Spagna durante il periodo franchista?  Si chiedono i registi Almudena Carracedo e Robert Bah attraverso il documentario “The Silence of Others”.

Dei rischi della democrazia si occupa anche “Freedom for the Wolf” con cui il regista Rupert Russel riflette sul significato della rivoluzione degli ombrelli di Hong Kong, del fallimento della rivoluzione di primavera in Tunisia e dell’arrivo di Donald Trump. Non rischia la liberta di essere trasformata in diverse forme di oppressione? Si chiede Russel. Il titolo stesso del documentario riprende da un concetto del filosofo britannico Isaiah Berlin che scrisse “la Libertà per i lupi ha spesso significato morte per le pecore”. Interessanti gli interventi di Francis Fukuyama , Larry Diamond della Stanford University,  Orlando Patterson e Lawrence Lessig della Harvard University.

Alla vigilia delle elezioni europee non potevano mancare documentari di interesse della Comunità Europea: con ‘The Guardian of The Earth’ il regista Filip Antoni Malinovski entra dentro la pieghe della vita al parlamento  Europeo di Bruxelless. Il regista ha documentato il lungo e travagliato processo della negoziazione e formulazione dell’Accordo di Parigi avvenuto il 22 Aprirle 2016 quando, per la prima volta, 195 Paesi hanno, in modo collegiale, preso importanti decisioni per contrastare i cambiamenti climatici. Il film rivela come per raggiungere l’accordo, si siano dispiegate ansie, angosce, feroci dibattiti per mediare lo scontro fra interessi nazionali contro intessersi della intera comunità, interessi dei poveri conto quelli dei ricchi. L’Europa è stata dipinta anche nel documentario “Up To The Last Drop” di Yorgos Avgeropoulos, che illustra come nonostante l’ONU nel 2010 abbia riconosciuto l’acqua come Diritto Umano Universale, la UE fa ancora difficoltà ad adottare la stessa convenzione. In Europa Il management dell’acqua è stato per lungo tempo nelle mani di imprese private, un modello dettato dal profitto che ignorando il bene comunitario ha prodotto gestioni fallimentari. Cosi, mentre le municipalità di Parigi e Berlino hanno recentemente ripreso il controllo del servizio, i loro paesi di appartenenza (Francia e Germania) cercano di imporre la privatizzazione dell’acqua in Grecia, Portogallo e Irlanda, attraverso una imposizione della Troika (Commissione Europea, Banca Centrale d’Europa e il Fondo Nazionale Monetario). Il preteso è che la crisi economica imporrebbe la creazione di un mercato privato dell’acqua in Europa. Il film documenta come questo processo di privatizzazione sia ostacolato con successo dalla protesta della coscienza civile.

Un altro esempio di sentita protesta civile è testimoniato dal documentario ‘The Law and The Valley’ del regista portoghese Nuno Escudeiro, che ha diretto la propria camera al confine franco-italiano, nelle valli della Roya e Durance, zona sotto il controllo della milizia francese, che impedisce l’arrivo di immigranti provenienti dal confine italiano. Il film si concentra sul lavoro degli abitanti di queste valli che, difronte alla sofferenza degli immigranti, offrono loro aiuto, spinti da un profondo senso di umanità, contrapponendosi con i controversi principi di legge. Nonostante Nuno ci racconti di una piccola realtà nello stesso tempo ci illumina sui numerosi muri eretti nei diversi continenti. 

Il rapporto donna società/donna religione sono state le tematiche trattate da due documentari: ‘The Reformist’ di Marie Skovgaard e ‘Female Pleasure’ diretto da Barbara Miller. Il primo ci conduce dentro la vita di Sherin Khankan, donna mussulmana che riesce a realizzare in Copenaghen il sogno di creare la prima moschea diretta da un imam al femminile con lo scopo di difendere i diritti delle donne mussulmane, contro le forze conservatrici della sua religione. Un cammino lungo, tortuoso e pieno di insidie. Donna coraggiosa, Sherin, che lotta soprattutto per coloro che non hanno gli strumenti per lottare.

Il secondo documentario ci racconta la storia di cinque donne di paesi diversi che hanno in comune la voglia di confrontarsi contro un mondo creato dagli uomini a beneficio degli stessi. Deborah Feldman, donna ebrea Hasidica di New York, che separatasi dal marito, acquisito con un matrimonio combinato, si vede costretta a rompere con tutta la comunità ortodossa. La voce di Deborah denuncia come le donne della sua religione vivano una condizione di casta inferiore non avendo gli stessi diritti a difesa delle donne, come stabiliti dalla costituzione Americana.

La testimonianza di Vithika Yadav ci conduce in India dove ha creato un website ‘LOVE Matters” per lottare contro i pregiudizi della religione indù che recitando “le donne sono la radice di tutti i loro peccati” finisce con il giustificare atti di violenza sessuale a danno delle donne. La provocazione è invece lo strumento principe dell’artista giapponese Rokudenashiko che, dopo a aver riprodotto e ingigantito in 3D la sua vagina, “Vagina Defender”, e dopo averla trasformata in una barca a remi, ha subito un arresto per abuso e oscenità in luogo pubblico. Una accusa che ha evidenziato le contraddizioni culturali del Giappone dove è addirittura lecito distribuire film pornografici che decantano la violenza sessuale a danno delle donne, dove è tollerata una festa popolare in ‘Venerazione del Pene’. Del resto non è il buddismo a dichiarare che “le donne sono determinate dalla invidia del corpo degli uomini, provocatrici di peccati e che per questo dovranno soffrire pene eterne”?

Per gli stessi valori si batte Leyla Hussein, londinese di origine somala, che ha fatto della battaglia contro la mutilazione genitale delle giovani ragazze (FGM) la sua ragione di vita. La Hussein dichiara: “I matrimoni che le ragazze devono subire in giovane età dovrebbero essere chiamati ‘atti di pedofilia legalizzati’” e continua “in base alla voce del corano gli uomini hanno autorità sulle donne e sono autorizzate a colpirle in caso di disubbidienza”. Ma non sfugge al biasimo neanche la Chiesa Cattolica, come ci racconta Doris Wagner che, ad un passo dal prender i voti degli ordini sacerdotali, ha dovuto subire ripetutamente violenze sessuali da parte di un prelato. “Mi chiedo: la Chiesa è stata fondata per fare del bene o è una sovrastruttura creata come tale solo per sopportare la struttura sociale comandata dagli uomini?’ Riflette amaramente la Wagner.

Con il documentario “PRE-CRIME” i registi Monika Hielscher e Matthias Heeder ci conducono attraverso Chicago, London, Paris, Berlin, Munich, per illustrarci come la polizia si stia dotando di strumentazione tecnologica per prevenire il crimine. Noi cittadini forniamo informazioni attraverso i nostri movimenti, messaggi, acquisti, etc., mentre computer e camere onnipresenti e potenti catturano informazioni che vengono poi analizzate con l’aiuto di un algoritmo. Informazioni che serviranno per creare la probabilità di previsione del crimine: dove e da chi potrebbe essere commesso. Non è fantascienza, tutto ciò sta già avvenendo. Ma se i dati portano un vizio di forma e si accusa erroneamente? Chi ci protegge da un algoritmo?

Nella guerra vista con gli occhi di un bambino, ci introduce “The Distant Barking of Dogs,” del Danese  Simon Lereng Wilmont. Questa è la storia del decenne Oleg Afanasyev che, rimasto orfano, vive con la nonna, Alexandra, in un piccolo villaggio della Ucraina, ad un passo dalla frontiera di guerra. Un film poetico nella sua tragicità, dove le armi, i proiettili e le mine diventano oggetti di interesse feticistico per colmare i vuoti, le solitudini e le sofferenze che la guerra comporta.

‘Inside Lehman Brothers’ di Jennifer Deschamps, illustra le storie di alcuni impiegati della banca la cui vita privata e professionale è stata rovinata nel loro tentativo di essere denunciare quello che stava accadendo nella banca. Una delle figure principali del documentario è Matthew Lee, ex vice presidente della banca; per la prima volta Lee descrive la complessa personalità del misterioso CEO Richard CEO della Lehman Brothers’ che, nonostante gli ingenti danni finanziari causati dalla bancarotta, non ha sofferto nessuna sostanziale punizione e lavora ancora nel business della finanza.

Alle proiezioni dei film sono seguiti stimolanti dibattiti che hanno coinvolto il pubblico torinese, i registi e i giornalisti talvolta presenti, talvolta via Skype. La rassegna si è conclusa con la cerimonia di chiusura e la premiazione del film “Up To The Last Drop” che, grazie al voto del pubblico si è aggiudicato il titolo di vincitore del Primo Festival ‘Wake Up Europe’ 2019 a Torino.

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