“Sicilian Ghost Story” è l’ultimo capolavoro di Grassadonia e Piazza che affronta un periodo, quello della Mafia degli anni ‘90, molto doloroso per i registi siciliani, che decidono di raccontare, ventidue anni dopo, “una storia che è stata troppo facilmente trascurata e dimenticata”.
Il film, di unica bellezza, sdogana il genere dagli stereotipi fin troppo abusati dalle serie televisive e dai film sulla Mafia, diventati ormai puro intrattenimento, e riporta in vita il sequestro di Giuseppe Di Matteo in chiave fiabesca, offrendo un’ incoraggiante speranza nelle nuove generazioni. La Voce di New York ha incontrato a Open Roads i due registi e l’attore e acting coach Filippo Luna per sapere di più del loro film.

Come nasce l’idea di creare un film basato un fatto realmente accaduto e di raccontarlo in chiave fiabesca?
Fabio Grassadonia: “L’idea nasce l’estate prima di realizzare “Salvo”, quando io e Antonio abbiamo letto la raccolta “Non saremo confusi per sempre” di Marco Mancassola, uno scrittore italiano che vive a Londra, e in particolare il racconto “Un cavaliere bianco”, che raccontava la storia del sequestro di Giuseppe Di Matteo ma con un’intuizione molto bella, ovvero una storia raccontata dal punto di vista di una ragazza legata a un bambino scomparso. Questa storia, che a differenza di molte storie di mafia e di vittime di mafia raccontate nelle fiction si basava su un fatto che era stato volutamente trascurato, ci aveva già colpito molto negli anni ‘90, e per molto tempo io e Antonio abbiamo continuato a studiare per capire come poterla raccontare. L’intuizione del racconto di Marco ci è quindi sembrata la chiave giusta e da lì abbiamo sviluppato l’idea di questa strana favola di Romeo e Giulietta siciliani e della collisione di questi due mondi”.
Vi siete affidati all’immaginazione di Luna per portare avanti la narrazione della storia. Quale è stato il processo di creazione degli elementi fiabeschi e onirici del film in cui la ragazza si astrae dalla realtà per trovare Giuseppe?
Antonio Piazza: “Pensavamo fin dall’inizio che questi elementi fossero necessari per il film che immaginavamo. Luna vuole trovare un fantasma che è nelle coscienze di tutti e desidera riportarlo alla luce. Volevamo che Luna compisse qualcosa di impossibile, seppure solo nella sua immaginazione e nei suoi sogni: raggiungere Giuseppe nel suo luogo di prigionia e ricongiungersi a lui. Nasce così l’idea di Luna, un personaggio in qualche modo schizofrenico perché è costretta a continuare la sua vita, ad andare a scuola e a vivere con i suoi genitori, ma la cui testa è da tutt’altra parte. Le sue fantasie diventano gradualmente un’ossessione, e le ossessioni diventano patologiche al punto che sfiora i tentativi di suicidio. Il racconto segue il percorso mentale di Luna, per cui sempre più andiamo avanti nel film, sempre più realtà e immaginazione si fondono, perché questo è quello che accade nella mente di Luna. Questa è stata la guida che ha dato la struttura al film. Da un punto di vista cinematografico, lo abbiamo realizzato cercando questo scenario fiabesco e una luce che appartiene a un tempo che non esiste, quello del tempo in cui le notti non sono mai notti ma quasi un’eterna alba che appartiene solo ai due ragazzi e che permette loro di ricongiungersi”.
A proposito di questo tempo sospeso tra la notte e il giorno, quali sono i vostri riferimenti?
Fabio Grassadonia: “Volevamo usare la luce naturale per la creazione di questi momenti e ci siamo ispirati alla raccolta fotografica di paesaggi lunari notturni di Darren Almond, una serie ritratti paesaggistivi creati con lunghe esposizioni che ci faceva appunto pensare ad un tempo impossibile”.
Per quanto riguarda invece i vostri riferimenti cinematografici, a cosa vi siete ispirati?
Antonio Piazza: Sono quattro i principali film che ci hanno guidato. Uno è “Il labirinto del Fauno” di Guillermo Del Toro LINK per “Il labirinto del fauno”: per l’uso dello sfondo storico in una storia di fantasia; gli altri tre sono “La morte corre sul fiume” di Charles Laughton LINK per “La morte corre sul fiume, la versione originale svedese di “Let the Right One In” e “Ugetsu” del regista giapponese Kenji Mitzoguchi, una storia d’amore tra un uomo e uno spirito femminile.
A proposito di personaggio femminile, Julia Jedlikowska, la bambina che interpreta Luna, è fenomenale. Filippo, hai lavorato sul set non solo come attore ma anche come acting coach, come per “Salvo”. Quale è stata la tua esperienza in questo ruolo nel lavorare con non-attori come Julia nel ruolo di Luna e Gaetano Fernandez in quello di Giuseppe?
Filippo Luna: “È stata un’esperienza fortissima quella di comunicare con una bambina di dodici anni che arriva sul set con la sua vita e le sue profonde fragilità. Ci siamo presi tempo per avvicinarci a lei e trovare la chiave giusta per entrare nel suo mondo e fare in modo che il suo mondo si unisse a quello di Luna. C’erano già delle connessioni che i registi avevano individuato durante il casting, e io mi sono fatto guidare da loro per entrare in questo tunnel in cui la fiducia è aumentata gradualmente fino al primo giorno di riprese con lei. Quello è stato un giorno carico di emotività perché sarebbe stato il banco di prova del lavoro di preparazione che avevamo fatto. Quel giorno abbiamo girato la scena del maneggio, quella del bacio di Luna e Giuseppe davanti alla testa del cavallo, e ne ho un ricordo meraviglioso perché funzionava tutto, e per una bambina di dodici anni non è così matematico. Ma non solo Julia, anche Gaetano, Lorenzo, Mariano, Federico, Corinne, tutti sono stati fantastici. E poi nel modo di lavorare di Antonio e Fabio si entra in un mondo ricco emotivamente e con un alto senso etico del lavoro sul set che ricordo da “Salvo”, in cui il rispetto che vige sul set è come un faro che guida l’attore”.
Come avete scelto il cast dei giovani protagonisti del film?
Fabio Grassadonia: “Innanzitutto in Italia ci sono pochissimi attori di quell’età e molti di questi lavorano soprattutto nelle fiction, e a noi non interessava quello stile di recitazione. Poi avevamo deciso di lavorare con ragazzi siciliani perché li volevamo coinvolgere in un’esperienza e tirare fuori le loro qualità da portare nei personaggi, non viceversa. L’imperativo per noi era di compiere un atto d’amore per Giuseppe e strappare dal buio di troppe coscienze questo bambino e di portarlo alla luce. I ragazzi hanno capito subito e abbiamo lavorato tutti alla pari, senza differenze di ruoli, senza capricci che vengono fuori sotto stress, e anche gli adulti hanno capito il senso di quello che stavamo facendo. Ci siamo messi davvero tutti al servizio di Giuseppe con l’obiettivo di fare del nostro meglio perché nessun essere umano aveva mai fatto niente per questo bambino”.
Filippo, quale è stata per te la scena più coinvolgente sul set come attore e acting coach?
Filippo Luna: “La scena della prima prigionia, in cui, come attore, metto la catena al collo di Gaetano. Quel giorno lasciavo il mio ruolo di acting coach ed entravo in quello di attore. Quando abbiamo girato la scena ho perso quella limpidezza negli occhi che mettevo nel mio rapporto con Gaetano e ci siamo ritrovati io carceriere e lui vittima. Alla fine delle riprese sono uscito e ho pianto, e proprio Gaetano mi è venuto incontro per consolarmi e per ricordarmi che stavamo girando un film”.
Come è stato accolto il vostro film in Sicilia?
Antonio Piazza: “Ce lo eravamo chiesto perché molti in Sicilia sono stati indifferenti alla storia di Giuseppe, o hanno preferito voltarsi da un’altra parte. In realtà invece la Sicilia è stata la regione che ha accolto il film con più affetto. E poi l’anno scorso il film è stato proiettato esclusivamente per i ragazzi sulla “nave della legalità” durante il viaggio che ogni anno porta da Civitavecchia a Palermo migliaia di ragazzi per la celebrazione dell’anniversario della strage di Capaci. A bordo c’erano anche Julia e Gaetano e il film è stato accolto benissimo, e da allora è stato proiettato nelle scuole di tutta Italia ma soprattutto in Sicilia. Siamo anche stati a molte di queste proiezioni nelle scuole ed è stato fenomenale vedere come l’approccio emotivo del film alla storia aprisse i ragazzi al dialogo e al confronto.